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FVG: STRAGE DA AMIANTO

Publie le giovedì 18 dicembre 2008 par Open-Publishing

Amianto, boom di tumori nella Venezia Giulia

di CLAUDIO ERNE’ - ilpiccolo.it

TRIESTE Monfalcone, Trieste, Muggia, Duino-Aurisina, Ronchi dei legionari,
Gorizia.

Sono questi i Comuni del Friuli Venezia Giulia in cui la mortalità per
tumore alla pleura da quindici anni è costantemente di gran lunga superiore
alla media nazionale. Fino a 300 volte in più. Negli stessi Comuni la
presenza di amianto è documentata in modo incontrovertibile ed è collegata
alle attività dei cantieri navali e del porto.
Lo si legge a chiare lettere nel rapporto dell’Istituto superiore di Sanità
che ha preso in considerazione l’esposizione all’amianto e la mortalità per
tumore maligno in Italia tra il 1988 e il 1994.

Anni lontani, direte voi. Ma dal 1994 a oggi la situazione è ulteriormente
peggiorata. I morti si sono affiancati ai morti. I tempi di incubazione
delle patologie correlate all’amianto, sono infatti lunghissimi e possono
raggiungere e talvolta superare i 40-60 anni di attesa dal momento
dell’esposizione alla fibre dell’asbesto. Il picco di decessi in regione è
atteso tra il 2010 e il 2020. Basta dire che negli ultimo vent’anni i casi
segnalati di insorgenza tumorale a Monfalcone sono stati 240 e circa 600
nella fascia costiera compresa tra la città dei cantieri e l’area
triestina.

«Il peggio deve ancora venire» ha affermato più volte il professor Pier
Aldo Canessa, direttore dell’Unità operativa di pneumologia di Sarzana, in
provincia di La Spezia. La Spezia è una città affacciata sul mare,
esattamente come lo sono Trieste e Monfalcone: in tutte queste località
migliaia e migliaia di operai hanno lavorato e lavorano nei cantieri navali
e negli hangar del porto dove l’amianto è stato usato a piene mani. Per
definire le responsabilità di queste morti, fino ad oggi pochi processi
sono stati celebrati: alcuni sono in corso di definizione a Gorizia ma
molti attendono ancora di essere messi a ruolo. Per altre morti le
inchieste sono appena state aperte.

Ieri a Gorizia il pm Annunziata Puglia ha chiesto due anni di carcere per
l’ex direttore del Cantiere di Monfalcone Manlio Lippi e per il presidente
del Consiglio di amministrazione dell’allora Italcantieri Giorgio Tupini.
Sono entrambi accusati dell’omicidio colposo dell’operaio tubista Antonio
Valent, ucciso nel 1998 da un carcinoma polmonare. Il processo andrà a
sentenza il 16 febbraio prossimo. Bisogna far presto perché le prescrizioni
incombono. La sentenza sarà pronunciata alla prima udienza disponibile» ha
affermato ieri al momento del rinvio il giudice Emanuela Bigattin che
dirige il dibattimento.

I nomi di Manlio Lippi e Giorgio Tupini compaiono anche nell’inchiesta
appena conclusa dal procuratore generale di Trieste Beniamino Deidda. Con
essi sono indagati per omicidio colposo anche Vittorio Fanfani, fratello di
Amintore, ex presidente del Senato; Enrico Bocchini, già presidente di
Italcantieri; Aldo la Gioia, Antonio Zappi, Giancarlo Testa, al vertice del
cantiere di Monfalcone, nonché Saverio Di Macco, Cesare Casini, Giuseppe
Bette, Italo Massenti, Glauco Noulan, Roberto Picci, Peppino Maffioli,
tutti funzionari dell’Ufficio acquisti e dei contratti d’appalto per la
fornitura dell’amianto.

A Trieste intanto il pm Giuseppe Lombardi sta indagando dalla scorsa
primavera sulle responsabilità penali per la morte di almeno 50 operai
uccisi dal mesotelioma pleurico o dal tumore al polmone. L’ipotesi di reato
è l’omicidio colposo e nell’inchiesta sono coinvolte, con i rispettivi
direttori e rappresentanti legali, decine di aziende, anche di rilevanza e
importanza nazionale. La lente è puntata sul porto e su determinati
ambienti di lavoro. Al momento non sono stati ancora inviati avvisi di
garanzia ma l’indagine nel giro di qualche mese dovrebbe concludersi con
una raffica di rinvii a giudizio. I primi processi potrebbero essere
celebrati già entro l’inizio dell’estate del 2009. Anche a Trieste, come a
Gorizia, è necessario far presto, serrando i tempi. L’indagine sta
prendendo in esame i decessi avvenuti dal 1965 fino alla metà degli Anni
Ottanta ma anche le esposizioni di chi in quegli anni ha lavorato a
contatto con le fibre di asbesto e si è ammalato di tumore.

Il pm Giuseppe Lombardi in questi mesi ha riorganizzato il pool di
investigatori che già in passato aveva affrontato il problema dell’amianto
e delle morti ad esso correlate. Ne fanno parte i funzionari dell’Azienda
sanitaria, medici legali, investigatori. «L’istruttoria nasce dalle tante,
troppe morti» ha affermato il magistrato. Non sono casi semplici. Alle
cartelle cliniche, vanno affiancati i risultati delle autopsie e a queste i
libretti di lavoro e le buste-paga che raccontano di quali società
l’operaio deceduto per tumore al polmone è stato dipendente e in quali
fabbriche ha lavorato.

La Procura sta ricomponendo un grande quadro per troppo dimenticato o
sottovalutato da tutti. Ora le voci dei familiari sanno dove possono
trovare ascolto.

Il giudice del tribunale isontino rinvia l’udienza

di FRANCO FEMIA

GORIZIA Ieri al Tribunale di Gorizia era attesa la seconda sentenza di un
processo per la morte di un dipendente della Fincantieri dovuta
all’esposizione all’amianto. Ma il giudice monocratico Emanuela Bigattin,
al termine della discussione, si è presa il tempo necessario per studiare
le migliaia di pagine del procedimento e ha rinviato l’udienza al prossimo
16 febbraio per le repliche e per emettere la sentenza nei confronti di
Manlio Lippi e Giorgio Tupini, dirigenti dell’Italcantieri di Monfalcone
tra gli anni Sessanta e Settanta.

L’udienza di ieri è stata incentrata sulla requisitoria del pm Annunziata
Puglia che, durata oltre un’ora, ha ripercorso le tappe della vicenda
facendo emergere il quadro in cui operava Antonio Valent, tubista,
dipendente dell’Italcantieri dal 1950 al 1968 e morto nel 1998 per un
carcinoma polmonare provocato, secondo l’accusa, da una lunga esposizione
all’amianto. Valent, ha detto il pm, operava in un ambiente dove c’era una
massiccia quantità di polveri d’amianto, mentre non c’era traccia di
sistemi di sicurezza o strumenti atti a evitare o diminuire l’ingestione di
fibre d’amianto.

La dottoressa Puglia ha fatto riferimento anche alla precedente sentenza,
emessa dal tribunale di Gorizia lo scorso 2 aprile che condannava Manlio
Lippi a 1 anno di reclusione e 100 mila euro di risarcimento quale
provvisionale immediatamente esecutiva ai familiari di Annamaria Greco, una
donna addetta alle pulizie all’interno dei cantieri di Monfalcone e morta a
52 anni, 10 anni fa, per mesetelomia alla pleura. Quella di aprile è stata
la prima sentenza emessa dal tribunale di Gorizia, che attualmente ha in
corso altri procedimenti legati a decessi per asbestosi o lesioni provocate
sempre dall’esposizione all’amianto. E a gennaio è prevista l’apertura di
altri procedimenti nei confronti di dirigenti di Fincantieri ritenuti
responsabili della morte di centinaia di dipendenti dei cantieri e di ditte
esterne che operavano all’interno delle navi in costruzione.

Va segnalato, poi, che anche il giudice monocratico del tribunale di
Venezia, Barbara Lancieri, ha emesso condanne da 3 anni e tre mesi a due
anni di reclusione nei cofnronti dei dirigenti della Fincantieri di Porto
Marghera e dei Cantieri Navali Breda, che aveva operato a Marghera fino al
1984, per la morte di sei dipendenti affetti da mesetelioma e carcinoma
polmonare e con loro anche le mogli di due operai che avevano preso
l’asbestosi lavando le tute dei mariti ed erano decedute per mesetelioma. E
le motivazioni della sentenza di Venezia, consegnata dall’avvocato di parte
civile Francesco Donolato, fanno parte da ieri del corposo fascicolo in
mano al giudice Bigattin.

Casson: «Lo Stato non può arrendersi, più giudici nella Procura isontina»

TRIESTE «Bisogna aver voglia di lavorare. Molta voglia».
Lo ha dichiarato ieri il senatore del Partito democratico Felice Casson, il
primo magistrato italiano che nel 2005, quando era pm a Venezia, ha portato
in Tribunale i massimi dirigenti della Fincantieri. Li ha accusati di
omicidio colposo con la previsione dell’evento, per le morti da amianto che
hanno falcidiato i lavoratori del cantiere ex Breda di Marghera e ne ha
ottenuto la condanna.

«Bisogna aver voglia di lavorare e di studiare. Sono inchieste molti
difficili. Io ero partito dagli esposti presentati dalle mogli e dai figli
di tanti operai uccisi dal mesotelioma pleurico» ha spiegato ieri Felice
Casson. «Nella sentenza di condanna pronunciata qualche mese fa, i giudici
di Venezia hanno riconosciuto che l’esposizione prolungata all’amianto può
provocare non solo il mesotelioma pleurico, ma anche e il tumore al
polmone. Nelle motivazioni è stata inoltre riconosciuta la responsabilità
dei dirigenti dell’Italcantieri anche per le morti delle mogli di tre che
lavavano assiduamente le tute dei loro mariti sporche di polvere di
amianto. L’hanno respirata e sono state uccise dal tumore. Ecco perché dico
che bisogna avere molta voglia di lavorare e di studiare, valorizzando
anche dettagli che in un primo momento possono apparire poco significativi.
Purtroppo molti processi per le morti per amianto sono fermi, incagliati,
in Liguria, Toscana e Sicilia. Anche Gorizia rappresenta un problema perché
in quella Procura e in quel Tribunale il numero di magistrati è del tutto
insufficiente per rispondere alla richiesta di giustizia di tante persone
colpite nei loro affetti».

Per cercare di dare una soluzione al problema Gorizia il senatore Casson ha
presentato assieme al collega Carlo Pegorer una interrogazione al Ministro
della Giustizia Angelino Alfano, in cui sottolinea che tre posti di pm sono
vacanti sui sei previsti dall’organico. «Tra breve in questo ufficio vi
saranno unicamente due sostituti, dal momento che gli altri tre sono stati
trasferiti in altre sedi. Nè sembra verosimile ipotizzare che i tre posti
di sostituto procuratore attualmente vacanti, possano essere tra breve
coperti, dal momento che Gorizia non risulta storicamente particolarmente
appetibile, in quanto nota come Procura scomoda e per di più gravata da un
contenzioso importante e in continuo aumento»..

Per risolvere il problema delle inchieste sulle morti da amianto che
rischiano di segnare il passo, secondo il senatore Felice Casson, un unico
strumento è disponibile. «Gorizia va dichiarata sede disagiata, invogliando
così i magistrati a trasferirvisi visto il migliore trattamento economico e
la più veloce progressione di carriera collegate a questa dichiarazione. Ne
parlerò nelle prossime ore con il ministro Alfano con cui ho già un
appuntamento. Di Gorizia mi sono già occupato nella precedente legislatura,
presentando una serie di interrogazioni per conoscere l’andamento delle
indagini sulle tante morti da mesotelioma pleurico che si stanno
verificando in quel territorio».

Ma non basta. Per evitare che per molti omicidi colposi scattasse la
prescrizione, nello scorso maggio Felice Casson è riuscito nell’ambito del
«Pacchetto sicurezza» voluto dal governo Berlusconi, a far approvare un
emendamento che alza da cinque a sette anni la pena massima prevista per
questo reato quando è contestata anche la previsione dell’evento.
Automaticamente le prescrizioni si sono allungate e lo Stato non deve
alzare le braccia in segno di resa per non essere riuscito a perseguire chi
per incapacità negligenza o imperizia, ha provocato una serie infinita di
lutti. (c.e.)

Allarme amianto a Monfalcone: i sindacati ora fanno autocritica

di LAURA BORSANI

MONFALCONE Quanta attenzione veniva posta dai sindacati dell’epoca
sull’amianto? Quanta consapevolezza circolava tra i lavoratori? Monfalcone
ha «digerito» la problematica scandendo tempi lunghi e controversi. Il
problema dell’amianto è scivolato negli anni nel silenzio, tra
l’incoscienza e l’ignoranza. Con la difficoltà di comprendere la portata
dei rischi. Facendo altresì i conti con la salvaguardia dei posti di
lavoro. Per i sindacati sono stati anni convulsi, alle prese con le grandi
battaglie sui contratti di lavoro e il significativo avvento della
Federazione dei metalmeccanici.

Ma anche, con le prime verità sottaciute.

Riconosciute quando la città ormai contava i suoi ammalati e i suoi morti.
Il sindacato ha saputo cogliere l’allarme? Flavio Snidero, dal ’73
funzionario Uilm e segretario provinciale, poi componente della segreteria
regionale Uil e, dall’82 al ’94, segretario provinciale Uil, assieme a
Giacomo Ioan, prima componente del Consiglio di fabbria, poi coordinatore
del sindacato nello stabilimento di Fincantieri, lo spiegano: «La
sensibilità e la coscienza sono cresciute con estrema gradualità. Erano
tempi in cui venivano anche nascoste le cose. E la crisi, nei primi anni
’80, minacciava la chiusura del cantiere ponendo la priorità della difesa
dei posti di lavoro. Tutti eravamo ignoranti in materia». Il caso-amianto
spuntò quando «i lavoratori restavano a casa». E l’azienda «si prese i suoi
tempi prima di intervenire. I ritardi sono stati anche legislativi -
osservano Snidero e Ioan - si approdò alla legge che bandì l’amianto solo
nel ’92. Fu quindi la volta dell’altrettanto controverso processo dei
riconoscimenti sui periodi di esposizione al minerale, nel momento in cui,
invece, l’attività cantieristica stava affrontando una fase di pieno regime
produttivo».

«La prima scintilla scaturì nel ’69 - racconta Snidero - c’era grande
fermento nel sindacato. Nacquero i consigli di fabbrica e intervenne
l’innovativo inquadramento delle figure professionali. Parallelamente,
cresceva la sensibilità verso la tutela della salute. Felice Casonato,
coordinatore sindacale di fabbrica, fu un grande propulsore della
salvaguardia per l’ambiente di lavoro. Erano gli anni in cui l’attenzione
era focalizzata sugli infortuni. La questione allora non era che tipo di
materiali si utilizzavano per lavorare, ma la difesa contro le morti
bianche. Nel ’73 sfilammo in corteo con 12 striscioni sui quali venivano
elencati i nomi delle vittime per infortunio».

Ioan, trovatosi peraltro poi a fronteggiare la battaglia sui riconoscimenti
per l’eposizione da amianto, ricorda: «Nei reparti di salderia si
continuava a indossare la tuta con fibre d’amianto per proteggersi dalle
alte temperature. Le resistenze per scaldare i materiali erano ricoperte di
amianto. Tutto era amianto. Lo era anche per altre realtà produttive,
permeando la società civile». Amianto dunque anche all’Ansaldo. E alla
Siderurgia Monfalconese, osserva, dove peraltro per intervenuto fallimento
non è stata poi riconosciuta l’esposizione da amianto a tutti i lavoratori.
Nel ’73 nacque la Federazione lavoratori metalmeccanici. Un’unica
«bandiera» che in città prese sede in via Pacinotti, benedetta dai
segretari generali Trentin, Benvenuto e Carniti. Il cantiere navale
«epicentro» produttivo e sindacale. «Riuscimmo a coinvolgere attorno al
tema della salute la Medicina del lavoro - prosegue Snidero - e grazie a un
accordo siglato nel ’75, l’osservazione scientifica entrò in stabilimento,
attraverso l’Università di Trieste, con i professori Gobbato e Petronio».

«Nel ’77 - aggiunge Ioan - in virtù di un nuovo accordo sindacale,
si arrivò a proteggere la salute contro le fonti di calore sprigionate dalle
lavorazioni. Allora operavo all’interno dei sommergibili. Fu un risultato
quando si stabilirono i ritmi in 20 minuti di lavoro e 40 di riposo». Nel
’77 si monitorarono anche le polveri. «E si scoprì l’amianto - continua
Snidero - proprio nel momento in cui la crisi siderurgica aveva lasciato il
posto, nel ’78, al ridimensionamento dei cantieri navali con il Piano
Davignon. Per Monfalcone significava confrontarsi con la sopravvivenza del
cantiere». All’inizio degli anni ’80 la lotta sindacale si infervorò. Era
in gioco l’esistenza stessa dello stabilimento. Furono occupati l’aeroporto
e l’autostrada, tanto da portare all’incriminazione i dirigenti sindacali e
molti lavoratori. Ne scaturì una petizione di 10mila firme, consegnata a
Pertini.

«Nel pieno della crisi - continua Snidero - con la produzione ridotta ai
minimi termini, avanzava la questione-amianto chiamando in causa le
coibentazioni nelle navi e il lavoro nelle navi militari». L’opera di
«screening» dei professori Gobbato e Petronio si tradusse nel ’77 in una
relazione. Snidero ne ricorda i contenuti: «La relazione evidenziava che le
concentrazioni della fibra di amanto nell’aria in passato erano state
ampiamente superate rispetto ai limiti di guardia. Nella stessa relazione,
gli estensori precisavano, però, che il problema era in fase di
superamento, in quanto Italcantieri aveva provveduto, o lo stava facendo, a
sostituire l’amianto con sostanze meno nocive». Snidero lo vuole
sottolineare: «A denunciare il dramma delle morti di amianto e a confortare
i nostri sforzi a tutela della salute fu il professore Claudio Bianchi,
allora primario di Anatomia patologica a Monfalcone».

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