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Fermato Garzón: le fosse dei «rossi» restano chiuse
Publie le domenica 9 novembre 2008 par Open-PublishingFermato Garzón: le fosse dei «rossi» restano chiuse
di Maurizio Matteuzzi
Il giudice Baltazar Garzon fa sempre parlare di sé. Sia quando ordina l’arresto a Londra del dittatore cileno Pinochet o condanna a 25 anni il marinaio argentino Adolfo Scilingo (che buttava dagli aerei le vittime vive della dittatura militare nel Rio de la Plata), sia quando non dà tregua non solo ai terroristi dell’Eta ma anche ai partiti e gruppi della sinistra nazionalista basca (gettando il 10-15% della popolazione di Euskadi pericolosamente fuori dalla rappresentanza politico-istituzionale).
Tanto più ora che è andato a mettere le mani su un capitolo fino a poco tempo fa tabù in Spagna. Se da qualche anno gli spagnoli sono presi dalla «febbre della memoria», il fatto di aver aperto un’indagine sui crimini del franchismo e sui desaparecidos repubblicani della guerra (1936-1939) e della feroce dittatura (’39-’75), è un modo completamente diverso - e nuovo - di rompere quel tabù. Che rimette in discussione anche la (forse fin troppo) lodata transizione morbida alla democrazia, facendo saltare l’ultimo anello del binomio «amnistia-amnesia» su cui si era fondata. L’impunità.
Garzon ha accolto le continue denunce dei tanti gruppi per il recupero della memoria e ha cominciato a ordinare il censimento delle vittime repubblicane e la riapertura delle fosse comuni dove si sa o si presume giacciano i resti dei «rossi». Fra cui il poeta Federico Garcia Lorca, assassinato dai «nazionali» il 18 agosto ’36, la cui probabile tomba, vicino a Granada, doveva essere riaperta a giorni dopo aver vinto la resistenza finora insuperabile dei suoi discendenti.
Garzon ha ipotizzato «un delitto di insurrezione contro il governo legalmente costituito e un piano sistematico di sterminio degli oppositori politici durante la guerra civile e il dopoguerra» e su quell’ipotesi si è mosso. Come un bulldozer, indifferente alle polemiche roventi che la decisione ha scatenato. Non solo nella destra politica - in primis il Partido popular, sorto dalle ceneri del franchismo -, ma anche in settori della chiesa nostalgici del «nazional-cattolicesimo» franchista, nella magistratura, nello stesso governo socialista e anche nel milieu social-intellettuale di sinistra. Si può sciogliere un nodo storico e politico con un’iniziativa giudiziaria?
Il tema è spinoso. Se il mondo esterno è inorridito di fronte ai 30 mila desaparecidos argentini e i 3 mila desaparecidos cileni - arrivando dopo molti anni a imporre qualche forma di giustizia, anche per merito dei (pochi) giudici come Garzon -, in Spagna la cifra minima dei desaparecidos vittime della lunga vendetta franchista è di 140 mila. E il meccanismo su cui si è mosso Garzon è lo stesso usato per aggirare le leggi di auto-amnistia con cui i genocidi cercavano di mettersi al riparo in Argentina e Cile: crimini di lesa umanità quindi imprescrittibili, crimini che continuano fino a quando non si trovano i cadaveri.
L’iniziativa di Garzon non sembra piacere granché neanche al governo di José Luis Rodriguez Zapatero che aveva fatto del recupero della memoria e della restituzione della dignità - se non della giustizia - ai vinti uno dei suoi impegni nella campagna elettorale del 2004. In effetti, dopo una lunga gestazione, il 26 dicembre 2007 il governo socialista ha dato alla luce la Ley de la Memoria Historica e pochi giorni fa ha approvato un pacchetto di misure d’applicazione perché non rimanga - come in molti temevano - lettera morta. Misure che vanno dal ritiro dei simboli franchisti che ancora infestano strade, caserme e chiese di Spagna all’esumazione delle fosse; dalla concessione della nazionalità spagnola ai combattenti (ormai pochi) delle Brigate internazionali e ai figli e nipoti di spagnoli costretti all’esilio «per ragioni politiche o economiche» dopo il 18 luglio ’36; fino all’indennizzo economico -135 mila euro - ai familiari dei «rossi» vittime dei «nazionali».
Non basta? Non basta. Zapatero non è Berlusconi e dice che «rispetta» l’autonomia della magistratura, ma il suo dissenso echeggia netto quando aggiunge che «il franchismo è defintivamente giudicato dalla storia». La magistratura, autonoma o no, fa quel che può per stoppare Garzon. Il procuratore capo dell’Audiencia nacional - il tribunale che si occupa di casi di terrorismo -, Javier Zaragoza ha presentato ricorso sostenendo morti e desaparecidos repubblicani non sono vittime di crimini contro l’umanità ma vittime di una guerra civile per cui quei crimini sono prescritti dall’amnistia del 1977. Ieri il plenum dell’Audiencia nacional ha accolto il ricorso, 10 voti a 5, e ha ordinato a Garzon di sospendere in via cautelare l’apertura delle fosse comuni fin quando la stessa Audiencia non avrà deciso se è «competente» ad avviare e proseguire l’inchiesta.
Garcia Lorca dovrà aspettare ancora e con lui gli 8 «rossi» della Casa del pueblo di Pajares, vicino a Avila, fucilati dai franchisti il 20 agosto del ’36 e gettati in un pozzo poi riesumati 20 anni dopo per essere «rubati» e portati - suprema perfidia - a «fare numero» nell’enorme cripta in costruzione nella Valle de los Caidos, l’osceno monumento a propria gloria dove sono sepolti Franco e i suoi morti «por Dios y por la Patria».