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Tutte le persone di normali capacità intellettive sanno -perché constatato in troppe occasioni - che l’Italia è un paese a sovranità limitata, dove la legge vale per tutti, chi più chi meno, esclusi gli yanqui ed i rappresentanti del Vaticano: preti, suore e frati.
Il 7 novembre i socialisti hanno presentato al Senato un emendamento alla legge Finanziaria 2008 che prevedeva che la chiesa cristiana-cattolica-apostolica-romana pagasse la tassa Ici, come fanno tutti i contribuenti: anzi, per agevolarla per l’ennesima volta, il provvedimento si riferiva ai soli locali commerciali di sua proprietà e non anche a chiese, oratori, scuole e quant’altro non fosse strettamente commerciale.
Nonostante questa pesante, ed assolutamente ingiustificata,limitazione alla salvaguardia della legge italiana, l’emendamento è stato bocciato con 12 voti a favore, 240 contrari e 48 astenuti, che al Senato vengono conteggiati come voti contrari.
Prima di stigmatizzare l’infame comportamento di chi -tutta la "destra radicale" (la sedicente Casa delle
Libertà) e la "destra moderata" (tutta la destra democristiana dell’Unione) - ha votato per mantenere
inaccettabili privilegi ad una casta che sottrae al fisco italiano 6 miliardi di Euro all’anno (l’equivalente di un terzo di Finanziaria) ci preme indicare coloro che non si sono piegati ai soliti ricatti della destra unionista, ben sintetizzati dal capogruppo dell’Udeur - Tommaso Barbato -che afferma: "prendiamo atto dell’atteggiamento della sinistra su questo punto e, di conseguenza, ci sentiamo liberi di comportarci in maniera analoga nel prosieguodell’esame della Finanziaria".
Detto che Gavino Angius, in quanto presidente dell’aula in quel momento, non ha partecipato alla votazione, hanno dato luce verde i senatori Montalbano e Barbieri (Ps),Bulgarelli (Verdi), Del Pennino (Pri), Turigliatto(Sinistra Critica, ex Rc-Se), Furio Colombo (Pd) ed altri sei coraggiosi; il resto della cosiddetta "sinistraradicale" si è dimostrato codardo fino in fondo,astenendosi oppure uscendo dall’aula.
Emblematico è il caso della senatrice pisana Rina Gagliardi (Rc-Se) che annuncia l’astensione sua e del suo gruppo affermando: "noi vorremmo votare questo emendamento ma il senso di responsabilità ci fa esprimere una scelta diversa e sofferta", piegandosi così, come al solito, ai voleri della "destra moderata" democristiana.
Il vicepresidente del Senato, l’avvocato sassarese Angius,commenta: "voto semplicemente sconcertante. L’astensione diRifondazione comunista ha veramente dell’incredibile. Come quelle di Sinistra democratica, Verdi e Pdci", e conclude che "altro che massimalista, questa sinistra è diventata
ormai flessibile".
Come si può dargli torto?
Ormai tutto il parlamento è formato sempre più dai buffoni di corte di papa Ratzinger, e questa ne è l’ennesima prova.
Messaggi
1. Giullari alla corte di Ratzinger, 10 novembre 2007, 11:31
certe battaglie giornalistiche contro la chiesa sanno di propaganda elettorale Lo scopo di certa stampa temo che non sia quello di demolire la Chiesa, ma di portarla al proprio ovile.....
2. Giullari alla corte di Ratzinger, 10 novembre 2007, 12:05
DOVETE FARE CHE ICI DELLA PRIMA CASA SI DEVE TOGLIERE QUELLI CHE SISONO SPOSATI
3. Giullari alla corte di Ratzinger, 10 novembre 2007, 17:21
Sì, hai tutte le ragioni di questo mondo ma io mi domando: perchè non ce la prendiamo una volta tanto con quel bordello di parte politica che, con l’ennesimo colpo di mano, ha tolto l’ICI?
O vale sempre la regola che qualcuno è SEMPRE autorizzato a sfasciare ed altri DEVONO sempre riparare?
4. Giullari alla corte di Ratzinger, 10 novembre 2007, 18:31
NON LO TROVO AFFATTO GIUSTO!!!
FATE PAGARE AI SIGG. DEL CLERO IN TERRITORIO ITALIANO QUANTO DOVUTO
PER TUTTI I LORO POSSEDIMENTI...ALTRO CHE FINANZIARIA...
INUTILE AUMENTARE QUESTO TOGLIERE QUELLO...PRENDETE I SOLDI DA CHI
LI HA...E LORO LI HANNO...!!! ICI PRIMA CASA...L’UNICA COSA GIUSTA!!!!
5. Giullari alla corte di Ratzinger, 12 novembre 2007, 11:17
La polemica, creata da una lettura approssimativa della normativa e dalla malevola distorsione dei dati oggettivi, dura ormai da un paio di anni e si arricchisce via via di elementi che, estranei alla questione originaria, lasciano trasparire la volontà di attaccare l’attività sociale che la Chiesa svolge in Italia attraverso i tanti enti che la compongono.
È perciò utile ripercorrere sinteticamente i fatti obiettivi, con riferimento a ciò che ha originato la polemica: l’interpretazione dell’esenzione Ici. Tra le ipotesi di esclusione dall’imposta previste fin dal 1992 vi è quella che riguarda gli immobili «utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, c. 1, lett. c) del testo unico delle imposte sui redditi approvato con D. P. R. 22. 12. 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive» (decreto legislativo 504/92, art. 7, c. 1, lett. i). La norma richiede il contestuale verificarsi di due condizioni: gli immobili sono esenti solo se utilizzati da enti non commerciali — tali sono quelli indicati attraverso il rinvio al D.P.R. 917/86 — e se destinati all’esercizio esclusivo di una o più tra le otto attività individuate.
I destinatari dell’agevolazione sono gli enti che costituiscono il cosiddetto mondo del non profit, cui appartengono, oltre agli enti della Chiesa cattolica, anche quelli delle altre confessioni religiose, gli enti pubblici, le onlus, le associazioni di volontariato, le organizzazioni non governative, le associazioni sportive, quelle di promozione sociale e persino i partiti politici. Sono soggetti sottoposti a precisi e rigorosi vincoli normativi che garantiscono l’assenza del lucro soggettivo: essi non possono distribuire utili e avanzi di gestione, né devolvere a fini lucrativi il patrimonio residuo in caso di scioglimento.
Dopo un lungo periodo di pacifica applicazione dell’esenzione lo scenario è cambiato quando, nel 2004, la Corte di Cassazione aggiunge un nuovo requisito a quelli previsti dalla legge: per avere diritto all’esenzione si richiede non solo che l’immobile sia utilizzato da un ente non commerciale e sia totalmente destinato a una o più delle attività previste dalla legge, ma anche che l’attività non venga svolta in forma di «attività commerciale». La «singolarità» dell’interpretazione è evidente se si considera che sotto il profilo tributario un’attività è considerata commerciale se «organizzata» e se resa a fronte di corrispettivi, cioè con il pagamento di rette — anche se tanto contenute da non coprire neanche i costi — o in regime di convenzione con l’ente pubblico.
Per ristabilire l’originario ambito dell’esenzione il legislatore è intervenuto con due norme di interpretazione autentica, che hanno portato ora a precisare che l’esenzione è subordinata alla circostanza che le attività agevolate siano svolte in maniera «non esclusivamente commerciale».
Questi gli elementi oggettivi della questione. Ora il lettore può valutare l’inconsistenza di alcune delle accuse mosse. È falso che l’esenzione sia riservata agli enti ecclesiastici: essa riguarda tutti gli enti non commerciali. È falso che l’esenzione spetti per tutti gli immobili della Chiesa cattolica: essa è limitata a quelli utilizzati per le attività previste dalla legge. In tutti gli altri casi — librerie, ristoranti, hotel, negozi e per le abitazioni concesse in locazione — l’imposta è dovuta. La più odiosa delle accuse è quella secondo la quale l’esenzione verrebbe ottenuta inserendo una cappellina in un immobile non esente, così da farlo rientrare nel concetto di immobile destinato ad attività «non esclusivamente commerciali». È vero il contrario: una cappella all’interno del solito albergo perderebbe l’esenzione di cui, autonomamente considerata, godrebbe.
Da ultimo una precisazione circa l’esenzione spettante agli alberghi degli enti ecclesiastici. L’affermazione è falsa in quanto l’attività alberghiera non rientra tra quelle esenti. Lo sono invece gli immobili destinati alle attività «ricettive», quelli cioè ove si svolgono attività di «ricettività complementare o secondaria» definite da leggi nazionali e regionali e regolate, a livello di autorizzazioni amministrative, da norme che ne limitano l’accesso a determinate categorie di persone e che, spesso, richiedono la discontinuità nell’apertura: per esempio, pensionati per studenti, case di ospitalità per parenti di malati ricoverati in strutture sanitarie distanti dalla propria residenza, case per ferie, colonie e strutture simili.
Se qualche albergo si comportasse come una casa per ferie non ne conseguirebbe che l’esenzione è ingiusta, ma che è erroneamente applicata. Per questi casi i comuni dispongono dello strumento dell’accertamento, che consente loro di recuperare l’imposta evasa. E prima ancora essi dovrebbero contestare ai gestori l’esercizio di attività alberghiera con un’autorizzazione amministrativa incongrua.