Home > Genova G8: Lettera aperta a Maurizio Cevenini
Caro Maurizio,
ieri sera ero a Vag per la prima delle due giornate sul G8 di Genova [1],
nel quinto anniversario da quel G8, e mi è tornata in mente una lettera
aperta che scrivesti allora quando eri presidente del Consiglio Comunale di
Bologna.
I fatti che citavi sono diventati memoria condivisa per molta gente, ma
anche ricordi personali. Io ero lì per una delle mie prime corrispondenze
seguendo il direttore di Carta, Gigi Sullo, nel corteo dei disobbedienti
partito dal Carlini. Una varco tra gli scudi alla prima carica in Via
Tolemaide mi ha permesso di scappare e di riuscire a seguire gli scontri
seguenti lungo il viale. Per questo ho potuto vedere Federico spintonato da
dieci poliziotti, loro armati da guerriglia urbani, lui di bottiglie di
plastica attaccate con il nastro adesivo, mentre veniva portato via con le
mani sulla faccia. Come mi sentivo? Frustrato. Impotente. Un sentimento che
in questi cinque anni pur attraversando la vita di molte persone che
c’erano, non è prevalso ma ha dato nuovi stimoli per impegnarsi. Ne ho
incontrati tante, presentando video o libri quando ho deciso di fare
l’unica cosa che mi veniva bene: raccontare. Ed ogni volta mi sono
meravigliato di quanta energia e generosità fosse nata da un trauma che
rimane una delle pagine più nere della storia di questa Repubblica.
Per questo mi è tornata in mente la tua lettera. Perché in questi giorni di
racconti che affiorano nelle discussioni private, appuntamenti pubblici,
riflessioni pubblicate da siti o giornali, leggo in controluce una domanda:
cosa è cambiato? Quanto ci ha cambiati e quanto abbiamo contribuito a
cambiare? Cosa è nato, insomma, dal quel modo diverso di fare politica? Io
credo molti fatti importanti che hanno cambiato il modo con il quale
abbiamo ragionato, con parole (nuove) e atti concreti,di problemi mondiali
e locali che rimangono, putroppo, per buona parte attuali: diritti,
democrazia, razzismo, guerra, beni comuni. Non è sufficiente, ma non è
questo il punto. La scommessa, infatti, era invertire un processo
cominciato con gli inizi degli anni ’80 e che mirava a iscrivere
nell’ordine sociale e politico un unico modello economico (il
neoliberismo), accettato con qualche distinzione di forma (ma nessuna di
sostanza) dall’intera classe politica istituzionale nel crepuscolo di tutte
le narrazioni collettive che hanno segnato il secolo precedente.
A metà degli anni ’90 la Banca Mondiale diceva che mezzo milione di persone al
mondo erano inutili, come sono inutili le aziende che producono merci alle
quali il "Mercato" non riconosce un valore. Nel 2001 il portavoce del Genoa
Social Forum, Vittorio Agnoletto, mise sul piatto del dialogo con il G8
l’impegno dell’Italia ad opporsi alle richieste di sanzioni degli USA in
sede WTO contro quei paesi (Brasile e Sudafrica) che producevano farmaci
contro il virus dell’HIV senza pagare i brevetti alle multinazionali.
Dopo cinque anni queste istituzioni sono allo stallo (se n’è accorto anche
il Sole24Ore) e credo che contribuimmo a bloccarle vincendo una parte di
quella scommessa. Non tutta, perché i governi furono sordi, e in
quest’ultimo esempio anche l’opposizione parlamentare attuale maggioranza.
Oggi sarebbe diverso?
Ho paura di no e soprattutto a causa di una frattura, tutt’ora irrisolta,
tra politica e sociale. La politica contestata cinque anni fa, e che sembra
cambiata poco, era quella che concepiva un suo primato ed autonomia per
gestire un modello senza metterlo in discussione. In questa direzione ha
allocato sempre maggiori risorse che l’hanno resa un esercizio di
dialettica da professionisti di dibatti in prima serata (modello "Porta a
porta", alle ultime elezioni è stato lampante), innavicinabile a chi non ne
aveva i mezzi. Per questo abbiamo subito l’antipolitica, Berlusconi e il
berlusconismo, e per la stessa ragione l’unica risposta alternativa, quella
che contestava l’esistente, era affermare che c’era un altro possibile, che
non ci sono dogmi economici, istituzionali o politiche che tengano quando è
in gioco la vita delle persone e dell’intero pianeta. Questa cosa doveva e
poteva cambiare le istituzioni storiche dentro le quali la politica
esercita il dovere di individuare e rispondere agli interessi collettivi,
ai bisogni di una società plurale e in cambiamento. Certo, se non ci fosse
stato l’11 Settembre, ovvero l’uso e la strumentalizzazione del terrore per
chiudere ogni possibilità in questa direzione. E salvaguardare il modello.
La vicenda del rifinanziamento della guerra in Afghanistan non è l’unico
esempio del fatto che, in questa direzione, bisogna ridefinire domanda (da
porre anche a chi, anche onestamente, è entrato dentro le istiruzione per
usarle come leva di cambiamento): quali sono gli spazi e i limiti per
vincere il resto della scommessa in questo contesto mutato? Penso, però,
che per rispondere basterebbe fermarsi a Bologna dove in questi giorni un
giornale come "Repubblica" da le pagelle di metà mandato alla giunta
Cofferati che tanta parte di questo cambiamento aveva detto di voler
incarnare.
Evidentemente con poco successo. Prendi gli interventi sulla questione
migranti. Inefficaci sul piano pratico, hanno avvitato la discussione
politica tra i favorevoli "responsabili" e i contrari "senza cultura di
governo", evitando completamente il problema del messaggio politico che è
arrivato in città: un intervento senza progetto che ha rafforzato
l’immagine di fenomeno emergenziale e l’idea che la politica e la società
possano sentirsi, in fondo, immuni dal doversi preoccupare di minoranza
senza cittadinanza E ancora, rispetto al problema della crisi economica ,
la politica si è guardata bene dal mettere in discussione come si vende e
con che modello, ma ha deciso che tra il diritto a respirare e la ricetta
"più macchine, più pil" era meglio il secondo. E ancora una volta non si
vede all’orizzonte nessun progetto. Invece si è monopolizzato i lavori
comunali con la vicenda "legalità". Un’imbarazzante salto indietro che ha
avuto l’effetto di affidare al potere giudiziario e inquirente la soluzione
di problemi che attengono alla politica. Evitando, per altro, di rispondere
delle proprie responsabilità. Nei giorni caldi dell’OdG sulla legalità,
Radio Città del Capo intervistò il segretario del PRC Loreti e il
capogruppo DS Mergihi. Il primo ha rilanciato l’idea dell’amministia per le
lotte sociali, il secondo ha risposto che l’Unione doveva impegnarsi a
costruire più case invece che scarcerare chi le aveva occuapte. Peccato che
il tutto è avvenuto nel giorni in cui tra le prime notizie c’erano la Val
Susa e il CpT di Via Mattei, due tra i tanti fatti che in Italia riguardano
10.000 persone che dal militante dei centri sociali al contadino del
piemonte hanno soprattutto cercato di difendere i diritti costituzionali in
questo paese.
Fatti che, per altro e tornando a Genova, rispondono anche a chi come te in
questa lettera subito ma anche molto tempo dopo, non ha saputo e voluto
andare oltre la "condanna della violenza gratuita". Per questo ti
interesserà sapere, e solo per rimanere ai dati di fatto giudiziari quelli
di Piazza Alimonda sono nel bel video del Comitato Piazza Carlo Giuliani,
che per la vicenda di Bolzaneto, 250 persone torturate in due giorni, sono
stati rinviati a giudizio 12 carabinieri, 14 poliziotti, 16 agenti
penitenziari e 5 fra medici e infermieri accusati a vario titolo di
violenza privata, lesioni personali e abudo d’ufficio. Per la vicenda Diaz
i 93 manifestanti arrestati sono stati tutti prosciolti, mentre subiranno
un processo 29 poliziotti, accusati di lesione e falso (per le due molotov
portate per giustificare l’irruzione) e nonostante questo molti di loro
hanno nel frattempo ricevuto delle promozioni. A contorno, poi, si è
appurato che la carica al corteo dei disobbedienti non era autorizzata,
come l’irruzione alla scuola Pascoli dove c’era il computer del Legal
Social Forum (preso a manganellate), Il Manifesto e Radio Gap al secondo
piano, Indymedia al terzo.
La politica che si contestava allora, e che oggi sembra cambiata poco, è
anche questa. Una politica che ha perso il senso del limite. Che non riesce
a vedere più la portata dei propri atti ed è incapace di prendersi le
proprie responsabilità. Fosse anche solo quella di fare ammenda per aver
tirato conclusioni così affrettate allora, e di domandarsi se lo stesso
errore non lo state facendo anche ora.
Marco Trotta
PS: Ieri Mingo mi ha detto che la tua lettera al padre non è mai arrivata.
Per qualche strano motivo, poi, è sparita anche dal tuo sito. Per fortuna
la rete ha la sua memoria e te la reincollo qui. Magari ne nasce un bel
dibattito in città, da rilanciare in qualche occasione pubblica (Festa
dell’Unità? Liberazione?) o anche solo attraverso il tuo sito [3]. Va bene
anche attraverso i giornali, purché non sia il Resto del Carlino al quale
ogni tanto contribuisci. Cinque anni fa l’editore impedì che buona parte
dei giornalisti (non tutti) solidarizzase con il mio amico Lorenzo
Guadagnucci, coinvolto e prosciolto nella vicenda Diza, pur essendo un loro
collega. A proposito di cose che hanno un limite (di buon gusto) e per le
quali chiedere scusa.
[1] http://www.vag61.info/vag61/articles/art_327.html
[2] http://www.piazzacarlogiuliani.org/carlo/iter/veritadvd.php
[3] http://www.mauriziocevenini.it
http://www.mauriziocevenini.it/index.htm
G8: caro Cesare, ricordi?
Sono tra coloro che non hanno condiviso la scelta della Direzione Nazionale
dei DS di partecipare ufficialmente alla manifestazione di Genova e la
successiva smentita, se possibile, ha ingenerato una confusione maggiore.
Questa una cosa piccola, insignificante, rispetto alla morte di un ragazzo
e alle centinaia di feriti. Tra questi Federico Minghini, Mingo, al quale
non mi lega la conoscenza personale ma la lontana amicizia con il padre
(spero di non incappare in caso domonimia).
Con Cesare eravamo nella stessa scuola, il mitico ITIS di Via Saragozza,
oggi non c pi, negli anni della massima contestazione studentesca.
Militanti della FGCI quando ci che accadeva nel mondo ci pareva di una
chiarezza disarmante: i "cattivi" erano sempre da una parte, gli oppressi
dallaltra e noi, con tutte le certezze sorrette da buone letture,
riempivamo assemblee e piazze senza difficolt. Anni duri doccupazione di
scontri davanti alle scuole. Cesare pi grandicello di noi oltre ad essere
un leader del movimento fu anche il pi precoce, con la sua compagna, ad
avere un figlio: Federico. Nome bellissimo di santo ma soprattutto di uno
dei maestri di quei tempi. Anche mia figlia si chiama Federica.
Poi com successo per tanti protagonisti di quel periodo la frequentazione
divenne pi occasionale anche perch prendemmo strade diverse, pur
continuando a militare nello stesso partito nelle sue evoluzioni, io nel
privato e nelle Istituzioni, Cesare a vari gradi dentro il Sindacato. Ho
voluto scrivere, invadendo il privato di un amico, perch ho visto lanalogia
con laltro figlio di sindacalista che non ha avuto la fortuna di tornare a
casa dallinferno di Genova. Quel Carlo, anchesso figlio di sindacalista con
un bellissimo nome forse tratto dalle stesse nostre letture.
A trentanni di distanza, i nostri figli ripetono la storia?
No, sarebbe troppo semplice. Sta avvenendo qualcosa che per tanti di noi
incomprensibile e ci fa sentire ancora una volta in ritardo; giovani che
non si riconoscono nel nostro modo di fare politica ma fanno politica,
tagliando trasversalmente i nostri schemi, mettono in discussioni i cardini
e delleconomia e dello sviluppo.
Lo avrebbero fatto anche con Rutelli al posto di Berlusconi.
Sono ingenui e veri, al punto di non capire il grave pericolo che sinsinua
nelle loro file e nelle manifestazioni per provocare violenza gratuita.
Apriamo un dialogo se ci riusciamo: gi una volta, davanti agli occhi
stralunati degli iscritti, le tute bianche sono entrate in una nostra
sezione a spiegare il loro punto di vista.
Ma non facciamolo camuffati, in modo ipocrita, fingendo dessere come loro.
E inutile oggi noi siamo come gli insegnanti che contestavamo nel 70, siamo
dentro la zona rossa, avremmo voluto che la sinistra fosse l a
rappresentare il nostro Paese.
Pensaci caro Cesare e scusami se ti ho trascinato in questo scritto, a
rischio di querela, a rappresentare simbolicamente noi. Abbraccia tuo
figlio e auguragli una pronta guarigione.
Bologna, 22 luglio 2001
Maurizio Cevenini