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Germania, tutti in crisi. Alleanza Cdu-Spd a rischio
Publie le mercoledì 2 novembre 2005 par Open-Publishingdi Rina Gagliardi
Lo scrive l’autorevole Le Monde: ora in Germania il governo di "Grosse Koalition" guidato da Angela Merkel è diventata una prospettiva "precaria", comunque "fragilisée". Una doppia crisi - da sinistra e da destra - sta mettendo in discussione un accordo che sembrava quasi fatto, pur nelle more di una trattativa alquanto faticosa. Tanto la Spd quanto la Cdu-Csu - i due partiti centrali del sistema tedesco, i due "colossi" che forse sono stati ambedue sconfitti nelle elezioni anticipate di settembre - appaiono adesso in preda ad un’accentuata destabilizzazione interna, che già dispiega i suoi effetti sulle sorti dell’esecutivo in formazione. E’ di ieri il ritiro di Edmund Stoiber: il leader bavarese dei cristiano-sociali, che avrebbe dovuto occupare il dicastero-chiave dell’economia, ha dichiarato ufficialmente che non ci sarà, e che preferisce rimanere nel suo "regno" di Monaco, a causa di contrasti irrisolti con la signora Merkel sulle sue future competenze - e poteri. Ed è di lunedì, due giorni fa, il terremoto "rosa" nella Spd, che a sorpresa ha eletto alla segreteria nazionale del partito la trentacinquenne Andrea Nahles, ex-presidente Jusos. Ciò che ha indotto alle dimissioni il presidente socialdemocratico Muenterfering, già designato come vicecancelliere e ora in dubbio anche sul suo futuro governativo. Insomma, tutto - molto - è sotto sopra, e non è detto che la signora Merkel ce la faccia - già qualcuno rievoca lo scenario di nuove elezioni. Come dice ancora Le Monde, la crisi non scoppia su quello o quell’altro punto del programma, né sulle scelte politiche che attendono il Paese, né sulle proporzioni dei ministeri assegnati, e nemmeno su una premiership pur di così scarso appeal. Deflagra invece dentro i partiti, ed attiene agli equilibri interni, agli organigrammi, alla capacità di controllo dei gruppi dirigenti. Come se il malessere per l’esito politico del voto - una "Grande Coalizione" che è diventata l’unica scelta possibile, dopo il rifiuto dei socialdemocratici di un’alleanza di sinistra, con la "Linke" - prendesse, a sua volta, l’unica via praticabile, la rivolta interna.
Mentre così, a destra, riesplode il tradizionale contrasto tra Cdu e Csu, e Stoiber se ne va da un governo che non gli appare sufficientemente conservatore, o insufficientemente condizionato dalla linea bavarese, a sinistra, certo, le cose sono assai più serie. Nella Spd, il disagio era visibile fin da settembre. Il trionfalismo con il quale Schroeder ha cercato di mascherare la sconfitta e, addirittura, di accreditarsi come il vero vincitore delle elezioni, è stato vissuto male, e peggio tollerato, non solo dalla sinistra interna, ma da larghe fasce "centriste" del Partito. Come i quarantenni della "Rete", per dire, che da un pezzo rivendicano innovazione ideologica e generazionale, comunque l’avvio di una fuoruscita dagli schemi tradizionali. A questo malessere, il gruppo dirigente ha risposto "blindando" tutto, il dibattito interno e le nomine. In particolare, il presidente Muenterfering ha messo in atto quella che molti definiscono una vera svolta autoritaria: non solo si è ritagliato, per sé, il ruolo di vice-cancelliere e di ministro del Lavoro, non solo ha portato avanti il negoziato con i democristiani praticamente da solo, ma ha cominciato a nominare suoi uomini "fidatissimi" nelle principali postazioni di controllo del partito - come il presidente del gruppo parlamentare. Uno dei nominati d’autorità avrebbe dovuto essere, appunto, Kajo Wasserhoevel, indicato da Muenterfering come nuovo segretario del Partito: un giovane, si dice, dalla forte tempra organizzativa, ma poco noto, ovvero conosciuto soprattutto per essere il ghost writer dei discorsi del presidente. Un segretario che, ad ogni buon conto, non avrebbe mai osato criticare, o mettere in dubbio, le sue scelte. Ma l’operazione, la designazione, si è risolta in un autogol: la direzione nazionale della Spd, invece che sbrigare la pratica come una formalità, ha detto no al Presidente ed ha eletto alla segreteria una donna di sinistra - Angela Nahles, trentacinquenne, già presidente dell’organizzazione giovanile (Jusos) e neodeputata. Non una "massimalista", come è stato detto e scritto a torto, ma una donna di sinistra - che ha criticato a suo tempo i progetti schroederiani di smantellamento del Welfare e manifestato autonomia personale e politica.
Ma qual è il senso di una scelta avvenuta a larga maggioranza (23 a 14), cioè assai oltre la rappresentanza della sinistra nell’organismo di direzione socialdemocratico? Uno scatto anti-autoritario, dicono in molti. Una lezione a Muenterfering, cioè a un presidente che "si è montato la testa". Un’opzione per il futuro, dicono molti altri. Nel gruppo dirigente largo della Spd, vale a dire, la paura principale è ora quella dell’appiattimento sul governo, la prospettiva di un quadriennio di politica economica condotta a colpi di stangate, al termine del quale, nel 2009, la socialdemocrazia rischia di non esserci più. Anche perché, alla sua sinistra, la "Linke" di LaFontaine e Gisy ha già dimostrato di essere qualcosa di più che non la "spina nel fianco" della Spd, ma una forza capace di crescere e di ottenere consenso proprio nelle aree sociali - operaie - di riferimento del maggior partito della sinistra tedesca.
Se ne può concludere che la Spd, con la Nahles, ha imboccato una nuova strada e una nuova politica, a sinistra? In realtà, questo interrogativo potrà essere sciolto soltanto dopo la nomina del successore di Muenterfering e dopo il congresso straordinario, previsto a Karlsruhe per il 14-16 novembre. Del resto, nella "grammatica" della Spd, il segretario non ha un potere pari a quello del presidente - svolge o no un ruolo politico primario (come è stato a suo tempo per Peter Glotz) a seconda delle circostanze, ed anche della sua capacità di farlo valere. E tuttavia non è certo casuale che oggi la Spd scelga, per sua segretaria nazionale, una figura di sinistra, e soprattutto non controllabile - come non del tutto controllabile si presenta il gruppo parlamentare. Non è casuale che questa scelta abbia mandato in tilt la leadership massima, e messo in forse il rapporto con il governo. E che tutto questo avvenga alla vigilia di un’assise congressuale che avrebbe dovuto essere poco più che un rito, cioè la pura ratifica della politica di "Grosse Koalition" della delegazione socialdemocratica nell’esecutivo Merkel. Saltato il disegno di Muentefering di mettere al loro posto, senza dibattito e senza conflitti, tutte le pedine "giuste", ora la Spd naviga in mare aperto: non ha più una leadership forte e autorevole, non ha più neppure, forse, una linea politica condivisa. Non nell’immediato, ma nel medio periodo, non potrà evitare una vera resa dei conti di natura politica e strategica. E perché allora considerare impossibile la revisione delle alleanze? Giorni fa, Muenterfering aveva detto in un’intervista che "un’alleanza con la Linke è impossibile, non solo oggi, ma nei prossimi cento anni". Un’affermazione che aveva suscitato parecchio scetticismo. Ora, ad ogni modo, Muenterfering è sull’orlo dell’uscita di scena. La discussione, vedrete, ricomincerà assai prima del 2105.