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Giordano promette: "Costruiremo una grande sinistra europea"
Publie le martedì 2 gennaio 2007 par Open-Publishingdi Piero Sansonetti
Franco Giordano dice che il 2007 sarà l’anno della sinistra europea. Dice che la sfida è quella, è lì che Rifondazione mette tutte le sue forze. Secondo Giordano in Italia c’è un problema molto serio: la scomparsa della politica...
Dico: ma è un paradosso…
Bisogna capire cosa si intende per politica. Se è solo la dichiarazione, la presenza, il dilagare degli uomini politici in Tv, allora è chiaro che la mia affermazione non ha senso. Ma se la politica è quella che intendiamo noi, e cioè l’organizzarsi della società, il poter contare, lo sviluppo dei conflitti, la lotta degli interessi, la ricerca della trasformazione, e se la politica è vista come una azione di massa, allora sta scomparendo.
Cosa sta sostituendo la politica?
L’americanizzazione. E’ a questo processo che stiamo assistendo da molti anni: l’americanizzazione della società italiana, e quindi la scissione tra politica e società, e quindi la perdita di ogni strategia, di ogni visione, e quindi la trasformazione dell’attività politica in pura tattica.
Con un solo obiettivo: la conquista del potere e del governo, il mantenimento del potere. Il governo diventa tutto, diventa l’assoluto, e ogni pensiero politico, ogni scelta, ogni azione, sono in funzione di quello: del feticcio-governo. Questa è l’americanizzazione. E sta travolgendo l’intero schieramento politico italiano. Io non credo che l’americanizzazione tolga spazio alla sinistra radicale. E’ chiaro che ci lascia degli spazi abbastanza grandi. E’ possibilissimo che a fianco del fenomeno dell’americanizzazione proceda un fenomeno di allargamento del nostro consenso. Il problema è che di quel consenso, alla fine, non ci facciamo niente. Se società e politica divorziano, se l’americanizzazione vince, diventa definitiva, allora noi abbiamo perduto e basta. Abbiamo perduto anche se magari alle elezioni prendiamo qualche punto in più e aumentiamo un pochino il numero dei deputati e dei senatori. E’ per questo che io dico: “Sinistra europea”. Vedo la sfida della sinistra europea come una sfida decisiva per la ricostruzione di una sinistra d’alternativa – ma diciamo pure, più semplicemente, di una sinistra-sinistra – che ponga all’ordine del giorno quel problema: la ricostruzione della presenza della politica nella società, nella vita di tutti i giorni.
Mi spieghi cos’è l’americanizzazione?
L’americanizzazione si fonda su due pilastri: la passivizzazione della gente e il populismo. Il versante di sinistra dell’americanizzazione è la passivizzazione, il versante berlusconiano è il populismo. Senza questi due elementi l’americanizzazione si sgretola. L’operazione “partito democratico” punta tutto su questo, sulla passivizzazione della società. Il partito democratico si costruisce su una ipotesi di divisione e di riorganizzazione del potere, su un riassetto di classi dirigenti, su una politica economica e sociale funzionale non ad una ipotesi di trasformazione o di riforma del paese, ma semplicemente funzionale al mantenimento del potere e del governo. Lo vedi anche quando li senti parlare. Di cosa parlano? Di quali sono le strategie politiche migliori per salvare il potere, per difendere il governo. Non è così?
Hai mai sentito intorno al partito democratico accendersi un dibattito che riguardi le classi sociali, i bisogni della società, i problemi della libertà, dell’uguaglianza, del riequilibrio delle ricchezze tra strati sociali? No, senti parlare di alleanze tra ceti dirigenti e di soluzioni economiche che permettano la non rottura con le classi dirigenti economiche, cioè con la borghesia. Vedi delinearsi un mondo politico dominato dalle corporazioni e dalle lobby.
In Italia è aperta la lotta tra politica e antipolitica. E il rischio è che l’antipolitica finisca con il prevalere. E’ una divisione culturale molto profonda, e che riguarda direttamente l’orientamento e le culture che stanno prevalendo in settori amplissimi della popolazione. L’antipolitica alla fine risolve il problema delle idee e dei valori sostituendoli con il concetto del nemico, che diventa il fatto coalizzante. Il nemico è indicato via via con le categorie dei comunisti,o dei giovani, dei sovversivi che si fanno gli spinelli, o dei migranti che ci invadono, o delle lesbiche e dei gay che demoliscono le famiglie, eccetera…
Un certo antiberlusconismo degli anni scorsi, e anche di oggi, non è anche quello ricerca del nemico e antipolitica?
Si, certo, anche a sinistra, un certo antiberlusconismo, ha corrisposto a questo schema. Fa parte dell’antipolitica. Non quello di chi pensa di dover criticare i modelli sociali che Berlusconi offre all’Italia, ma quello di chi ritiene che dichiarare Berlusconi nemico e male supremo, risolva ogni problema di schieramento e di definizione politica della sinistra. In quel modo anche l’antiberlusconismo diventa una forma “elitaria” di impegno che mette in ombra, o cancella, o indica come superflua la lotta sociale e la ricerca di nuovi modelli di società.
Sei pessimista, Giordano…
No, non è vero che sono pessimista. Al contrario, io sento che ci sono molti anticorpi che possono combattere questa malattia “degenerativa”. Noi dobbiamo lavorare per mettere all’opera questi anticorpi, per farli agire. E gli anticorpi,fondamentalmente, hanno un solo nome: movimenti. Questa è la battaglia: i movimenti da una parte e l’elitarismo dall’altra. Negli ultimi mesi i movimenti li abbiamo visti in azione. Ti cito quattro date. Il 14 ottobre,quando c’è stata la manifestazione contro le Grandi Opere. Il 4 novembre con quell’enorme corteo a Roma contro il precariato, che ha suscitato molte polemiche. Il 18 novembre, a Milano, per la pace e la Palestina. Il 25 novembre, le donne contro la violenza. Cosa chiedono questi movimenti? Un rinnovamento della politica. Dicono alla sinistra: “il fatto di essere al governo non ha risolto tutto, non perché voi siate più bravi o meno bravi, ma semplicemente perché mai e in nessun caso la politica – la lotta politica – si risolve nello stare al governo o nello stare all’opposizione”.
Al contrario, tanti alleati del centrosinistra, e tutti i giornali, ci hanno detto: “state lontani dai movimenti, cambiate strada, perché se ti scindi dalla società conti di più nel governo. E dunque o col governo o coi movimenti”. Non è che io non lo capisca questo ragionamento, ne seguo perfettamente il filo: è il ragionamento intorno al quale si struttura quell’idea della politica della quale parlavamo prima: politica autoreferenziale e che trova l’assicurazione sulla sua riuscita nel fatto che è essa stessa a decidere la sua riuscita, senza riscontri esterni, senza farsi coinvolgere in dialoghi, o scontri, o verifiche, o combattimenti con la realtà esterna.
Da una parte la politica dall’altra la società. A far da tramite quei Due strumenti politici dei quali parlavamo: la passivizzazione e il populismo.Ecco noi siamo del tutto contrari. Quella idea è la classica idea centrista, e su quella idea scommette il Partito democratico. Noi scommettiamo sulla rinascita della sinistra, che abbiamo chiamato sinistra europea. Il partito democratico nasce su nessuna base di sinistra, nasce su una ipotesi assolutamente e classicamente liberal democratica. La sua creazione avviene
attraverso una operazione storico-politica complicata. E cioè l’assimilazione, da parte di un corpo politico di origine di sinistra, di un pacchetto di valori e principi presi in prestito da altri. Perché compiono questa
operazione? Perché si sono convinti che una società occidentale è governabile solo con quei principi, e dal momento che la destra li ha lasciati “liberi”, quei principi e quei valori si prendono a prestito.
Dentro lo schieramento che è coinvolto dalla nascita del partito democratico ci sono anche forze che non sono liberal democratiche.
E’ vero, esiste un settore che si oppone a questo processo liberale. Come si oppone? Sulla base della classica scelta socialdemocratica. Cioè sul rifiuto della pura e semplice trasposizione dei valori liberali in un corpo socialista. Naturalmente per noi è più facile parlare con i socialdemocratici. Ma se guardi il dibattito che è aperto, ti accorgi che nessuno di questi due spezzoni del riformismo interloquisce con la società.
Tu critichi quelli che ritengono il “governo” il fine ultimo e la soluzione di tutti i problemi politici. Però non puoi ignorare che la sinistra ora partecipa al governo e che c’è un problema-governo.
Certo che esiste questo problema. E’ facile da descrivere: il governo ha avuto in questi mesi una difficoltà ad aggregare attorno a se un consenso sociale.Questo è il problema. Per risolvere questi problema bisogna ritrovare il consenso sociale. Per ritrovare il consenso sociale credo che si debba attuare il programma definito in campagna elettorale. Cioè mantenere le promesse. Perché – ci dicono i sondaggi, ma ci dicono anche le nostre verifiche politiche – il Prc non ha avuto questo problema di calo del consenso sociale?
Perché ha usato come bussola il programma elettorale e perché quel programma elettorale era un punto politico molto avanzato, era vivo, veniva dalla pressione delle lotte e dei movimenti degli ultimi due o tre anni. Il programma ha rappresentato e rappresenta una leva politica formidabile e noi dobbiamo usarla, ed è la vera cerniera tra governo e movimenti.
L’uso rigorosissimo del programma, in presenza di una coalizione molto vasta, ha portato a momenti di forte instabilità.
E’ vero. Ma se guardi bene vedi che questa instabilità è stata la condizione che ci ha permesso di fare delle conquiste, di imporre delle cose che volevamo noi, di avere una finanziaria che certo ha molti difetti ma a anche alcuni aspetti positivi.
Ciampi ha detto che questa finanziaria manca di “missione”. Diciamo che tutto il governo manca di “missione”. Io ho una impressione un po’ diversa. Che questo governo tenti di tenere insieme la missione di Montezemolo (bene interpretata dai partiti riformisti, o almeno dai loro settori prevalenti: Fassino,
Rutelli eccetera…) con quella del Prc. Non è che gli manca, la missione, ne ha due, e forse due sono troppe…
Può darsi che ci siano due missioni in conflitto, in questo governo. E’ evidente che la missione, diciamo così, riformista,ha una forza elettorale più grande, e dunque più facilità a prevalere rispetto alla nostra missione. Però noi possiamo contrastarla perché quella seconda missione ha un punto debole: non ha consenso di massa. Il blocco sociale che ha permesso il successo elettorale dei riformisti è più vicino alla nostra missione che alla loro. C’è uno scollamento tra il futuro partito democratico e il suo blocco sociale. Il futuro partito democratico elabora politiche e visioni strategiche che non corrispondono al suo blocco sociale.Questo lo rende debole, insicuro, molto più debole della percentuale di voti che rappresenta, del numero dei parlamentari di cui dispone. La nostra forza sta qui. Ed è questa forza che ci permette di lavorare per costruire condizioni politiche più favorevoli a noi, cioè più favorevoli alla sinistra – e quindi per spostare a sinistra l’asse dell’Unione – contribuendo al tempo stesso a mantenere un livello sufficiente di stabilità. Ti faccio un esempio. Pensioni. Noi avremmo potuto dire agli altri partiti dell’Unione e ai sindacati: “Confrontiamoci sulla base di una proposta dei sindacati che sia stata approvata dai lavoratori”. Sarebbe stata una posizione semplicissima,limpida, che ci avrebbe risolto ogni problema. Noi però capiamo che non si fanno grandi passi avanti sulla base di una dinamica sociale e Sindacale piena ed avanzata, contrapposta a una dinamica politica arretrata e inconsistente. La spinta sociale non può sostituire la spinta politica, deve coordinarsi con la politica trovare l’interfaccia. Allora abbiamo detto all’Unione: “apriamo un confronto al nostro interno sulle pensioni, verifichiamo le proposte, le possibili mediazioni, le condizioni reali, gli obiettivi che ci diamo, le richieste che riceviamo dal nostro elettorato”.
Resta il problema che sembra esserci uno scarto tra le cose realizzate da questo governo e le aspettative dell’opinione pubblica.
Sì. Manca la consapevolezza che le aspettative del paese verso la sinistra sono molto più grandi delle cose fatte dal governo. Il paese si aspetta una politica di sinistra, non una politica timida e di centro. A maggior ragione occorre una nuova soggettività politica.
C’è nel paese una richiesta di sinistra più grande della possibilità della sinistra di rispondere. Torniamo al punto di partenza. All’urgenza della sinistra europea, che costruisca una idea nuova di società e che realizzi delle vere e proprie rotture dentro la società.
Cosa vuol dire rottura dentro la società?
Vuol dire ridare alla sinistra la prospettiva della trasformazione strutturale, cioè, se posso dirlo così, del superamento del capitalismo. C’è bisogno di questo. Altrimenti si è al di sotto delle trasformazioni di questi anni. Cosa è successo in questi anni? E’ cambiata la tipologia umana. C’è un uomo nuovo che è il prodotto di questa fase del capitalismo, ed è il prodotto del berlusconismo.
In che consiste l’uomo nuovo?
Provo a dirlo nel modo più semplice possibile. In una concezione ipertrofica del presente che cancella dalla vita di tutti i giorni, dalla politica, dalla cultura, dall’impegno, cancella il passato e cancella il futuro. Tutto avviene ora, in questo momento, e conta solo per ora, per l’istante presente. Sparisce la prospettiva e dunque assumono una importanza gigantesca l’individualismo, la competizione, il consumismo, il successo immediato. Sono questi i nuovi valori. Ti portano a fissare nel momento attuale tutte le tue aspirazioni. La precarietà è esattamente il frutto di questa concezione, è figlia di questo uomo nuovo. Funziona perfettamente in una società che non prende in considerazione il passato e il futuro. Se esiste solo il presente, la precarietà non esiste, non è considerata. In questo modo si perde ogni elemento di socialità, e di comunità, e io credo che si perda anche ogni elemento di umanità. Possiamo affrontare una crisi di questa portata - che è la crisi della destra ma dilaga anche nel nostro campo – senza porci il problema della ricostruzione di un modello diverso di vita, di socialità, di comunità? Come facciamo? Credo che dobbiamo riuscire a fare interagire tre grandi idee: l’uguaglianza, la libertà e la differenza (per esempio la differenza di genere). E’ l’impresa alla quale siamo chiamati. Correggendo gli errori del movimento operaio del novecento, che aveva scisso uguaglianza e libertà. Dobbiamo far coincidere la fine di questa scissione, con l’obiettivo di superamento del capitalismo.
Facciamo un bilancio del 2006.
Beh, per noi è sicuramente un bilancio positivo.Sono successe tantissime cose in quest’anno. Più che un anno mi sembra un decennio. Abbiamo vinto le elezioni, Fausto non è più segretario, siamo entrati al governo, stiamo mettendo alla prova un gruppo dirigente che costruisce il confronto e il conflitto dentro una maggioranza parlamentare.Stiamo chiamando ai vertici del partito una nuova generazione politica, che è quella nata da Genova in poi, cioè negli ultimi cinque anni. Stiamo conquistando, nella società, credibilità e autorevolezza. Si è creata nel gruppo dirigente una nuova e forte solidarietà, e questa è una grande risorsa che intendiamo utilizzare al meglio. Ora stiamo lavorando, insieme ad altre forze, alla costruzione della sinistra europea, che vuol dire anche rottura dei vecchi schemi della politica totalizzante e basata solo sull’appartenenza.
In campagna elettorale abbiamo imparato una cosa: la sinistra vince Quando avanza sulla base di una spinta sociale; e invece rallenta e rischia di perdere quando si fa travolgere dalla tecnica, dal politicismo.
Nell’ultima fase della campagna elettorale, quando ci si è fatti chiudere nella tecnicalità, c’è stato il pericolo di lasciar passare la rimonta populistica di Berlusconi.Se al populismo si oppone l’elitarismo, vincono loro. se facciamo tornare la politica, vince la sinistra.
Su "Liberazione" del 28 dicembre 2006