Home > Fecondazione, la giurista Tamar Pitch della rete Giudit: "La legge 40 è (…)
Fecondazione, la giurista Tamar Pitch della rete Giudit: "La legge 40 è incostituzionale"
Publie le sabato 4 giugno 2005 par Open-Publishing«E’ uno dei frutti più pericolosi del berlusconismo»
di Linda Santilli
Siamo alle ultime battute di campagna referendaria. Pochi giorni ci dividono
dal voto che deciderà la sorte della legge 40 approvata lo scorso anno dal
Parlamento italiano. Una legge che fa carta straccia di una serie di
principi costitutivi della nostra repubblica: inviolabilità del corpo
femminile, laicità dello Stato, libertà della ricerca scientifica, principio
di uguaglianza tra tutti i cittadini. Non è un caso che oltre ad
associazioni femministe e reti di donne impegnate da anni sui temi della
bioetica, si siano opposti immediatamente scienziati e scienziate, operatori
nel settore medico sanitario, giuristi e giuriste, come Tamar Pitch, vice
presidente dell’associazione Giudit.
La legge 40 è stata definita la peggiore normativa emanata dal dopoguerra ad
oggi contro l’autodeterminazione delle donne. Secondo lei è così?
Sì, lo è certamente. In effetti io la vedo come una legge di revanche (la
definisce così anche Rodotà). Una legge che tenta di reintrodurre un ordine
tradizionale ad una realtà in cui soggettività e libertà femminili hanno
scompaginato lo scenario culturale e sociale. In questa legge, la tutela, i
diritti del "concepito" sono assolutamente centrali, relegando le donne a
meri contenitori, e cancellando di fatto ciò che contraccezione e
legalizzazione dell’aborto avevano comportato per il primato delle donne
sulla procreazione, e, dunque, quel controllo sul proprio corpo essenziale
alla libertà femminile.
Non c’è dubbio che questa legge è uno dei frutti più velenosi prodotti dal
berlusconismo. Ma essa comincia il suo iter nella precedente legislatura
quando era al governo il centro sinistra. La storia la conosciamo. Il testo
originario di cui era relatrice Marida Bolognesi subì svariate modifiche,
tutte peggiorative, finchè si riuscì a bloccarlo al Senato. Le mediazioni su
cui l’allora maggioranza lavorò per giungere ad un accordo crede che abbiano
introdotto aperture pericolose?
Il senso comune di molta sinistra non è molto più avvertito e aperto
rispetto alla libertà femminile di quanto lo sia il centrodestra. Certo, la
legge 40 non sarebbe passata senza un preciso diktat del Vaticano. Tuttavia,
i progetti di legge delle passate legislature erano anch’essi assai
restrittivi precisamente per quanto concerne le libertà e responsabilità
femminili in ordine alla procreazione. Ricordo, molti anni fa, Giuliano
Amato dichiarare che l’interruzione volontaria della gravidanza poteva
essere vista come una decisione egoista presa da donne interessate piuttosto
alla carriera che alla maternità, e invocare che si desse voce anche ai
potenziali padri prima di prendere questa decisione. Negli anni ottanta e
novanta, è prevalso un senso comune secondo cui le donne, piuttosto che
vittime, erano virago onnipotenti, padrone della vita e della morte, mentre
le nuove vittime erano i potenziali padri e gli embrioni. Ma c’è ancora
qualcosa di più generale.
Che cosa?
Molti chiamano le nostre società "società dell’insicurezza e della paura".
C’è, indubbiamente, un senso diffuso di insicurezza, le cui ragioni hanno
radici complesse e lontane. A questo senso di insicurezza si cerca di
riparare cercando capri espiatori: gli immigrati, le diversità, la pluralità
di opinioni, esperienze, stili di vita. L’ostentato rifiuto di ciò che
malamente viene chiamato relativismo etico, e che in realtà non è che il
dovuto riconoscimento di un pluralismo etico assolutamente fondamentale in
qualsiasi società liberale e democratica, fa parte di questo tentativo di
fronteggiare l’insicurezza. Le donne hanno qui un doppio ruolo: per un
verso, le loro libertà sono viste come causa di disordine, per altro verso,
come al solito, sono ritenute essenziali come custodi dell’ordine
tradizionale, dei cosiddetti "valori". Cosiddetti, perché sembra, quando si
invocano, che essi siano autoevidenti, validi per sempre e per tutti.
Ma qui ad invocare questi valori è stato il legislatore, che ne ha fatto
addirittura il principio ispiratore della legge, violando la laicità dello
stato...
Infatti utilizzare il diritto come una clava, per imporre un modello etico e
culturale particolare, nell’illusione di contrastare incertezza e
insicurezza, non è solo assolutamente inefficace, sia sul piano pratico che
simbolico, ma è palesemente in contrasto con ciò che sta alla radici del
moderno stato di diritto, la separazione tra diritto e morale.
Nel documento che come Giudit avete prodotto, affermate non solo che la
legge è sotto vari aspetti contraria alla Costituzione, ma anche che in
questa legge non c’è niente da salvare. La vostra opposizione dunque non è
circoscritta ai punti più gravi oggetto del referendum, ma va oltre.I
quattro quesiti le sembrano riduttivi?
La legge andava respinta in toto, in essa da salvare non c’è proprio niente.
Questa è stata la posizione di molte donne, compreso il Forum delle donne di
Rifondazione. Insomma tra chi oggi sostiene le ragioni del sì ci sono
posizioni e punti di vista diversificati ed approcci differenti, persino
sull’opportunità che sia un Parlamento - qualsiasi Parlamento - a legiferare
attorno a una materia tanto complessa come quella sulle tecniche di
riproduzione assistita. Quale è la sua posizione?
Io penso che aver tenuto nel cassetto il regolamento Guzzanti e poi il
regolamento Veronesi sia una grave responsabilità dei governi precedenti: se
lo scopo era la tutela della salute, in primo luogo delle donne e dei
potenziali nascituri, di una legge non c’era affatto bisogno. Comunque, una
legge su questa materia non può che essere "mite" e leggera, e aperta a
continue revisioni in relazione ai rapidi mutamenti dello scenario
tecnologico e scientifico.
Nel caso in cui il referendum del 12 e 13 giugno avrà un esito positivo e di
fatto la legge sarà inapplicabile, quali passi da compiere ci attendono?
Perché non c’è dubbio che a qualcuno spetterà il compito di "fare ordine"
nel campo della procreazione medicalmente assistita. A chi?
Due punti: torniamo ai regolamenti per i centri che operano sulle tecniche
di riproduzione assistita, regolamenti che sono sepolti nei cassetti; ma
anche, per quanto riguarda le donne, e le femministe in particolare, la
riflessione e la discussione non sono che appena cominciate, e non
riguardano soltanto la pma, ma in generale le trasformazioni del corpo, del
significato di vita e di morte, e così via, che scienza e tecnologia ci
impongono. Voglio dire che comunque vada il referendum credo che su tutta
una serie di questioni complesse e importantissime della nostra vita,
questioni che hanno a che fare con la procreazione, con i nuovi scenari
aperti dallo sviluppo delle tecnologie, con le trasformazioni del corpo, si
debba continuare a discutere.




