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Mi associo agli auguri del direttore di Carta
Vi
Lettera all’Anno Nuovo
Caro Nuovo, il tuo collega che se n’è appena andato era una vera carogna, perciò tutti speriamo che tu sia molto, ma molto migliore.
Quasi non ricordo un anno pessimo come il tuo predecessore.
Il 2004 ci ha portato via persone che amavamo, la democrazia in Iraq ha tanto dilagato da radere al suolo intere città, il nostro governo ha messo all’asta l’acqua e altre nostre proprietà, compresi salari e stipendi, abbassando in cambio le tasse ai ricchi, sulle strade sono rimaste uccise le solite ottomila persone, il movimento che tanto ci aveva elettrizzato ci dicono si sia spento, e non ne posso più di disgrazie.
Così, per gioco e per scongiuro, ti voglio elencare alcune delle cose che ci aspettiamo da te, di modo che in futuro si possa dire: "Ti ricordi il 2005? Che anno, quello!".
Prima di tutto, un desiderio fatuo: che noialtri inconformi, o ribelli, o inquieti, la smettessimo di affliggerci con "la politica", che potessimo riunirci, anzi stare insieme, perché ci vogliamo bene, siamo incuriositi gli uni degli altri e ci piace fare questo o quell’altro, magari gesti illegali ma giusti, come fermare treni carichi di armi o concedere permessi di soggiorno ai migranti "In nome di Dio" [come fanno i comboniani] o anche "in nome dell’umanità" [come farei io]. E che, nel fare queste cose, ci sentissimo soddisfatti non perché abbiamo "combattuto" e "vinto", ma perché abbiamo imparato meglio cosa significa essere una società viva.
Poi, vorrei che tutti sopravvivessimo fino al prossimo 31 dicembre, cioè che i nostri amici, i nostri cari e noi stessi godessimo di una salute di ferro. Che è un auspicio meno banale di come sembra, perché implicherebbe meno automobili, meno centrali a carbone ed elettrodotti, insomma meno "sviluppo". E più, invece, una medicina che non si limiti a riparare il corpo, una buona vita, luoghi ombrosi d’estate e caldi d’inverno, cibo sano in quantità giuste, insomma tutto quel che sembrerebbe ovvio ma, come tutti sappiamo, ovvio non è.
Certo vorrei che i Grandi Alleati Democratici vincessero in tutte, ma proprio tutte le quattordici regioni in cui si vota.
Però gradirei che, oltre che Grandi e Democratici, i politici anti-berlusconi fossero soprattutto Democratici. E per ottenere questo, bisognerebbe che i cittadini decidessero di far da sé, delegando il minimo e vigilando il massimo.
Mi piacerebbe che il 2005 fosse proclamato dall’Onu Anno Internazionale dell’Autogoverno.
Vorrei che Bush, la signora Rice, Cheney e Rumsfeld, i quattro cavalieri dell’Apocalisse permanente, imparassero lo scopone scientifico e dimenticassero di essere in guerra contro tutti, e che di conseguenza l’Iraq potesse scegliere a modo suo come autogovernarsi. E che Sharon venisse convocato stabilmente a Washington, di modo che palestinesi e israeliani possano smettere di ammazzarsi.
Mi piacerebbe che Fox, il presidente messicano, ubriaco di Coca Cola, firmasse una legge sui diritti e la cultura indigeni degna di questo nome. Che Lula si ricordasse di essere Lula e facesse una radicale riforma agraria, una postilla della quale dovrebbe proibire in perpetuo gli organismi geneticamente liberisti. Che il nuovo governo indiano cedesse ai movimenti sociali e decretasse la fine delle dighe. Che i cinesi esplodessero in una Grande Rivoluzione Culturale che ribaltasse l’ordine dei lavori: crescita esponenziale della democrazia e freno sociale al Prodotto interno lordo. Che il parlamento europeo si costituisse fieramente in Convenzione e decretasse l’espulsione da ogni organismo e Carta europei del quinto stato, cioè le multinazionali.
Infine, desiderio da egoista, vorrei che tra un anno, di questi tempi, potessimo comunicare lietamente che non 1000, ma 10.000 abbonamenti sono stati sottoscritti.
Perché Carta ha parlato durante tutto l’anno una lingua gentile, veritiera, interessante e utile, e quei 10.000 hanno dimostrato in quel modo il loro apprezzamento.
Chiedo troppo?
Pier Luigi Sullo Direttore di CARTA (RIVISTA SETTIMANALE) www.carta.org
Viviana




