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Forzare l’orizzonte per costruire la cosa rossa

Publie le martedì 18 dicembre 2007 par Open-Publishing

di Vittorio Mantelli e Alessandro Favilli

La prospettiva di forme unitarie tra le forze di sinistra che si
riconoscono in qualche modo nell’ambito delle teorie critiche del
capitalismo è una necessità. Ci troviamo di fronte ad una spinta
unitaria che parte contemporaneamente da quello che chiamiamo «popolo
della sinistra» e dalle strutture organizzative, più o meno fragili,
della sinistra stessa. La cosiddetta “cosa rossa” è un passaggio per
molti versi obbligato. La questione della “massa critica” non è
politicismo, ma rimarrebbe operazione del tutto insufficiente se si
limitasse alla dimensione delle istituzioni politiche. E’ necessario,
invece, assumere fino in fondo l’orizzonte della microfisica dei poteri,
delle contraddizioni in molteplici “luoghi”. In tale ottica è necessario
rivedere criticamente la vicenda del rapporto con i movimenti. Non certo
per rifiutare questo rapporto ma per sottrarlo alla pura retorica del
movimentismo. Le dinamiche dei movimenti vanno studiate; il rapporto con
gli stessi, necessariamente elastico, non può prescindere dai risultati
di un’analisi approfondita. Un’analisi che è anche aspetto del più
generale problema di conoscere meglio l’Italia, ed in particolare
l’Italia nell’ambito dell’attuale ciclo di accumulazione capitalistica.
L’Italia che non conosciamo, l’Italia dei localismi del nord e l’Italia
della nuova questione meridionale. Quante Italie ci sono oggi? Quante
sono e quali sono le relazioni tra le varie formazioni economiche
sociali omogenee?

Il percorso necessario per dare corpo ad una esigenza unitaria
irrinunciabile sarà tanto più proficuo, quanto più riusciremo a fare
chiarezza sui nodi, tutt’altro che risolti, della cultura politica che
vogliamo costruire, o meglio ricostruire. Ed a tale proposito è
opportuno riflettere su un aspetto non secondario del processo di
ricostruzione, di un aspetto che sta alla base dell’approccio culturale
e politico nei confronti di tale processo: il modo con cui ci si pone
nei confronti del nuovo. E’ indubbio che anche la sinistra critica non è
rimasta immune dalla pervasiva ideologia del novismo. Per molti aspetti
non era possibile che lo rimanesse. Questo punto, però, necessita di
chiarimenti e distinzioni essenziali. Dobbiamo essere convinti che non
esistono trincee identitarie sia politiche che di dottrina da tenere,
trincee in cui rifugiarsi in attesa che passi la tempesta.

Gli atteggiamenti che derivano dal rifiuto di misurarsi fino in fondo
con il nuovo portano a settarismo e dottrinarismo, atteggiamenti
estremamente dannosi anche nelle fasi alte della storia del movimento
operaio e del socialismo, oggi esiziali. Misurarsi con il nuovo e non
semplicemente subirlo, però, significa avere particolare riguardo per
gli strumenti di analisi che adoperiamo. Non si tratta di lussi
intellettuali ma di carne e sangue delle scelte politiche. Ad esempio il
nuovo con cui dobbiamo fare i conti è quello della postmodernità, del
postcapitalismo, o magari della quarta ondata della modernità? Alla luce
di un percorso politico che ha come compito di dare una casa comune a
tutti coloro che si muovono nell’ambito di teorie critiche del
capitalismo la suddetta domanda non ha assolutamente carattere
astrattamente teorico. Ha ricadute politiche molto pesanti e lo si vede
già nelle difficoltà nelle incertezze, nella confusione dei linguaggi
che caratterizzano il processo in corso.

Il nuovo appunto, come risultato dei rapidissimi ritmi di mutamento
caratterizzanti l’ultimo trentennio. Solo un’analisi strutturale, ancora
una volta, può darci un quadro orientativo della logica del mutamento.
L’analisi strutturale non è monodimensionale, non è limitata agli
aspetti più evidenti, di superficie dei processi in corso. Al complesso
dell’analisi strutturale può essere agevolmente applicato il modello
delle molteplici temporalità del mutamento storico. Tra microtempo e
macrotempo, tra istante e lunga durata, i ritmi del mutamento,
consapevole o inconsapevole, sono moltissimi. I mutamenti strutturali
intervenuti nella transizione in atto con quali altri sistemi
strutturali si trovano ad inter reagire? Quali sono i tempi dei primi e
quali sono quelli degli altri?

E’ molto probabile che ci si trovi di fronte a temporalità assai diverse
e che le temporalità profonde abbiano ritmi di mutamento assai più lente
dei mutamenti evidenti sui quali esiste già una letteratura sterminata e
spesso ripetitiva. In sostanza tutti i livelli del mutamento devono
essere letti con le stesse lenti? Vale per tutti la griglia della
discontinuità? Quale dei livelli è del tutto nuovo? Spesso il nuovo che
avanza è il vecchio che vince. Che cosa significa oggi per la sinistra
dichiararsi erede della storia del movimento operaio? Non certo
accettare il vaniloquio sui valori, sul meglio di una storia. I valori
(eterni?) vengono evocati quando una storia non c’è più e quando, di
questa storia, al di là di qualche espressione retorica, non ci si sente
assolutamente eredi. E una sinistra che non si pone come erede della
storia del movimento operaio non merita di esistere. Il lascito che la
storia del movimento operaio consegna alla politica della sinistra è
quello dell’«agire organizzato», agire organizzato a tutti i livelli
della società. E’ stato partito organizzato quello che ha aderito, a suo
tempo, a tutte le pieghe della società civile.

Chi si rivolge ad un
indifferenziato cittadino-consumatore può limitarsi a galleggiare
sull’increspatura delle onde della complessità sociale. Non può fare
altrettanto chi, all’interno della complessità sociale, all’interno
dell’asse strutturale della società, deve necessariamente muoversi
attraverso l’agire organizzato delle forze presenti. Un agire
organizzato che abbia capacità di tenere insieme continuità e
discontinuità. Un agire sulla base della conoscenza della realtà che
intende trasformare. In questo senso l’inchiesta, erede di uno strumento
essenziale della storia del movimento operaio, è strumento non obsoleto,
ma operante in una modernità che non coincide con l’attualità.

Liberazione 8 dicembre 2007