Home > Film : Le vite degli altri
Vorrei ringraziare Sauro, Ivo e Mauro per avermi stimolato a vedere un bellissimo film: "Le vite degli altri". Se non ci fossero stati loro, dopo le prime scene avrei interrotto la visione perché ero nauseata, c’è qualcosa che mi turba profondamente nei film sui sistemi totalitari, per cui mi sono sempre rifiutata di vedere Garage Olimpo o simili. E mi sarei persa un capolavoro. Solo il viso trasfigurato dell’agente della Stasi nell’ultima scena sarebbe valsa un Oscar.
Ora sono leggermente sconvolta, anche se non ho visto torture sanguinolente o sentito grida e pianti. Ma la violenza psicologica invasiva che non lascia scampo e non permette spazi di libertà e autonomia mi ha lasciato terrificata.
Sembra inverosimile che sistemi simili di potere sadico e spietato siano esistiti ed esistano tuttora. Un film così cupo e teso mette addosso il terrore e minimizza qualunque critica possiamo aver fatto alle nostre povere sinistre attuali con tutti i loro difetti.
Tra queste pochezze un po’ inefficienti e la neritudine del male quando si esplica in tutta la sua potenza c’è veramente un abisso.
Spero di poter continuare a vivere in un sistema anche parzialmente democratico e non vedere mai simili orrori né da destra né da sinistra.
Il film è un cesello ossessivo, sembra proprio che manchi l’aria, si soffre di una costrizione asfittica, con una precisione sistematica che riproduce tutto l’automatismo di una meccanica infernale, retta su uomini senz’anima. I colori verdastri del film, la povertà degli arredi, la riproposizione dei gendarmi, la brutalità che fruga minuziosamente in tutto ciò che l’uomo ha di più caro per impossessarsene e pervertirlo, il male che prolifera per cloni attraverso l’impossibilità di essere diversi, la putrescenza irrigidita nell’ordine, inquadrata nella catena di comandi e di sospetti della Germania comunista come nella Germania nazista che strumentalizza la capacità di ubbidienza facendone un’arma fondamentale mi hanno lasciata rigida e senza speranza.
Paradossalmente l’eroe qui è proprio la spia che tradisce il suo compito, colui che non ubbidisce, che si sottrae alla catena infernale, per sognare, attraverso le vite degli altri, quell’esistenza che personalmente non ha avuto e che per salvare quel sogno più vero della realtà, abiura al sistema di cui è braccio facendosi mente di un’altra possibilità, di un altro mondo.
"La sonata degli uomini buoni" dice che anche nel frammento clonizzato di un sistema di orrore può nascere la rivincita dell’umanità. Attraverso "la partecipazione con l’altro", che è e resta il legame fondamentale tra ognuno di noi e la vita, possiamo salvarci.
Nel 1984 la DDR, Germania dell’est, era stretta sotto la morsa di 200.000 agenti della Stasi, la famigerata polizia segreta che penetrava in ogni anfratto della vita di ognuno per intimidire, costringere, abbattere. Nel 1989 il crollo del muro di Berlino riportò la vita in una parte del mondo prigioniera i cui elementi migliori erano costretti alla fuga o al suicidio. Quando il muro cadde, la Stasi ridusse in brandelli i milioni di dossier che erano stati vergati con malvagità minuziosa sui disgraziati cittadini. Quei brandelli furono raccolti con cura e un esercito di impiegate li rimise insieme per ricostruire l’enorme azione di spionaggio che era stata esercitata sui cittadini di un intero Stato per togliere dai loro cuori ogni speranza di libertà. Essi ebbero il diritto per legge di conoscere l’azione di sorveglianza e repressione che era stata fatta su ognuno, ogni lettera aperta, le case penetrate, microfoni imposti negli interruttori, ogni momento intimo spiato, una rete di collaboratori comprati o forzati pronti a riferire cose innominabili pur di sopravvivere, un’atmosfera di sospetto reciproco, tecniche di interrogatori che potevano far dire qualunque cosa a qualunque innocente, aprendo nuove vie di delazione. Per quanto la legge desse la possibilità ad ognuno di sapere quello che il sistema gli aveva fatto, solo il 10% dei tedeschi della DDR si avvalse della possibilità. Da est come da ovest un enorme muro di rimozione cancellò quegli anni terribili, così come era stata fatto con le atrocità dei lager nazisti.
Con questo film tragico e perfetto un regista tedesco pressoché sconosciuto, Florian Henckel von Donnersmark, appena trentatreenne, si impone all’attenzione mondiale con un capolavoro, raccogliendo una corona di Oscar.
Copio:
Tra i pochi che hanno voluto subito vedere il proprio fascicolo c’è l’attore Ulrich Muhe, protagonista e vero eroe del film. Che ha così scoperto di essere stato spiato sia sia dalla moglie, sia da quattro membri della sua compagnia teatrale. Circostanze dolorosissime che spiegano - insieme al talento professionale - la sua straordinaria interpretazione del tormentato capitano Wiesler.
Certo, resta il fatto che, al di là del contesto storico ricostruito così dettagliatamente, Le Vite degli Altri - come ammette il suo stesso autore - "tratta un tema universale: le organizzazioni di potere che violano la nostra privacy. E quello che è successo a voi in Italia, con lo scandalo delle intercettazioni. E che ha spinto Sidney Pollack a chiedere i diritti per il remake del mio film: ambientandolo però nell’America attuale. Quella del Patriot Act".
“Sono esistiti e tuttora esistono paesi nei quali manifestazioni del quotidiano apparentemente banali come scrivere una lettera, leggere un libro, amare chi vogliamo, criticare il governo e viaggiare liberamente dove desideriamo, sono state impedite e ancora vengono pesantemente limitate.
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La Stasi rappresentava le fondamenta di quella parte di Germania che, dopo aver vissuto il nazismo, si trovò immersa in un altro regime totalitario, di diverso colore politico, ma del tutto simile al primo per il feroce esercizio del potere. L’altro pilastro su cui si reggeva la Ddr erano i carri armati di Mosca, sempre pronti a svolgere il loro ruolo di deterrente nei confronti di qualsiasi movimento di dissenso o di ispirazione democratica.
Quando nell’ottobre 1989, alla vigilia del crollo del muro di Berlino, il presidente della Ddr Erich Honecker chiese a Gorbaciov, in visita ufficiale in Germania Orientale, una maggiore presenza delle truppe dell’Armata Rossa per meglio contrastare le prime sommosse che stavano ormai nascendo, il leader sovietico, in nome di un sempre maggiore disimpegno dalla politica di controllo totalitario dei paesi del Patto di Varsavia, si rifiutò di inviarle.
Era il segno che si era difronte al collasso del regime.
Fino a quel giorno la Stasi aveva esercitato un potere pressoché incontrastato: in un paese di 17 milioni di abitanti, disponeva di un sosfisticato apparato di sorveglianza composto da 97.000 dipendenti e 170.000 informatori fra la popolazione. Se nel Terzo Reich c’era un agente della Gestapo ogni duemila cittadini e nell’Urss di Stalin un agente del Kgb ogni seimila, nella Ddr c’era un agente o un informatore ogni 63 abitanti.
La Stasi incuteva timore agli stessi dirigenti del partito con i suoi potenti strumenti di controllo e di ricatto.
Esistevano migliaia di dossier che riportavano le informazioni sui vicini di casa, ma anche sui colleghi di lavoro, sugli amici, perfino sul coniuge, raccolte dai delatori, spesso costretti a collaborare con metodi coercitivi e violenze psicologiche.
La posta veniva sistematicamente letta a tutti, ed emblematica a tale proposito era l’esistenza accanto a qualsiasi ufficio postale, di apposite stanze segrete nelle quali le buste potevano essere aperte e ricopiate a mano o fotocopiate dai funzionari preposti.
Quasi tutti avevano il telefono sotto controllo, le pareti degli appartamenti celavano talvolta sofisticati sistemi di ascolto e periodicamente poteva capitare che il cittadino-tipo ricevesse la visita di solerti "addetti alla cultura" per verificare se all’interno della propria raccolta di libri ve ne fossero di proibiti o contrari alla "morale socialista", come Arcipelago gulag del premio Nobel Solzenicyn.
I dissidenti, gli ex prigionieri politici o anche i semplici manifestanti venivano addirittura irraggiati a loro insaputa con potentissime particelle radioattive in modo che la Stasi, attraverso la rilevazione del livello di contaminazione degli ambienti frequentati, potesse conoscere in qualsiasi istante dove si trovassero. Queste persone, ignare del trattamento subito, spesso morivano nel giro di pochi anni per patologie apparentemente inspiegabili.
Ma quella descritta finora è - come si diceva - la Storia con la S maiuscola; per trovare quella tessuta dai singoli individui, dagli anonimi testimoni di quel periodo, dalle vittime e dai carnefici di quello stato di polizia, occorre leggere il libro della Funder, australiana, prima studentessa poi giornalista a Berlino, che ha incontrato alcuni cittadini dell’ex Ddr - quattro vittime della Stasi e quattro ex agenti - e ha raccolto i loro racconti prima che la loro memoria si spegnesse e la loro scomparsa portasse l’oblio sulla follia di quel regime.
Accanto agli incubi, alle paure e alle gioventù distrutte dei cittadini spiati e vessati, diventa allora stridente la mancanza di qualsiasi considerazione per il peso del passato da parte degli ex agenti della Stasi intervistati, che - tra l’altro - non hanno subito alcun processo per le angherie perpretate negli anni della Ddr.
Ma forse questo è il destino della cosiddetta Storia pacificata: si dice che occorra ricordare affinché la storia non si ripeta ma ci sono circostanze nelle quali per evitare il ripetersi del passato è necessario nasconderlo in un angolo della memoria.
L’unione tra le due Germanie del 1990 ha imposto che un velo di silenzio fosse steso sui giorni del regime, mentre l’opera di riannodare il debole filo dei ricordi è affidata al simbolico impegno di 30 donne di Norimberga, che, come quando si realizza un puzzle, sono state incaricate di riattaccare i brandelli dei dossier della Stasi sui cittadini dell’ex Ddr strappati a pochi giorni dal crollo del Muro, nel timore che potessero cadere nelle mani della gente.
Un mosaico di vite da ricomporre per far rifiorire definitivamente la libertà imprigionata in quelle pagine.”
Anna Funder, C’era una volta la Ddr, Feltrinelli, 2005, p. 250, € 15
http://www.ztl.eu/?pag=iti&id=141