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Fermiamo questa guerra! I lavoratori di tutte le aprti ne pagano il prezzo

Publie le giovedì 27 luglio 2006 par Open-Publishing

A tutti i nostri amici del movimento internazionale dei lavoratori:
Quello che segue è un appello importante del Workers Advice Center di Israele rivolto ai partiti laburisti, dei lavoratori, ai sindacati per agire a supporto di un immediato cessate il fuoco per salvare le vite dei cittadini libanesi, palestinesi e israeliani, tutti vittime di una guerra dalla quale non hanno nulla da guadagnare.
Aggiungo anche la dichiarazione di ODA - Workers Party. [già circolata, n.d.A.]
Per ulteriori informazioni contattatemi pressoFor more information contact me at: assafa@maan.org.il o sul cellulare: 972-50-4330034
In solidarietà
Assaf Adiv - Coordinatore nazionale di WAC - Nazareth, Israel
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Workers Advice Center - WAC (Ma’an):
Fermiamo questa guerra distruttiva! I lavoratori di tutte le parti in causa ne stanno pagando il prezzo!
È dal 12 luglio che Israele conduce una guerra sproporzionata e assassina in Libano. Centinaia di civili innocenti sono stati uccisi, incluse intere famiglie. Sono state distrutte gran parte delle infrastrutture nel sud, creando un disastro umanitario. I più colpiti sono i lavoratori e i poveri. Allo stesso tempo, l’IDF continua a martellare Gaza, anche qui uccidendo civili innocenti. Lo scopo di tutta questa distruzione è quello di restaurare il potere di deterrenza di Israele. Esso ha bisogno di questo potere per continuare ad agire unilateralmente - senza alcuna concessione a palestinesi e siriani.
Ma anche Israele ha subito vittime civili in questa guerra, sia morti che feriti, tra il mezzo milione o più di persone che vivono nelle località abitate da ebrei o da arabi nel nord.
Le classi lavoratrici di tutte le parti in causa non hanno nulla da guadagnare da questa guerra, qualunque ne sia l’esito.
Per quanto riguarda le milizie palestinesi e libanesi, WAC, che rappresenta i lavoratori progressisti arabi ed ebrei in Israele, non vede giustificazioni alle loro azioni militari, intraprese senza consultare la popolazione, che hanno fornito ad Israele il desiderato pretesto per esibire la propria potenza continuando a sfruttare le divisioni interne alla parte araba.
Siamo preoccupati per la passività con cui la comunità internazionale accetta l’uso esagerato della forza da parte dell’ IDF. Facciamo appello ai partiti politici e alle organizzazioni dei lavoratori, compresi i sindacati di tutto il mondo, affinché chiedano un cessate il fuoco e il ritiro delle forze israeliane ai confini internazionali.
Israele giustifica la sua massiccia affermando di essere stata attaccata per prima. Ma se fosse davvero interessata alla pace, avrebbe potuto raggiungere un accordo molti anni fa con la Siria, con il Libano e con lo stesso popolo palestinese. Tutto ciò che avrebbe dovuto fare sarebbe stato ritirarsi dalle aree occupate nel 1967 e riconoscere i diritti legittimi di quei popoli.
Senza un simile ritiro globale da parte di Israele, non ci sarà né pace, né stabilità.
È tempo di fermare i combattimenti e di iniziare dei negoziati sulla base di principi9 che garantiscano l’indipendenza e lo sviluppo di tutti i popoli della regione.

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16 luglio 2006

ODA-DAAM
The Organization for Democratic Action

Dichiarazione

L’unilateralismo genera guerra

Quando Israele cerca di produrre dei cambiamenti politici, si affida alla potenza militare. La logica della forza è sempre stata il fattore centrale nella determinazione della sua politica. Così è stato nel 1982, quando cercò di eliminare l’OLP in Libano e di imporre un regime filo-israeliano. Così è stato ancora nell’operazione del 2002, eufemisticamente chiamata "Scudo difensivo," quando cercò di riconquistare i territori dell’Autorità palestinese, che si era mostrata troppo poco ubbidiente. È ancora il caso della guerra su due fronti intrapresa oggi da Israele, mirata a rovesciare il regime di Hamas a Gaza e a indebolire gli Hezbollah in Libano.
L’attuale guerra ha luogo in aree dalle quali Israele si era ritirato unilateralmente, proclamando di non avere più intenzione di governarle. Si è ritirato dal Libano nel maggio 2000 e da Gaza nell’agosto 2005. Il nuovo primo ministro israeliano Ehud Olmert ha proclamato, come punto centrale della propria campagna elettorale, l’intenzione di ritirarsi - ancora, unilateralmente - da porzioni della West Bank. Malgrado i proclami, comunque, la guerra odierna è la prova che questa ritirata, in assenza di accordi con l’altra parte, è destinata a fallire.
Ciascuna di queste ritirate aveva un obiettivo strategico nascosto. Il ritiro dal Libano aveva per scopo l’eliminazione della ragion d’essere di Hezbollah, protetti dalla Siria, consentendo quindi ad Israele di perpetuare il possesso delle alture del Golan. Il ritiro da Gaza aveva per scopo quello di mitigare future opposizioni all’annessione di parti della West Bank, dove sono situati blocchi di insediamenti colonici.
La crisi attuale deriva dal rifiuto di Israele di cercare una soluzione globale. Si preferisce sfruttare le divisioni all’interno del mondo arabo, mentre i movimenti fondamentalisti crescono. La loro crescita viene quindi utilizzata per giustificare il pretesto che "non c’è nessuno con cui parlare." La profezia si autoadempie.
Il tentativo di Israele di fuggire dalle aree conquistate e distrutte, senza assumersi alcuna responsabilità per il futuro della gente che lì vive, ha solo aggravato lo scontro. Israele non è disposto ad affrontare una serie di questioni: perché continua ad evitare il tavolo di negoziazione? Perché non riconosce i diritti dei suoi vicini, così come i loro bisogni economici e di sicurezza? Perché si autoattribuisce il diritto di determinare i propri confini come più gli aggrada, senza prendere in considerazione la gente che vive dall’altra parte?

Per quanto riguarda Hamas e gli Hezbollah, che sono diventati i principali attori del gioco grazie alle politiche di Israele, anch’essi cercano vittorie politiche attraverso l’uso della forza. In entrambi i casi, lo scopo è superare i problemi interni affiorati dopo il ritiro di Israele.
Il ritiro di Israele da Gaza ha contribuito infatti alla vittoria elettorale di Hamas, ma questo successo ha confuso il vincitore. Di fatto esso forza Hamas a scegliere tra lo svolgimento di funzioni di governo e la continuazione della resistenza armata. Hamas ha deciso di governare e combattere allo stesso tempo. Il risultato è stato una serie di avventure militari prive di strategia.
Anche Hezbollah sta attraversando una seria crisi politica. Il ritiro della Siria dal Libano e la vittoria dell’opposizione nelle elezioni in quel paese, mette a rischio la sua prosecuzione come milizia armata. Il nuovo governo libanese vuole liberarsi di questa milizia, affermando che non c’è bisogno di un movimento di resistenza ora che Israele è rientrato nel confine internazionale. Questa affermazione è in sintonia con la decisione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che non ha solo chiesto il ritiro della Siria ma anche il disarmo degli Hezbollah.
Né gli Hezbollah né Hamas hanno consultato alcun altro attore tra le proprie popolazioni prima di lanciare i loro attacchi "di qualità". Piuttosto, si aspettano che i governi del Libano e della Palestina ne assorbano i risultati. Israele comprende bene questa situazione ambigua. Dirige i suoi colpi in modo tale da rendere più profonde le divisioni interne, cercando di separare i movimenti di resistenza da altre forze politiche e dalle masse in generale.

Non c’è dubbio che questa guerra su due fronti porterà a rivolte politiche in tutta la regione. Coloro che vendono illusioni alla propria gente saranno costretti prima o poi a pagare un prezzo politico. È quanto è successo al presidente degli USA George W. Bush da quando è iniziata la guerra all’ Iraq. È quanto è successo a Yasser Arafat dopo aver raggirato il suo popolo con promesse di liberazione. Succederà anche al governo di Israele, che ha promesso "un paese dove vivere è un divertimento", ma ha invece semplicemente impresso un ulteriore giro alla spirale della distruzione.

www.odaction.org