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Garzón getta la spugna sui desaparecidos
di Maurizio Matteuzzi
Impunità per i crimini franchisti
Proprio mentre a Ginevra il vertice dello Stato spagnolo - il re Juan Carlos e la regina Sofia, il premier socialista José Luis Rodriguez Zapatero e il ministro degli esteri Miguel Angel Moratinos - inaugurava ieri la Sala Diritti umani del palazzo delle Nazioni unite affrescata dal pittore maiorchino Miquel Barceló, a Madrid veniva reso pubblica l’ordinanza con cui il giudice Baltazar Garzon ha gettato la spugna e ha rinunciato a proseguire l’inchiesta sui desaparecidos dopo il golpe di Franco del ’36 contro la repubblica e durante il regime franchista dal ’39 al ’75.
La Spagna democratica paladina dei diritti umani a Ginevra, molto meno a Madrid. Almeno per i vinti della guerra civile che aspettano invano di recuperare, se non la giustizia, la dignità e il nome su una tomba. La Ley de la Memoria Historica, uno degli impegni presi nella campagna elettorale del 2004 dal candidato Zapatero (nipote di un nonno repubblicano fucilato dai franchisti), è stata promulgata nel dicembre 2007. Una legge timida, incompleta ma almeno - si diceva - apre la strada, è solo un inizio. Invece rischia di essere - come molti temevano - una fine, la chiusura definitiva delle tombe che si sono riaperte in questi anni - già più di 200 e 4 mila i resti di repubbicani assassinati dai vincitori. L’impunità contro cui anche dalla Spagna si gridava e si grida nel caso di genocidi e crimini di lesa umanità commessi in Cile o Argentina, in Ruanda o Bosnia, nel caso della guerra civile spagnola e delle sue vittime è stata e deve continuare a essere la regola aurea. Prima della transizione poi della democrazia. Impunità e oblio.
«La fine dell’impunità» era espressamente citata nell’atto con cui il 16 ottobre il giudice Garzon si era dichiarato competente a ricevere le innumerevoli richieste dei vari gruppi per il recupero della memoria storica e ordinava l’esumazione dei resti dei desaparecidos repubblicani (almeno 114 mila anche se sotto terra sono decine o centinaia di migliaia di più). Immediatamente c’era stata una levata di scudi contro il tentativo di «riaprire vecchie ferite» che la transizione si assicurava avesse chiuso. Erano insorte non solo la destra politico-sociale e certi settori della chiesa cattolica che gridavano alla «vendetta» postuma dei «rossi».
Lo stesso governo socialista mostrava di non gradire troppo l’attivismo di Garzon mentre anche a sinistra si alzavano voci critiche - non tutte strumentali e opportuniste - per un’iniziativa che in qualche misura pretendeva, 70 anni dopo, di sciogliere un nodo storico (anzi il nodo storico) della Spagna contemporanea con una soluzione giudiziaria. La magistratura si era mossa per stoppare Garzon. Il pubblico ministero dell’Audiencia Nacional, la massima istanza della giustizia penale spagnola (in cui anche Garzon lavora), aveva presentato un ricorso sostenendo che il giudice-star non aveva la competenza giuridica in materia e che i crimini commessi durante e dopo la guerra civile non erano crimini di lesa umanità - come tali imprescrittibili - e pertanto da considerarsi prescritti dalla legge di amnistia del ’77. Il 7 novembre scorso il plenum dell’Audiencia (15 giudici) aveva deciso a maggioranza di ordinare la sospensione «in via cauteale» dell’apertura delle fosse - fra cui quella molto attesa e pubblicizzata del poeta comunista Federico Garcia Lorca, vicino a Granada - in attesa della decisione della stessa Audiencia, attesa per la settimana prossima, sulla «competenza» di Garzon.
Che ha deciso di anticipare i tempi e il prevedibile esito della vicenda presentando ieri la sua rinuncia in un’ordinanza di 152 pagine. Una resa accompagnata peraltro da un preciso e polemico atto d’accusa. Se dichiara estinta la responsabilità penale del dittatore Franco e di altri 44 caporioni delle forze armate e della falange in quanto tutti morti, ribadisce «con decisione» che i crimini contro l’umanità di cui si tratta non sono affatto estinti «essendo delitti di carattere permanente» a cui non si può applicare l’amnistia. Anche la decisione di Garzon di passare la competenza dell’inchiesta sui desaparecidos ai tribunali territoriali delle 20 province in cui si trovano le fosse, resta senza attuazione pratica per via della sospensione cautelare del 7 novembre. Tuttavia nel prendere atto della sconfitta, Garzon ribadisce «il dovere dello stato di indagare adeguatamente in fatti» che «esigono che le autorità attuino di propria iniziativa senza aspettare che siano i parenti delle vittime a presentare una denuncia formale e ad avviare il procedimento».
Parole pesanti e amare. La Spagna (Garzon ma non solo lui) che ha fatto tanto per rompere il fetido binomio amnistia-amnesia in altri paesi vittime di dittature atroci e regimi assassini - come l’Argentina e il Cile - è, come ha detto Esteba Beltran, presidente della sezione spagnola di Amnesty international, «un’eccezione mondiale», uno dei pochissimi paesi «che non abbia creato una commissione per la verità», che «ha voltato le spalle ai suoi obblighi di investigare su violazioni del diritto internazionale costitutive di crimini contro l’umanità» e «l’unico paese in cui lo stato subappalta ai familiari delle vittime la localizzazione» delle fosse comuni. Un paese che 70 anni dopo ha ancora paura di aprire la fossa di Garcia Lorca, una democrazia che non si azzarda a riportare in Spagna le tombe di Antonio Machado, un altro poeta, e Manuel Azaña, il presidente della repubblica rovesciato dal sanguinoso golpe di Franco, morti in esilio e sepolti in Francia.