Home > Gaza. "Piombo fuso", un bagno di sangue innocente
Gaza. "Piombo fuso", un bagno di sangue innocente
Publie le martedì 13 gennaio 2009 par Open-PublishingGaza. "Piombo fuso", un bagno di sangue innocente
di Alessandro Ambrosin
La carneficina continua. Oggi i morti sono saliti a 878 e i feriti a 3.700. Dal 1948 Israele ha ignorato 32 volte le risoluzioni dell’Onu
Israele vuole concludere in fretta l’operazione "Piombo fuso", lasciandosi alle spalle un bagno di sangue innocente. "Siamo quasi vicini alla terza fase, ci vuole pazienza e determinazione" ha detto il premier israeliano Ehud Olmert, quella che prevede la ricerca dei terroristi di Hamas casa per casa.
Ma qualcuno di loro, come il responsabile delle Brigate al-Qassam a Rafah, e Muhammed Sinwar, responsabile del braccio armato a Khan Yuness sarebbero già fuggiti nel Sinai Settentrionale. La notizia è apparsa su alcuni siti web collegati al movimento di Al Fatah, ma per ora non è stata ancora confermata. Ben-Dror Yemini, uno dei principali editorialisti del quotidiano Maariv ha fatto sapere di essere a favore ad uno stato palestinese, ma ciò non significa che Israele debba esimersi dalla lotta contro Hamas che vorrebbe tutto il popolo israeliano morto.
Matan Vilnai, il viceministro della Difesa Israeliana ha invece affemato che la "guerra è vicina alla fine", forse per tranquillizzare l’opinione pubblica.
Intanto a Gaza City infuriano gli scontri con il movimento di Hamas, s’intensificano i raid e piovono le bombe, anche quelle non convenzionali. Oggi sono stati impiegati anche i riservisti israeliani e per la prima volta le bombe hanno colpito massicciamente anche l’area nord di Gaza. Un missile ha addirittura raggiunto la zona di confine con l’Egitto ferendo gravemente due militari di frontiera egiziani e due bambini. Nel frattempo sullo stato d’Israele piovono critiche dagli esponenti istituzionali di mezzo mondo, perchè nonostante i moniti per un cessate al fuoco, lo stato della stella di David continua la sua guerra calpestando di fatto la risoluzione delle Nazioni Unite e anche la tregua di tre ore che aveva concesso per permettere all’Onu di portare alla popolazione gli aiuti umanitari. A confermarlo è stata proprio oggi Luisa Morgantini, Vice Presidente del Parlamento Europeo, che oggi è riuscita con una delegazione dell’Onu a entrare nella striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah, proprio nelle ore in cui si sarebbero dovute fermare le operazioni militari. Ma non è tutto. Alcune bombe sono esplose a pochi metri della sede dell’Onu dove si trovavavano questo pomeriggio. Il fatto che non si abbia una completa visione di quello che sta succedendo nella striscia getta ulteriori ombre e dubbi sulle intenzioni di Israele, sulle reali motivazioni che vanno al di là dell’eliminazione dichiarata del movimento di Hamas.
Per Israele le violazioni non sono una novità recente
L’intifada per l’indipendenza nazionale palestinese esplose nel 2000 prevalentemente per due ragioni. La prima come risposta a Ariel Sharon responsabile del massacro di Sabra e Chatila nel 1982 e la seconda contro l’ipotesi di una risoluzione del conflitto che non tenesse conto dei diritti fondamentali dei palestinesi, della loro autodeterminazione. I palestinesi chiesero il ritiro di Israele dai territori occupati compresa Gerusalemme Est, come sancito dalla risoluzione 241 delle Nazioni Unite, la nascita di un loro stato indipendente, previsto dalla risoluzione Onu 181, che di fatto divise in due la Palestina, e il ritorno nonchè il risarcimento di coloro che furono cacciati nel lontano 1948. Richieste minime rispetto alle proporzioni dell’area interessata, perchè i territori occupati, la West bank, Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza rappresentano esattamente la metà di quello che doveva essere lo Stato palestinese secondo la risoluzione 181 dell’Onu. Invece tale soluzione non è mai stata accettata da Israele, con la complicità degli Stati Uniti e anche dell’Europa, che hanno volutamente ignorato la "questione palestinese" ponendo sullo stesso piano occupati e occupanti.
Tuttavia nel 1882 esisteva un solo stato, la Palestina, che conviveva pacificamente con i coloni ebrei che da quel periodo cominciarono ad affluire. Nel 1946 gli ebrei erano 608mila su una popolazione complessiva che sfiorava i 2milioni in prevalenza musulmani sunniti, seguiti dalle minoranze cristiane, druse e sciite. Anche nella primavera del 1948 vi era una larga maggioranza araba, che in seguito alla costituzione dello Stato di Israele vennero dispersi, cioè se ne andarono o furono costretti ad andarsene, o furono assorbiti dal nuovo stato come minoranza non ebrea. Dopo la guerra del 1967 Israele occupò altri territori e così ancora i palestinesi furono suddivisi in tre grandi gruppi: quelli che si trovano all’interno dei confini israeliani prima del ’67, quelli dei Territori occupati e quelli che vivevano fuori dall’ex Palestina. Insomma tre sorti per un popolo: spoliati, esiliati, senza uno stato e impossibilitati ad un loro pleibiscito che gli consentisse di esprimersi liberamente su determinate questioni. E così il loro ritorno e il loro diritto ad autodeterminarsi si è sempre scontrato con la fazione sionista. Richieste, quelle palestinesi, tra l’altro in sintonia con le convenzioni internazionali, come l’articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti che sancisce "tutti hanno il diritto di libertà di movimento e di residenza all’interno dei confini di ciascuno stato", o la Convenzione Internazionale dei diritti Politici e civili del 1966.
La prima risoluzione l’Onu, fu la 194, nella quale si affermava il diritto dei palestinesi a tornare alle loro case ed alle loro proprietà. Era l’11 dicembre del 1948, da allora fu riconfermata ben 28 volte dell’Assemblea Generale. Ma succede che i diritti fondamentali e inalienabili di ogni popolo siano considerati come le voci di un menù da scegliere o rifiutare a proprio piacimento.