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Ferrero, retromarcia dalla segreteria

Publie le domenica 18 maggio 2008 par Open-Publishing

de Marzia Bonacci

L’ex ministro ha fatto sapere che non parteciperà alla corsa interna per guidare il partito. Una scelta, dice a Liberazione, che nasce dalla volontà di non voler trasformare il congresso in una conta per la leadership ma in una discussione politica. Resta in ballo la candidatura di Vendola, ma la decisione di Ferrero non lo esclude completamente dalla possibilità di guidare il Prc

Alla fine Paolo Ferrero ha scelto un’altra strada e dopo giorni di attesa, con un’intervista rilasciata a Liberazione, fa sapere che no, non si candiderà alla segreteria del Prc. "Non voglio che il congresso si trasformi in una sorta di primarie", spiega così la sua decisione l’ex ministro della Solidarietà sociale tra i principali protagonisti del ribaltone che ha sostituito la dirigenza di Giordano e Bertinotti con un comitato di gestione che traghetterà il partito fino all’assise di luglio, ma anche uno dei più convinti esponenti nell’addebitare alla vecchia maggioranza la colpa di aver giocato un ruolo pesante nel naufragio che ha investito il Prc.

Considerato, fuori e dentro la formazione, uno fra i più accesi avversari di Nichi Vendola, che invece per la carica di segretario concorrerà e come, Ferrero ci tiene sempre a precisare che "la responsabilità della sconfitta è di tutto il gruppo dirigente" e, perciò, "io sono tra i maggiori responsabili". Pur tuttavia non mostra esitazioni quando parla di Bertinotti, implicitamente richiamandosi anche al governatore della Puglia, sottolineando come la rottura consumatasi nel gruppo dirigente vada ricercata nella polarizzazione fra chi, come l’ex segretario e i suoi accoliti, hanno "proposto e attivamente lavorato al superamento del partito proponendo la costruzione di un nuovo soggetto politico".

Lo definisce, questo tentativo pre-elettorale, "uno scioglimento dall’alto", già di per sé colpevole (perché il "Prc deve restare, per l’oggi e il domani"), ma ancora più grave se si tiene conto che con tale obiettivo si voleva ridurre il comunismo ad "una corrente culturale". A tutto questo "mi sono opposto", dice, specificando poi che la strada da percorrere per rispondere alla crisi sancita dalle urne è quella di ripartire dall’opposizione sociale, per riconquistare credibilità e "utilità" tra le persone e i loro bisogni. Proprio quest’ultima è la parola chiave che usa in tutti gli interventi per indicare nella sua perdita la colpa maggiore della sinistra. E l’opposizione che ha in mente non è "fatta di vuoto estremismo, come paventa Vendola", ma non può prescindere dal dato che è in atto un tentativo "consociativo" fra Veltroni e Berlusconi.

Diverso, invece, è "costruire relazioni con una parte del Pd". Dunque boccia tutte le costituenti in atto, perché "spaccano la sinistra" e la ideologicizzano, per favorire un movimento sociale capace di sintetizzare tutti quei soggetti che si oppongono al governo delle destre soprattutto dal basso. Quanto al comunismo, anche qui il riferimento polemico sono Bertinotti ma anche Vendola, il primo per averlo definito una istanza culturale, il secondo "una domanda aperta sulla realtà". Ferrero, diversamente, preferisce parlare di "movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti": quindi, anche processo rivoluzionario, "rottura dei rapporti di potere".

E se non gli piacciono i tentativi di fondazione di nuovi partiti, le federazioni accozzaglia, allo stesso tempo rifiuta l’idea che il congresso si trasformi "in un processo plebiscitario" pensando che la sconfitta sia un problema di leadership, quando la questione è invece politica. Anche qui, stoccatina ai due compagni di partito: "c’era Bertinotti sia quando si prendeva l’8% sia quando si è preso il 3%; in Puglia Nichi ha vinto, ma Sa ha preso il 2,9%". Niente messianesimo per lui, ex operaio valdese: la risposta infatti non è nei soggetti dirigenti che guidano la sinistra e il suo partito, ma nel movimento di opposizione dal basso.

Sicuramente alla base della scelta di Ferrero c’è la volontà sincera di evitare che il congresso si trasformi in una guerra per la leadership, sul modello americano dello scontro tra leader, ma al contrario sia un’occasione per discutere delle mozioni, cioè delle varie prospettive e posizioni politiche presenti in Rifondazione. Il che non esclude che in futuro lo stesso Ferrero possa incassare la nomina a segretario, che viene infatti eletto dai delegati espressi dal congresso e quindi dalla mozione più votata.

Se dunque il documento di cui l’ex ministro è primo firmatario conquistasse il partito, i suoi rappresentanti, in maggioranza nel Comitato politico nazionale, potrebbero designarlo alla carica di guida della formazione. In caso in cui i numeri non fotografassero una situazione netta, tra Vendola e Ferrero potrebbe farsi spazio un terzo nome. Qui il totonomine si spinge fino a lambire l’area della Fiom.

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