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Grecia paralizzata. Dolore e rabbia ai funerali di Alexis
Publie le giovedì 11 dicembre 2008 par Open-PublishingGrecia paralizzata. Dolore e rabbia ai funerali di Alexis
di Laura Eduati
Chi sono i ragazzi che bruciano decine di edifici, negozi, macchine, che assaltano banche, commissariati e lanciano sassi e molotov contro la polizia, mettendo a ferro e fuoco la Grecia per il quarto giorno consecutivo?
La stampa internazionale parla di rivolta studentesca, e certamente gli studenti sono il cuore della protesta scaturita dall’uccisione del quindicenne Alexandros Grigoropoulos, ammazzato a sangue freddo sabato sera da un agente ora incriminato per omicidio. Sono studenti coloro che hanno partecipato, ieri, alla folta manifestazione pacifica per protestare contro l’assassinio. Il corteo, composto anche da professori, docenti universitari e genitori, è partito dall’università di Atene e si è concluso davanti al Parlamento dove decine di giovani hanno cominciato a tirare pietre, vernice rossa e bottiglie incendiarie contro la polizia proprio mentre, nella periferia sud della capitale, cominciavano i funerali di Alexis.
La cerimonia, assistita da circa cinquemila persone, è stata movimentata da un gruppo di duecento ragazzi che per rispettare il volere della famiglia, contraria alle telecamere durante la funzione, ha cacciato una troupe televisiva provocando l’arrivo immediato degli agenti. I manifestanti hanno lanciato sassi alle forze dell’ordine. Un agente ha sparato in aria per disperdere la folla, proprio mentre era inquadrato da una telecamera: una scelta infelice, visto il luogo e le circostanze della morte di Alexis.
Un ragazzino di 14 anni è stato fermato e subito rilasciato dalla polizia su richiesta delle persone che partecipavano al funerale. Parallelamente, migliaia di persone hanno sfilato a Salonicco in un corteo concluso con tafferugli. Sempre nella capitale, i ribelli hanno attaccato quattro commissariati nel quartiere Nea Smyrni e qualche manifestante ha tentato di occupare l’Istituto italiano di cultura, piano sventato dall’arrivo della polizia, mentre i disordini si sono riprodotti anche nelle isola di Rodi e nella città di Ioannina.
Gli slogan della protesta includono "Vendetta, vendetta" e "Poliziotti assassini". Su Facebook aumenta minuto dopo minuto il numero di coloro che si uniscono virtualmente al gruppo creato per ricordare il ragazzo ucciso, "Alexandros Grigoropoulos R.I.P.", più di centomila contatti e numerosissime foto scattate dai manifestanti durante gli scontri. Accanto, il gruppo degli anarchici A.c.a.b. (acronimo di all cops are bastards, i poliziotti sono tutti bastardi, ndr) con circa 200 iscritti.
Dopo giorni di generale esaltazione per la formidabile ribellione anti-governativa, ora è la stessa sinistra greca a prendere le distanze dai devastatori di negozi e commissariati. «Devono capire che soltanto una ribellione organizzata e pacifica potrà risultare efficace» commenta il giovane Dimitri Tzacanapoulos, dirigente della coalizione di sinistra Synaspismos, «altrimenti tra qualche giorno l’opinione pubblica comincerà a dare ragione a Karamanlis e pretendere sicurezza e ordine».
Pare insomma che lo zoccolo duro responsabile degli atti di vandalismo siano principalmente anarchici militanti e giovani senza occupazione, disperati per la mancanza di futuro, accanto ai quali si schierano gli immigrati illegali che in Grecia non trovano alcuna opportunità. E, certo, studenti liceali e universitari. Persino ragazzini di dodici e tredici anni che per la prima volta assistono alla rabbia feroce di un Paese intero, si armano di mazze chiodate e si coprono con la sciarpa per non essere riconosciuti. Un miscuglio di rivendicazioni diverse ma cementate da un unico scopo: far cadere il governo Karamanlis. Per il partito comunista Kke, i devastatori di questi giorni sono addirittura manovrati dai servizi segreti «per spaccare il fronte operaio». Bisogna evitare, avverte la leader dei comunisti Papariga, di fare confusione tra gli studenti e gli «incappucciati» che lei stessa definisce dei «Talebani».
Ed è sempre la sinistra cosiddetta radicale a non pretendere le dimissioni del premier Karamanlis, o almeno non subito, dimissioni richieste invece pubblicamente dal maggiore partito all’opposizione, i socialisti di George Papandreou. «Questo governo non ha più la fiducia del popolo, questo governo non riesce a proteggere i cittadini», ha dichiarato il leader di Pasok riferendosi molto probabilmente non soltanto all’assassinio immotivato di Alexis, ma anche alle devastazioni che non accennano a diminuire.
La virata di Papandreou, dato per vincente dai sondaggi, accade proprio quando il primo ministro aveva riunito i principali leader dell’opposizione in cerca di unità nazionale per uscire dalla crisi.
E così Karamanlis è stretto tra l’incudine e il martello: se chiedesse lo stato di assedio potrebbe utilizzare l’esercito per portare la calma nelle strade greche, ma rischierebbe di rinfocolare la rivolta e un altro morto sancirebbe la fine politica del governo di centrodestra già precipitato nei sondaggi, senza contare i fantasmi della dittatura dei colonnelli che evocherebbero i soldati in città; al contrario sceglie di stare a vedere se le ribellioni scemano spontaneamente, cosa che per il momento non sembra avvenire: le devastazioni si sono spostate, seppure in misura minore, in zone lontane dal centro della capitale. Ora come ora, non è chiaro in quale modo il governo placherà gli scontri e per il momento il cosiddetto pugno duro viene affidato al ministro dell’Interno Prokopis Pavlopoulos, che ha ordinato quasi duecento arresti, una novantina soltanto nella capitale. Amnesty International avverte che durante le manifestazioni la polizia greca sta abusando della propria forza, colpendo anche manifestanti pacifici.
Nei quartieri ateniesi inviolati dagli scontri la vita continua come sempre: acquisti natalizi, persone che si recano al lavoro, insomma un clima di pace rotto soltanto dalle inquietanti immagini televisive che ventiquattr’ore al giorno mostrano la peggiore crisi della Grecia degli ultimi trent’anni. La rabbia, esplosa con la morte di Alexis, covava da tempo immemore. Anche contro la polizia, accusata di avere ucciso cento persone dagli anni ’80 ad oggi. Un numero elevatissimo, impressionante.
Rabbia per la crisi finanziaria, anche. Il governo di Karamanlis ha deciso la privatizzazione delle società di servizio pubblico, già i porti del Pireo e di Salonicco sono in mano a imprenditori cinesi. Su tutto, la privatizzazione delle università che oggi diventano uno degli epicentri della lotta in quanto la costituzione vieta che le forze dell’ordine possano entrare nelle facoltà. Il Politecnico di Atene è occupato da giorni, mentre il rettore dell’università si è dimesso per protesta poiché la polizia non avrebbe evitato la completa distruzione di un edificio dell’ateneo. I docenti universitari concludono oggi i tre giorni di astensione dalle lezioni, ma non è escluso che la protesta continuerà.
E oggi la Grecia si ferma per uno sciopero generale di 24 ore proclamato dai sindacati per chiedere una radicale riforma del welfare e misure differenti in campo economico: sotto tiro la decisione del governo di ricapitalizzare le banche in crisi, togliendo risorse alle casse pubbliche in un momento di grave impoverimento della popolazione. I sindacati che organizzano lo sciopero, la confederazione dei lavoratori Gsee e l’unione degli impiegati statali Adedy, prevedono un enorme mobilitazione davanti al Parlamento. Atene rimarrà bloccata per tutta la giornata e verranno interrotti parzialmente i collegamenti aerei e marittimi con le isole.
Naturalmente anche gli studenti scenderanno in piazza contro la riforma dell’istruzione e la privatizzazione degli atenei. La Grecia brucia, e nessuno sa per quanto tempo ancora.