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Gallino: «Pure la legge antisciopero. Davvero c’è da avere paura»

Publie le sabato 28 febbraio 2009 par Open-Publishing
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Gallino: «Pure la legge antisciopero. Davvero c’è da avere paura»

di Manuela Cartosio

Grande sociologo del lavoro, eccellente storico delle occasioni mancate dall’industria italiana, il professor Luciano Gallino è anche una persona saggia ed equilibrata. E’ soprattutto al secondo che abbiamo rivolto qualche domanda sulla legge antisciopero approvata ieri come sempre «all’unanimità» dal consiglio dei ministri. Forse volevamo essere essere rassicurati, e invece...

A questo punto, professore, dobbiamo davvero avere paura?

Penso proprio di sì. Quella della limitazione del diritto di sciopero è una strada che si sa dove comincia ma non si sa dove finisce. Anzi, lo sappiamo benissimo. Il governo comincia con i trasporti, poi passerà a tutti i servizi di pubblica utilità, poi al pubblico impiego e alla fine, per coerenza, la valanga investirà il settore privato.

L’obiettivo è inseguito da tempo. Perché ora si accelera?

Da un governo di destra c’era da aspettarselo. Crisi e disoccupazione oscurano l’orizzonte, il timore di perdere il posto di lavoro e un reddito per quanto minimo viene prima di tutto, lascia poco spazio alle battaglie per i diritti, per quanto sacrosanti. Il momento è buono per affondare il colpo. E’ stato scelto con cura. E poi dobbiamo ammetterlo: molti italiani sono favorevoli a limitare il diritto di sciopero, almeno nei trasporti. Non servono i sondaggi per saperlo. Un sacco di persone sono d’accordo con le peggiori cose attuate o progettate da Berlusconi. Questo è il nostro problema.

Il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali è già stato limitato da due leggi. C’era proprio bisogno di una terza?

Ci si poteva accontentare di qualche ritocco, di una manutenzione ordinaria, di un aggiornamento. Invece qui siamo al giro di vite e molto stretto. E’ vero che siamo ancora all’inizio dell’iter, ma l’inizio è pessimo. L’articolo 40 della Costituzione è sibillino. Dice che il diritto di sciopero «si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». Se le leggi sono ultrarestrittive, come risulta dai paletti messi dal ministro Sacconi, ne consegue un drastico ridimensionamento del diritto di sciopero come fin qui esercitato nel nostro paese.

Questa è una legge antisciopero e, insieme, una legge contro la Cgil.

Non c’è dubbio che la Cgil è sotto tiro. Il segretario Epifani ha preso una posizione netta. Cisl e Uil sono più che disponibili. Però bisognerà vedere come si evolverà la situazione. L’ingordigia del governo è così grossa che persino Cisl e Uil potrebbero essere costrette a rivedere le loro posizioni.

Il ministro Sacconi, bontà sua, sostiene d’aver optato per la legge delega per valorizzare i contributi delle parti sociali.

E’ vero il contrario. Una legge delega è una scatola vuota dove il governo può metterci quel che vuole.

Il ddl-delega approvato ieri dal consiglio dei ministri contiene leggere modifiche rispetto al testo anticipato dai giornali. In meglio o un peggio?

La sostanza non cambia. Non è certo una miglioria dire che "basterà" il 20% della rappresentanza per indire un referendum in cui almeno il 30% dei lavoratori dovrà approvare lo sciopero.

I referendum su accordi e contratti sono discrezionali, quelli sugli scioperi diventeranno obbligatori.

Con l’aggravante che per ottemperare alle macchinose procedure i tempi per fare uno sciopero diventeranno biblici.

Cose che succedono in un paese dove l’opposizione non c’è.

Se nemmeno una legge antisciopero riuscirà a imporre un minimo di unità ai pezzi sparsi delle sinistre, siamo davvero messi male.

Messaggi

  • Uno dei pochi siti questo che consentono ancora di "dare voce al popolo" senza iscrizione (traduci tessera), che poi è il bello di internet. Tra un po’ ci chiederanno le credenziali (traduci voti di scambio) persino per intervenire sui forum, magari con sbarramento al 20 per cento.

    Tralasciando l’amara ironia non si può non essere d’accordo su gran parte di quanto dice Gallino. Siamo nel paese degli autodidatti che si ergono a moralizzatori, cui unica virtù è spesso la contiguità con le amicizie giuste. Avvocaticchi che si atteggiano ad economisti, veline che si pensano ministri, venditori di pentole che si innalzano a guidici non conoscendo affatto la stutura di Dio. A questi si aggiungono le mezze tacche del sindacato neocorporativo, personaggi che non sanno mettere due parole in fila, digiuni della minima cultura politica e quindi destinati a conservare l’immeritata posizione loro concessa con compromessi al ribasso. Un processo avviato oramai da lungo tempo dove le regole di rappresentanza valgono soltanto per chi non si appecorona alle scelte aziendali o governative - si pensi alle quote blindate nelle RSU, che concedono seggi anche a chi contasse UN SOLO rappresentante. Tutto ciò non ha nulla a che fare con la tanto sventolata "meritocrazia" di stampo anglosassone (che io personalmente non condivido), piuttosto con la solita vecchia usanza italica delle compagnie di ventura. Sono costoro i novelli Sforza, i Borgia, i prèncipi machiavelliani che si vorrebbero machiavellici.

    "Ma quando uno principe acquista uno stato nuovo che come membro si aggiunga al suo vecchio, allora è necessario disarmare quello stato, eccetto quelli che nello acquistarlo sono suti tua partigiani; e quelli ancora, col tempo e con le occasioni è necessario renderli molli ed effeminati, e ordinarsi in modo che solo le armi di tutto il tuo stato sieno in quelli tua soldati proprii che nello stato tuo antiquo vivono appresso di te."

    http://it.wikisource.org/wiki/Il_Principe/Capitolo_XX

    Avanti dunque col disarmo dei "nemici interni", magari con l’aiuto di qualche ragionevole giuslavorista "di sinistra" allevato nei meandri burocratici dei grandi partiti che furono, ma Sinecure e prebende per tutti i mediocri...