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Guerra in Libano, così l’Onu è morta e risorta

Publie le lunedì 21 agosto 2006 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti medio-oriente

di Domenico Gallo

La guerra del Libano, appena conclusasi con una fragile tregua - che ieri già è stata interrotta da un’incursione israeliana - annunzia la morte e la resurrezione dell’Onu. L’Onu è stata brutalmente messa da parte nelle dottrine politiche e nelle strategie militari che da oltre 10 anni a questa parte costruiscono il caos ed il disordine mondiale, perseguendo il progetto di un mondo regolato da una sola superpotenza, che pretende di governare i conflitti ed imporre la sua volontà attraverso il ricorso ad una soverchiante potenza militare.

Una volta che la politica dei principali attori della scena internazionale ha deposto l’interdizione del ricorso alla guerra nelle relazioni internazionali, principio cardine, che costituisce la stessa ragion d’essere dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, la guerra si è insediata come permanente, in quanto i conflitti non si possono sopprimere e non è possibile instaurare un mondo ad una dimensione.

La guerra del Libano ha rappresentato un ulteriore capitolo nella sperimentazione di un ordine internazionale basato sulla logica della forza. Questa volta non si è trattato di una forzatura, in termini di autotutela, compiuta da Israele, nell’isolamento della comunità internazionale. Non c’era bisogno dello scoop di Seymour Hersch, per capire che si trattava di una guerra pianificata da Usa e da Israele. La dimostrazione viene dal comportamento tenuto dagli Usa al Palazzo di Vetro: per trenta giorni, hanno impedito al Consiglio di Sicurezza di ordinare il cessate il fuoco, cioè hanno impedito all’Onu di svolgere la missione per la quale fu istituito nel 1945.

Ciò è avvenuto perché bisognava dare ad Israele il tempo di condurre in porto la propria operazione militare che mirava ad annientare il nemico Hezbollah e ad imporre unilateralmente e manu militari un ordine più confacente ai propri interessi. La prova del nove della compromissione americana l’ha fornita proprio il Presidente Bush, dichiarando, il 15 agosto, che la guerra tra Israele ed Hezbollah è semplicemente un nuovo capitolo della vasta guerra contro il terrorismo che gli Stati Uniti stanno conducendo.

Lo scoppio della guerra del Libano, ed il suo protrarsi per trenta giorni fra un crescendo di distruzioni, di atrocità e di crimini di guerra (commessi da entrambe le parti), destinati a restare impuniti, ci ha annunziato il tramonto dell’Onu, dei principi della Carta, del suo sistema di sicurezza, delle sue Corti di Giustizia. Al trentesimo giorno l’Onu è risuscitata dalla morte con la Risoluzione 1701, dell’11 agosto 2006, frutto del sapiente lavoro diplomatico di uno dei suoi membri permanenti, la Francia.

Questa Risoluzione, pur con tutti i suoi limiti e le sue ambiguità, rappresenta una battuta d’arresto nella sperimentazione di un ordine unilaterale, imposto con la violenza delle armi, e dimostra che per costruire la pace non si può abbandonare la strada della mediazione, del riconoscimento di regole condivise e del ricorso alle istituzioni internazionali.

Quello che c’è di veramente positivo in questa Risoluzione è che essa mette fine all’epoca della delega di compiti di ordine pubblico internazionale ad una singola potenza o a gruppi di potenze regionali, restaurando la funzione garantistica ed operativa dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. E’ importante che i compiti della forza di interposizione fra i belligeranti non siano stati affidati alla Nato o, peggio ancora, ad una coalizione di volenterosi guidati dagli Usa, che sarebbe stata percepita dalla popolazione libanese come una longa manus di Israele.

E’ importante che per eseguire un intervento di polizia internazionale in funzione di peace-keeping e (entro certi limiti) di peace-enforcing si sia fatto ricorso ad una missione di polizia internazionale delle Nazioni Unite, l’Unifil, istituita nel 1978, per garantire il ritiro delle forze israeliane ed il rispetto dell’integrità territoriale del Libano.

L’Unifil è una forza istituzionalmente imparziale perché dipende da un organo dell’Onu, il Segretario Generale, indipendente dagli Stati membri. Il ricorso ad una forza imparziale dell’Onu, che viene significativamente rafforzata, restaura il ruolo delle istituzioni internazionali nella gestione dell’ordine pubblico mondiale e ridimensiona l’unilateralismo che ha guidato il gioco della politica internazionale negli ultimi anni.

Per questo è importante che il processo di consolidamento della tregua e di instaurazione di un cessate il fuoco definitivo, delineato nella Risoluzione 1701, sia portato avanti e realizzato in tutti i suoi aspetti e che il nostro paese fornisca un contributo positivo, sia attraverso la partecipazione all’Unifil, sia attraverso la cooperazione per la ricostruzione del Libano ed il soccorso alla popolazione piagata dalla guerra.

Per quanto riguarda la partecipazione alla missione Unifil, si discute tanto delle regole d’ingaggio. Sebbene queste, sul piano formale, debbano essere fissate dal Palazzo di vetro, in conformità dei compiti prefigurati della Risoluzione 1701, è evidente che i paesi che forniscono contingenti militari debbano avere voce in capitolo. Al riguardo, occorre ribadire con chiarezza che non rientra nei compiti dell’Unifil procedere al disarmo forzato di Hezbollah.

La Risoluzione incoraggia il governo del Libano a restaurare completamente la propria autorità in tutto il paese ed a procedere al disarmo di tutte le milizie che si trovano sul suo territorio. E’ questo un compito politico, che può essere attuato soltanto con misure politiche, nei tempi e nei modi che il governo Libanese riterrà più opportuni. Rientra, invece, nei compiti dell’Unifil una limitata missione di peace-enforcing, che consiste nell’operare per impedire che, nella zona di sua competenza, si possano compiere azioni ostili, dall’una o dall’altra parte. Vale a dire l’Unifil, secondo il cap. 12, dovrà impedire sia che dal Sud del Libano vengano intraprese azioni ostili contro Israele, sia che Israele possa compiere attacchi contro i civili. E’ evidente che impedire azioni ostili significa soprattutto avere una capacità di dissuasione, ma non comporta - salvo casi imprevedibili a priori - il ricorso alla violenza bellica. Per il successo della missione Unifil, è importante che all’imparzialità istituzionale corrisponda una imparzialità reale, sul campo, e che - a differenza di quanto è avvenuto in Bosnia - ci sia una grande disponibilità e sensibilità per i bisogni della popolazione locale, a cominciare dall’apertura ai civili degli ospedali da campo.

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