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Governo in guerra contro il lavoro

Publie le giovedì 1 gennaio 2009 par Open-Publishing

Governo in guerra contro il lavoro

di Alberto Burgio

I bollettini quotidiani della crisi informano sul calo dei consumi, il dilagare della povertà (alcuni) e le misure compassionevoli del governo. Un versante resta invece sistematicamente in ombra, mentre va posto in rilievo non soltanto per completezza di informazione, ma perché aiuta a intuire a quali devastanti esiti la crisi rischi di condurre. Riguarda quanto sta accadendo al lavoro subordinato (salariato ed «eterodiretto») per l’effetto congiunto dei provvedimenti assunti o annunciati dal governo e dell’iniziativa di parti sociali (a cominciare dalla Confindustria).

Di ciascuna misura viene data notizia molecolarmente. Ma quel che servirebbe (e che non viene invece fornito) è il quadro d’insieme. Che narra di un nuovo e più distruttivo capitolo di quella guerra contro il lavoro che costituisce la costante di fondo della fase storica apertasi trent’anni fa con la «rivoluzione neoliberista». Un nuovo capitolo che - se la gestione governativa e padronale della crisi conseguirà i propri obiettivi - prefigura una condizione sociale e politica ancor più degradata, iniqua e violenta dell’attuale.

Limitiamoci agli elementi di maggiore importanza. Mentre l’attenzione pubblica è polarizzata su tutt’altre questioni (dall’Iva sulle pay-tv alla giustizia, alle liti interne all’opposizione), il governo vara misure che riducono seccamente la tutela della sicurezza sul lavoro. Cancella l’obbligo di notificare preventivamente l’assunzione; differisce i termini per la compilazione dei documenti di valutazione di rischi e stress; rimanda l’entrata in vigore dell’obbligo di comunicare all’Inail gli infortuni con effetti di durata superiore a un giorno; reintroduce il principio di autocertificazione nelle piccole e medie imprese (che registrano la maggiore incidenza di infortuni gravi); attenua l’apparato sanzionatorio istituito dal Testo unico approvato nell’ultima legislatura.

Altri provvedimenti ledono gravemente i diritti dei lavoratori. Si pensi al drastico ridimensionamento delle competenze del giudice del lavoro; al potenziamento delle procedure di autocertificazione; all’esperimento-pilota della Cai in deroga alla normativa sulla cessione del ramo d’azienda (per cui i lavoratori ex-Alitalia assunti dalla nuova compagnia perderanno i diritti acquisiti). Si pensi, ancora, all’introduzione delle schedature per i dipendenti pubblici che scioperano e all’intenzione di condizionare gli scioperi nel settore privato all’esito favorevole di un referendum consultivo. E si pensi, infine, al rinvio del divieto delle visite preventive; all’abrogazione della procedura tesa a impedire la firma delle dimissioni in bianco; alla possibilità di superare le 48 ore settimanali senza nemmeno l’obbligo di darne comunicazione alla Dpl.

Vi è poi la partita della precarietà. Reintrodotto il lavoro a chiamata, è stata ulteriormente dilatata la durata dei contratti a termine. Ampliate platea e causali per il lavoro accessorio, è stata abolita la durata minima del contratto di apprendistato e sono state poste le condizioni per la precarizzazione di tutti i neoassunti nelle università pubbliche. Non basta ancora. Ben prima di prestare attenzione agli effetti della recessione, il governo ha pianificato pesanti tagli nel pubblico impiego prevedendo il limite del 10 per cento del turn-over, negando la stabilizzazione dei precari e varando la controriforma Gelmini della scuola.

Quanto al salario, mentre dilagano disoccupazione, cassa integrazione e lavoro nero (+41 per cento sul 2007) e il fisco succhia 8 miliardi in più dal lavoro dipendente (a fronte dei 100 miliardi puntualmente evasi da impresa e lavoro autonomo), si decurtano salario accessorio e trattamento di malattia, si taglia il fondo per la contrattazione integrativa e si preannuncia la settimana corta con corrispondente riduzione del salario. Sulle pensioni, la Confindustria reclama il ritorno allo scalone Maroni (poco importa che l’Inps chiuda anche il 2008 con 8 miliardi di attivo) e il ministro della Pubblica amministrazione annuncia l’innalzamento a 65 anni dell’età pensionabile delle lavoratrici. Intanto, grazie a Cisl e Uil, procede la trattativa separata sul modello contrattuale, tesa oggi a smantellare il contratto nazionale per arrivare domani ai contratti individuali.

Fermiamoci qui e traiamo qualche sintetica conclusione. Primo: forse chi pensa che il capitalismo sia cambiato e il conflitto capitale-lavoro non sia più centrale come una volta dovrebbe riflettere attentamente su questo catalogo. Secondo: chi ritiene che dalla crisi, data la sua gravità, si uscirà necessariamente a sinistra, consideri come, per contro, la dinamica critica tenda ad autoalimentarsi. Che la sovrapproduzione consegua a una trentennale distruzione dei diritti del lavoro e al sistematico sfondamento su orario e salario non comporta alcun automatismo a vantaggio del lavoro (come sembra confermare il fatto che nessun Paese stia alzando i salari in funzione anticrisi). Al contrario, il rischio che si profila è un generale peggioramento della condizione lavorativa, con il corollario di una intensificazione della pressione autoritaria dell’impresa e dello Stato.

Terzo allegato e ultimo: l’opposizione sociale c’è, come dimostrano l’Onda e il successo del 12 dicembre e come ribadirà lo sciopero di Fiom e Funzione pubblica il 13 febbraio. Per parte sua, Rifondazione comunista è tornata a investire su una forte ripresa del conflitto. L’opposizione parlamentare invece è del tutto assente, come attestano il voto bipartisan sul vergognoso decreto Brunetta e l’attivismo del Pd in tema di flexsecurity. E si faccia bene attenzione: questa circostanza non aiuta a comprendere soltanto la virulenza dell’offensiva di governo e padronato contro il lavoro, ma anche il dilagare della questione morale tra le file dell’opposizione, fatale conseguenza del degradarsi della politica a mera gestione dell’esistente. Non è forse anche questa una lezione che ci parla della centralità del conflitto di classe?