Home > Giuliana, Florence, libere!

Giuliana, Florence, libere!

Publie le giovedì 17 febbraio 2005 par Open-Publishing

Giuliana, non colomba della pace, ma donna di lotta, femminista, compagna!

Ti ho visto, oggi, Giuliana, nell’orribile video. Io ti riconosco, sei tu! Con il tuo sgomento, il tuo pianto di donna, la tua orrenda sofferenza!

Basta con il silenzio, con i pesci muti, basta!

Giuliana, non ho scritto nulla per timore che sentendo l’urlo del mio piccolo blog, gli aguzzini che ti tengono prigioniera ti potessero fare del male! A te, e a Florence.

Ti hanno dato la parola, oggi,- in quale modo - loro, i bastardi che ti torturano, che ti avviliscono l’animo, il corpo, con il terrore, maledetti!

Mi disgustano quelli che parlano di ’un’altra’ donna, una indomita guerriera che non conosce il dolore, la sofferenza, la disperazione del corpo avvilito dalla prigionia, l’animo torturato, una piaga.

La ’stampa’ non vede in te la donna disperata! Che piange per se stessa, per la sua vita in pericolo!

Anche in questi momenti drammatici, la falsità del maschile che ti rinnega, che ti reinventa una parte che si concili con la ’donna di pace’, l’icona della donna in missione!

Tu non sei una donna "di pace", ma di Lotta!

Una femminista e una compagna della prima linea.

No, non una pacifista del movimento paralitico che non sa salvarti, che non ha nulla delle vecchie e combattive antenate! Un pacifismo senza anima, come potrebbe averla, - l’anima - se non osa nemmeno sfidare la piazza a suon di fiori?

Non si smuove questo governo senza la nostra furia, per le strade, nelle piazze, al Quirinale, l’assedio permanente!

Dove siete, Femministe? Fuori dalle tane universitarie, dal buco del genere, in piazza, per Giuliana e Florence!

In nome della pace si tace chi sei, Giuliana!

Ti si accostano le vermi pacifiste, le volontarie dell’"Amore", le innocue Simone.

Tu sei una donna di lotta, una compagna femminista.

Per questo ti hanno rapito, ti imprigionano, ti massacrano, torturano la tua anima di donna!

Tu Giuliana, hai avuto l’ardire nei tuoi libri, nei tuoi articoli di sfidarli, di denunciare l’ignobile sfruttamento e l’ oppressione della donna musulmana, in tutto il mondo del Corano e non solo in Irak! Da sempre lo hai fatto, con Florence!

Per questo ti vogliono uccidere - i maledetti - Giuliana, perchè per loro, per tutto il mondo del Corano, è un pericolo la tua penna, il tuo ardire militante, il tuo coraggio di Donna questo temono!

Hai alzato tu, nei tuoi scritti, il velo, lo sozzume che fanno ogni giorno alle loro donne! Tu e Florence, certo!

Perchè si tace, perchè non lo si dice, chi siete, chi sei!

Per questo la volete uccidere, non per le truppe italiane in Irak, vero o no, quello che dico, mondo del Corano?!

Non lo potete dichiarare, ipocriti, che le volete assassinare perchè nemiche del Corano, l’inferno della donna, nemiche del "velo", del vostro "femminismo islamico!"

Che c’entra Giuliana con l’occupazione italiana, occupazione che la ripugna? Lo dice e lo scrive!

E Florence? Ci sono truppe francesi in Irak, forse? dove sono?

Chiunque siano i rapitori, che non tocchino la tua vita. Tua e quella di Florence.

Io mi auguro che ne esci viva. Che ritorni a casa, e Florence nella ’douce’ France. Ma se non avvenisse, Giuliana, noi donne, una vendetta più che divina, malefica. Non esisterà più nessuna Resistenza per noi, di qualunque colore sia.

Perchè - se ti toccano- è il mondo del Corano, tutto quanto che assassina la nemica del Corano.

Saranno schiacciati dagli invasori, sotto i nostri sguardi, muti, zitti. Senza una parola.

Questa sarà - se avvenisse a te qualcosa - la nostra tremenda vendetta.

La vendetta delle donne nuove, le combattenti silenziose occidentali, le combattenti di tutti i giorni della vita.

Giuliana, ho sentito pazzie alla televisione.

Dicono che il tuo pianto non ti appartiene, che ti hanno ’indotto’ a recitare una parte, non tua!

Che sinistro ricordo, mi sovviene, il sequestro Moro!

La sconfessione pubblica delle sue atroci lettere, l’accusa a tutto un mondo politico, il consulto calligrafico, il voltaschiena dei vecchi amici, sordi alla voce vivente.

Giuliana, ti penso, ti pensiamo, sono vicina al tuo cuore, a quello di Florence.

Dove siete? In quale lager vi hanno gettato, questi bastardi?

Ascolta Giuliana, ti sta giungendo la voce delle sorelle, le compagne femministe, le sopravvisute alla deportazione degli anni ’80, la nostra ’shoah’.

Hai in noi il calore di cui hai tanto bisogno, tu e Florence.

Giuliana, coraggio, forza! Non piangere, ti supplico ... che fare?

Sabato, Giuliana tutte in piazza, ti devono liberare, che Berlusconi tiri fuori i soldi, che Ciampi si offra al tuo posto! Che si offra il Papa come agnello sacrificale, per la colomba della pace!

No, non sei questo, tu! Noi donne ti dobbiamo salvare! Un nuovo tsunami che ti porti via, dall’Irak, dal paese maledetto dagli dei.

Con Florence, la tua amica di sempre ... Sarete libere, presto, lo sento, Giuliana ...

Giuliana, Florence, compagne, coraggio, en avant! Vi abbraccio, strette


Giuliana Sgrena non è sposata e non ha figli, prima delle vicende irakene si era a lungo interessata dell’Afghanistan dove era stata più volte inviata, ma anche della situazione politica e sociale dei Paesi del Maghreb con particolare riferimento alla situazione femminile delle donne algerine.

La giornalista vanta un passato politico come militante del Pdup, esperienza che ha condiviso con alcuni fondatori del ’Manifesto’.

Libri di Giuliana:

La schiavitù del velo: voci di donne contro l’integralismo islamico. A cura di Giuliana Sgrena. Roma: Manifestolibri, 1995.

Voci di donne maghrebine: "La schiavitù del velo", a cura di Giuliana Sgrena. (Presentazione)

Un filo sottile, ma resistente, le separa dal mondo. Rappresentazioni stereotipate di corpi che impongono un’unica immagine di donna - sottomessa al potere maschile. Ma dietro gli higiab pullulano migliaia di storie, che a volte riescono a superare le barriere dell’integralismo. A loro, a queste donne costrette al silenzio, è dedicato "La schiavitù del velo" (ed. manifestolibri), a cura di Giuliana Sgrena. Voci maghrebine, soprattutto di algerine, si sollevano per denunciare il patto fondamentalista che, cancellando ogni traccia di democrazia, ricaccia le donne dentro le mura domestiche, le riduce alla dimensione biologica. Le ammazza in quanto peccatrici, colpevoli di una colpa originaria che solo la morte può cancellare. Sono loro quindi le prime a ribellarsi, a parlare in nome della libertà e dell’uguaglianza.

Come Pechino ha insegnato esistono valori e diritti universali che non possono essere stemperati con la scusa delle differenze culturali. Ma, nell’Occidente civilizzato, non sono pochi - spiega Djedjiga Imache nella prefazione - a scambiare la furia fondamentalista con una reazione alla cultura coloniale che così a lungo ha oppresso il mondo arabo. Si giustificano in tal modo le pratiche più misogine, come il velo o l’infibulazione, perché espressione della tradizione e della religione dei popoli musulmani. Non di emancipazione si tratta - obietta Imache - ma di fascismo, di un progetto politico teso a creare una repubblica islamica, dove viga la sharia, la legge coranica. Lo sanno bene le algerine che fin dall’84 subiscono le regole antiegualitarie del Codice di famiglia e come loro le egiziane, di cui parla Farida an Nakkash, e le marocchine, raccontate da Liana Khalil.

Eppure, ammettono dolorosamente le autrici di "La schiavitù del velo", sono tante le donne che accettano, apparentemente di buon grado, di indossare il higiab e di sottostare alle regole degli integralisti. Come è possibile una tale abdicazione a se stesse? Per Chérifa Bouatta le giovani aderiscono all’islamismo perché offre loro un’alternativa alla legge paterna, permettendo di ricevere un riconoscimento sociale. Ma così agendo, scive Bouatta, l’adolescente riproduce il patriarcato a cui vorrebbe sottrarsi e vive un desiderio negato o contrastato in quanto conduce all’isolamento e alla chiusura. Secondo Farida an Nakkash l’adesione delle donne all’islamismo è una reazione. "Succede spesso - spiega la scrittrice - che la vittima, priva di alternative e di risorse, accetti l’immagine di sé che le propongono i suoi aguzzini, e consideri il posto che le viene assegnato quasi fosse di sua scelta". Ma - sottolinea Nakkash - influenzando la coscienza che la donna ha di sé, la cultura dei Fratelli musulmani e del Gihad ne ha limitato fortemente le potenzialità e le energie.

Per fortuna, ci ricordano le testimonianze di La schiavitù, non tutte si sono piegate, hanno ceduto, sia pure per difendersi. Sono molte, molti, coloro che ogni giorno, per il fatto stesso di non abbandonare il loro paese, combattano una strenua battaglia per la democrazia. Come Wassini Laredj, unico scrittore ospitato in un libro tutto femminile, che parla della sua resistenza quotidiana, delle strategie che ha appreso per vivere ad Algeri, non rinunciando alle sue passioni e al suo sogno di uno stato libero. Come Naila Imaksen, che nel "Diario di Sara" esprime le angoscie di una donna che vince la morte e il terrore con l’esercizio della scrittura e della memoria. Mentre la stampa pro-integralista istiga alla violenza e al disprezzo delle genere femminile, molti giornalisti e molte giornaliste non smettono di credere in un’informazione libera, in un paese restituito alla popolazione civile e ai valori laici. E, leggendo "La schiavitù del velo", ci sentiamo partecipi dello stesso progetto di civiltà.


GIULIANA SGRENA

Gli algerini e altri musulmani sono emigrati in Francia da decenni, molte delle ragazze che rivendicano oggi il diritto di portare il velo sono nate in Francia, a volte anche le loro madri. La questione del velo è scoppiata, per la prima volta, una quindicina di anni fa. Perché? Una coincidenza suggerisce una risposta: la rivendicazione del velo è apparsa in Francia, e non solo, dopo l’apparizione e l’affermazione dell’islamismo radicale. La questione quindi più che religioso-culturale è politica. Qualcuno parla di tradizione - ma anche le nostre nonne portavano il fazzoletto e noi no - qualcun altro la nobilita chiamando la questione identitaria e a farlo sono soprattutto i maschi, che dettano legge a proposito. Ma perché i maschi devono costruire la loro identità sul corpo delle donne? Non c’è infatti dubbio che il velo simbolicamente rappresenta il controllo del maschio sulla sessualità della donna: il fazzoletto - l’hijab, il niqab, il burqa, a seconda delle versioni - viene imposto alla donna in età fertile - dopo la prima mestruazione - ed è esentata dal portarlo solo quando si trova in presenza di maschi con i quali un eventuale rapporto sessuale sarebbe incestuoso.

Non solo. L’identità del maschio si basa sull’onore e sulla virilità: l’onore dell’uomo (non solo il marito, ma anche il padre o il fratello) si costruisce sul pudore della donna, per questo il suo corpo deve essere nascosto, invisibile - si dice ipocritamente «protetto».

Qualcuno obietta: ma se invece è la donna, autonomamente, a scegliere di portare il velo? Avevo rivolto la stessa domanda a un’amica algerina, che non ha avuto dubbi: «Come si può parlare di libertà di scelta quando una donna è considerata un essere inferiore?»

Giuliana Sgrena, Kahina contro i califfi. Roma: Datanews, 1997

http://donnaproletaria.blog.tiscali.it