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GIORNI E NUVOLE

Publie le martedì 23 ottobre 2007 par Open-Publishing

Regia: Silvio Soldini
Soggetto e sceneggiatura: Silvio Soldini
Direttore della fotografia: Ramiro Civita
Montaggio: Carlotta Cristiani
Interpreti principali: Antonio Albanese, Margherita Buy, Giuseppe Battiston, Alba Rohrwacher, Carla Signoris, Fabio Troiano, Paolo Sassanelli, Arnaldo Ninchi
Musica originale: Giovanni Venosta
Produzione: Amka Films Productions, Lumière & Co, RTSI Televisione Svizzera
Origine: Ita, Svi, 2007
Durata: 116’

Barca. Viaggi esotici. Cene al ristorante. Bella casa vista porto e golfo. Sono lo status che si può perdere se il lavoro d’impresa per cui vieni chiamato dottore s’inceppa. Se s’inceppano le relazioni coi soci. Accade a Michele che è un idealista e di riconversione e licenziamenti operai non vuol sentir parlare. Sta accadendo di frequente col turbocapitalismo che teorizza il mercato canaglia deregolarizzato o con norme a senso unico contro chi lavora e chi s’oppone alla cannibalizzazione. Ma quel che più intristisce, e che il trio Soldini, Albanese, Buy narra con estremo verismo – chapeau – è l’impossibilità del ceto medio italiano di condividere il dolore e il bisogno. Lo status symbol della merce è assimilato identitariamente a tal punto da non potersene più liberare, nella personalità prima che nel quotidiano. E anche chi come Elsa e Michele Oliveri, che col denaro hanno il sano rapporto d’usarlo senza considerarlo un fine, si trova a dover fare i conti non solo con le dolorose scelte di abbandonare le proprie cose ma di non apparire indigente e decaduto agli occhi degli amici.

Insieme a un ex amico e socio in affari come Roberto, che pratica il voltafaccia, scarica Michele alleandosi con un pescecane e giustificando il gesto con l’italianissima litania di tenere famiglia anzi due, c’è la canaglia che addirittura sparisce coi soldi ricevuti in prestito e mai restituiti, negandosi di fronte all’amico e alla sua necessità. Michele ha tenuto per due mesi il segreto della caduta nel gorgo della disoccupazione perché Elsa, appassionata e competente restauratrice a reddito zero, potesse terminare e discutere una brillante tesi di laurea in storia dell’arte. Le organizza anche una megafesta con una marea di amici. Al duro risveglio della realtà non ci sarà nessuno di loro, solo Nadia continuerà a telefonare anche se la coppia si nasconde per non rivelare il tracollo. Non lo rivelano neppure alla figlia Alice con cui a volte, come accade fra genitori e figli, c’è tensione ma l’affetto non manca. Lei resta scioccata quando casualmente vede il padre in motorino consegnare pacchetti per la città.

Bisogna essere realisti e far fronte al peggio, Michele, pur provato, non si perde d’animo: taglia spese, vende beni, cambia abitudini. Certo quando si trova a umiliarsi con lavori qualsiasi raccattati nell’agenzia interinale, dopo che contatti e colloqui del suo rango risultano infruttuosi, il morale non va su. Sono due suoi ex dipendenti, licenziati dagli altri soci, a dargli solidarietà e sollievo condividendone lavoretti ma poi loro tornano al porto Michele no, perché solo la manovalanza sottopagata d’ogni razza serve sempre. A Elsa va leggermente meglio: call center commerciale a 500 euro mensili come fosse una diciottenne, al più un lavoro di segreteria per un’azienda di brokeraggio navale dove per la sua bella presenza le avances non mancano. Così al tracollo economico la coppia rischia anche quello esistenziale: Michele è depresso, rigetta i lavoretti, si chiude in casa in una società chiusa a riccio e il rapporto con Elsa rischia di naufragare.

E’ una storia che fila alla perfezione perché racconta quel che sta accadendo ormai da tempo anche se non se ne parla. All’ipocrisia del Belpaese non piace scomodare la realtà che appare negli angoli di certa informazione e arte – anche la settima – considerati pericolosamente propagandisti. Accade in questo mondo dal capitale libero di fare e disfare vite altrui. Nelle nostre città dai condomini diventati comunità di solitudini un marziano come Michele è l’unico con cui un pensionato che vive lì da dieci anni stabilisce rapporti umani. Gli Oliveri non si perdono, si ritrovano nonostante difficoltà e disgrazie chiudendo gli occhi sotto il meraviglioso affresco che l’intuito di Elsa ha fatto scoprire. Ma ormai poche storie di questo mondo libero hanno il lieto fine che piace a Soldini, pur se il suo film parla la lingua del buon cinema che non ha nazione. E’ buono e basta da qualsiasi latitudine provenga.

Enrico Campofreda, 23 ottobre 2007