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Falce e martello, scandalo per i benpensanti

Publie le domenica 9 novembre 2008 par Open-Publishing
4 commenti

Falce e martello, scandalo per i benpensanti

di Tonino Bucci

All’Aquila le opere di oltre cento artisti in mostra per tutto il mese di novembre

Diciamo la verità. I simboli hanno la vita più lunga dei partiti. I partiti possono scomparire. Un simbolo, no. Vive di vita propria nell’immaginazione e nelle idee degli individui. All’Aquila si è inaugurata la mostra "La falce e il martello, simboli di ferro", organizzata dal Museo sperimentale d’arte contemporanea del capoluogo abruzzese insieme all’associazione Horti Lamiani (curata da Daniele Arzenta assieme a Giorgia Calò e Roberto Gramiccia). Una mostra insolita, sia per il tema politico, sia per la coralità dell’impresa. Ma, soprattutto, una mostra provocatoria, fuori moda, uno scandalo per i benpensanti. E censurata. Prima di approdare all’Aquila questo lavoro corale sulla falce e il martello è stato rifiutato da tutte le amministrazioni alla cui porta aveva bussato. Una censura passata sotto voce rispetto a casi analoghi di mostre "scomode".

Alla fine ha trovato uno spazio espositivo irrituale. Un luogo alternativo e completamente autogestito, il Muspac. E’ ispirato all’idea dell’arte totale, dell’arte come azione e performance cara alle avanguardie novecentesche. Il suo direttore, Enrico Sconci, guarda agli anni ’70, quando «tra arte e galleria non c’era praticamente distinzione». Oltre cento artisti - molti giovani, altri appartenenti alle generazioni degli anni ’60 e ’70 - si è raccolto attorno a un progetto comune. Ognuno ha rappresentato la falce e martello da una prospettiva diversa e con stili propri, chi con tratti essenziali, chi rifacendosi alla serialità della pop art, chi indugiando nel decorativismo, chi con un semplice rettangolo di colore. C’è Kounellis, Balestrini, Fuksas, Pizzi Cannella, il "transavanguardista" Mimmo Paladino, Franco Mulas (con le sue suggestioni sessantottine). E non mancano i grandi della pop art italiana dell’ultimo quarto del Novecento, come Mario Schifano e Franco Angeli.

C’è persino un lavoro di Jean-Michel Basquiat, il pittore writer statunitense, di cui ricorre il ventennale della morte. Se si volesse cercare un precedente la memoria suggerirebbe il movimento della Sots Art (un neologismo nato dalla fusione delle parole "socialismo" e "arte") nato dall’iniziativa di due artisti sovietici underground intorno al 1972, Vitaly Komar e Alexandre Melamid. «Le pratiche sots con ironia, cinismo e con divertimento - scrive la storica d’arte Carla Subrizi nel catalogo della mostra - similmente, ma ben più radicalmente della pop art, si appropriavano di icone, slogan e di ogni motivo utilizzato per la propaganda politica per ridurne, annullarne o trasformarne la retorica, la mitizzazione». Ma se l’arte, da un lato, ci mette in guardia dalla "monumentalizzazione" dei segni e dal feticismo, dall’altro, non smette di inventare nuovi usi dei simboli. L’artista, forse, è l’artefice dell’ultimo, disperato tentativo di sfuggire alla miseria del simbolico del nostro tempo.

La falce e martello è entrata nel quotidiano, è un segno semplice composto di pochi tratti grafici. Ma è anche una condensazione, evoca un patrimonio di idee, di teorie, di ragionamenti politici, oltre che di passioni e sentimenti. Non serve scomodare l’ Estetica di Hegel per dire che i simboli hanno un’eccedenza inesauribile di senso.

Non è stato semplice portare il simbolo dei comunisti in un museo. L’unico a metterci nome e patrocinio è stato il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente. Ex Pci, ex Sinistra democratica, oggi un «senzapartito». «Sono indignato - racconta - del fatto che nessuno voleva questa mostra. E’ bellissima, in catalogo figurano 136 artisti. L’arte, a meno che non sia becera pornografia, non si può censurare. Questo simbolo è entrato a far parte della storia. Coinvolge idee, sentimenti, passioni. Censurarla sarebbe un’assurdità. Sarà una grande provocazione.

Di falce e martello si continuerà sempre a discutere. C’è chi la vuole cancellare eppure continua a suscitare sentimenti. Sarà un’occasione per ragionare su quello che ha rappresentato. Ancora oggi io conservo tutte le tessere del Pci dal ’70 in poi, fino a quando ho avuto un partito. Su quelle tessere c’era la falce e martello. E’ un pezzo della mia vita». E, poi, per l’Aquila è un’occasione. «Se avessi potuto, avrei ospitato anche la famosa mostra di Vittorio Sgarbi su amore e omosessualità. L’Aquila è sempre stata una città culturale. Qui tra il ’59 e il ’61 si organizzava Alternative attuali. Fu il debutto dell’avanguardia italiana, Burri compreso. C’era Remo Brindisi. Siamo la città italiana con il maggior numero di concerti di musica classica per abitante. E siamo anche la quarta città universitaria. Questa città è pronta a ospitare qualsiasi mostra che abbia problemi di censura».

La mostra non è un’operazione nostalgica, «non è una mostra di partito» - ci tiene a dirlo Enrico Sconci, direttore del Muspac, il museo che ospita l’esposizione per tutto il mese. «Anche perché proprio i partiti sono i più imbarazzati nel discutere di falce e martello». La politica può ben poco nei confronti dei simboli, non può disporne a proprio uso e consumo. Semmai è l’arte che ha, per forza propria, una valenza politica. «E’ l’arte che ingloba la politica. Joseph Beuys diceva fin dagli anni 70 che i partiti avevano perso di significato e che l’arte soltanto era una "scultura sociale" capace di rappresentare idee e sentimenti collettivi. Solo attraverso l’arte si può fare politica, soprattutto nei momenti di crisi. Perciò se si pensa a questa mostra come a una operazione nostalgica e regressiva si sbaglia completamente strada».

Un’opera d’arte sarà sempre "politica" perché «l’arte non imita il mondo. Non è mimesi della realtà. Per questo spiazza le convinzioni e fa cambiare idea su ciò che ritenevamo scontato. Quando i conflitti sociali si riaccendono, diventa una risorsa».

Ma perché la falce e martello ha avuto così tanta fortuna come simbolo? «Perché racchiude un’interpretazione del mondo. Per un artista non si tratta di salvare la falce e martello ma, attraverso questo simbolo, di rimettere in discussione il mondo e cercare una prospettiva alternativa. L’arte è un pronto soccorso per una società malata come la nostra». La politica ha fallito, i simboli e l’arte salveranno il mondo?«Mi immagino cosa si dirà, "oddio, arrivano i comunisti!", però qui non si tratta di salvare un simbolo. C’è da salvare il mondo e la speranza».

Messaggi

  • L’arte vive di essenze, del non detto, dell’idea, della percezione sottopelle, del sentimento...chiunque non carpisca il significato di tutto ciò non è all’altezza di dare giudizi...I benpensanti sono quelli che vanno lenti, quelli che non godono l’attimo, quelli che si danno ad un qualunquismo basso e reietto, e tutto il loro resto è noia. Ascoltare le critiche e farle nostre è motivo di crescita, ma solo se queste critiche restituiscono il senso dell’agire stesso. I qualunquisti sono quelli che non sanno nemmeno quanto sia affascinante e allo stesso tempo dolorosa la sindrome di stendhal. I qualunquisti e i benpensanti sono quelli privati dello stesso sangue che scorre nelle vene, dello stesso battito cardiaco che ci da modo di esistere. I qualunquisti e i benpensanti NON SONO VIVI!

    Complimenti e complimenti ancora, al Muspac che si vuole mettere in gioco e ai curatori di una mostra che si prefigge, cito quasi testualmente, di "non salvare un simbolo, ma di salvare il mondo e la speranza".

    Gabriella Faragalli

    • mancava giusto la "sindrome di stendhal"... Quanta strada c’è ancora da fare per uscire una volte per tutte da un approccio all’arte di stampo romantico... ... Bah! Per l’Internazionale Situazionista!

    • L’approccio all’arte è assolutamente individuale, quindi lei non è nessuno per dire se bisogna uscire da un determinato approccio e fruire dell’arte, appunto, in altro modo.
      Io l’arte, la fruisco romanticamente, brutalmente, nervosamente, melensamente ed in tanti altri "ente". Detto questo, forse è il caso di limitarsi al commento dell’articolo e non di un commento precedente al suo perchè, ripeto, la fruizione è troppo personale per renderla oggettivamente opinabile. Parliamo di arte e non di analisi matematica (dove l’oggettività e l’unidirezionalità dell’analisi sono necessarie alla risoluzione del "problema"...nel momento in cui si inventano teoremi nuovi per risolvere l’esercizio allora l’oggettività diventa arte e siamo, quindi, al punto d’inizio).

      Inoltre vorrei chiedere come mai il mio commento precedente è stato rimosso o se sono io che non riesco a visualizzarlo. Grazie

      G.F.

    • Scusate sono riuscita a visualizzarlo solo ora il mio primo commento. :)

      Grazie ancora.

      G.