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Guerra al diritto di sciopero

Publie le sabato 28 febbraio 2009 par Open-Publishing

Guerra al diritto di sciopero

di Sara Farolfi

Approvata la legge delega che controriforma il diritto di sciopero. Confermata l’adesione preventiva e lo sciopero virtuale. Resta il nodo della democrazia. E tra due anni arriverà un Testo unico valido anche per tutti gli altri settori. La Cgil isolata. Il governo esulta, insieme a Confindustria, Cisl e Uil

Un Testo unico sul diritto di sciopero, entro due anni. E’ negli ultimi capoversi del disegno di legge (ddl) approvato ieri dal consiglio dei ministri che si coglie il progetto complessivo del governo: coerentemente agli obiettivi della legge, «il governo è altresì delegato ad apportare all’ordinamento vigente ogni ulteriore modifica e integrazione, con la possibilità di redigere, entro 24 mesi, un testo unico delle disposizioni in materia di diritto di sciopero». Il testo approvato ieri - in nessun punto del quale, peraltro, si legge che si tratta di norme «limitate» al settore dei trasporti - non è dunque che l’inizio, i trasporti l’apripista. Gli ’scalini’ per avere diritto alla proclamazione di uno sciopero salgono addirittura a tre mentre - «ammesso che sia lecito collegare un diritto a una soglia di rappresentanza», nota Fabrizio Solari (Cgil) - resta insoluto il nodo dei nodi: come si certifica la titolarità di un’organizzazione sindacale a firmare accordi o proclamare scioperi. Tutto ciò che non è Cgil, Cisl e Uil viene tagliato fuori e proprio nel settore dove più sono presenti sindacati di base, basti pensare al caso Alitalia o alle Ferrovie. Sacconi e Brunetta esultano, l’intendenza Cisl e Uil segue. Confindustria rilancia e chiede l’export delle nuove norme anche nel privato. Risalta la solitudine di Epifani (Cgil): «Mettere una cappa su un diritto di libertà, come è quello di sciopero, è il segno che si vuole rendere più debole la capacità di rappresentazione e di risposta del lavoro, per rendere più forte quella della sua controparte. Per noi questo non è accettabile».

Diritto di sciopero virtuale

Il governo avrà ora un anno di tempo per firmare i decreti che modificano le regole nel settore dei trasporti (e a seguire un altro anno per redigere il Testo unico). Il testo approvato ieri dai ministri ne definisce i contorni dell’intervento, restringendone ancora di più l’esercizio. Potranno proclamare scioperi quelle organizzazioni sindacali che, nel settore, hanno un grado di rappresentatività superiore al 50 per cento. Chi non ci arriva, ma deve raggiungere una soglia di rappresentatività di almeno il 20%, potrà indire un referendum tra i lavoratori, e lo sciopero potrà farsi se almeno il 30% sarà favorevole. Nei servizi di particolare rilevanza (non si dice quali) sarà obbligatoria l’adesione preventiva di adesione allo sciopero da parte del singolo lavoratore: un modo ottimale per consentire alle aziende di sostituire chi protesta o, alla peggio, per provvedere alla dissuasione. Contro il cosiddetto «effetto annuncio», la revoca degli scioperi dovrà essere comunicata con largo anticipo.

Resta lo sciopero virtuale, che sarà regolamentato nei vari contratti: si tratta di quella forma di agitazione in cui il lavoratore resta al lavoro ma senza percepire stipendio, mentre all’azienda viene comminata una sorta di multa da devolvere in beneficenza. Si tratta di una forma di protesta da tempo esistente, quasi mai utilizzata (per la difficoltà di trovare accordi sull’entità della ’multa’ da comminare all’azienda). Perciò Sacconi ha voluto renderlo più agevole con la possibilità per il lavoratore di restare al lavoro senza rinunciare allo stipendio, magari «con un segno distintivo al braccio, penso a una fascia al braccio che indica uno stato di malessere...». Lo sciopero virtuale sarà obbligatorio «in alcuni settori per la delicatezza del servizio». mai nel testo si dice che le norme sono ’limitate’ ai trasporti: l’accento viene posto sulla difesa del diritto alla mobilità. Cambia anche il ruolo della Commissione di garanzia, la cui terzietà già oggi non era certo cristallina, e che potrà avere competenze «conciliative, anche obbligatorie» per la risoluzione di conflitti, servendosi, guarda un po’, delle strutture del ministero del lavoro. Arrivano infine sanzioni amministrative (da 500 a 5000 euro) per chi viola le norme e per chiunque «blocchi strade, porti, aereoporti, e stazioni».

Il nodo della democrazia

Resta insoluto il vecchio nodo della rappresentanza e della rappresentatività - l’unico settore ’regolato’ da questo punto di vista è il pubblico impiego - ossia di come venga stabilita la titolarità a proclamare scioperi o firmare accordi.

«Se ci vuole una soglia, ossia una verifica del reale consenso, per proclamare uno sciopero, e ammesso che questo sia lecito, non si capisce perché non debba esserci un meccanismo di verifica quando si fanno piattaforme o si firmano contratti», nota Fabrizio Solari (Cgil). Sarà obbligatorio un referendum per decidere un’astensione, mentre non lo è per verificare il consenso dei diretti interessati su un’accordo. Persino se oggetto dell’accordo sono le regole della contrattazione, come è avvenuto il 22 gennaio scorso con la firma dell’accordo sul modello contrattuale senza quella della maggiore confederazione in termini di iscritti (la Cgil). E senza che nell’accordo stesso si preveda il ricorso alla misurazione. Anche il ricorso alla delega al governo, ha detto Epifani, non è appropriato su materie tanto delicate, sulle quali dovrebbe essere il parlamento a esprimersi. «Il confronto continua, non è un decreto legge, non entra in vigore stanotte», dice Sacconi, «non potevamo stare a guardare tutti questi scioperi». Secondo il segretario della Cisl si tratta di regole «equilibrate, rispettose delle esigenze di ciascuno e della maggioranza dei lavoratori». Secondo i sindacati di base (Cub, Cobas e Sdl) il disegno di legge è «incostituzionale e inapplicabile».