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I COSTI DELLA GUERRA IN IRAK:400MILA BAMBINI ALLA FAME
Publie le lunedì 22 novembre 2004 par Open-PublishingCosti della guerra in Iraq: 400mila bambini alla fame
di ma.m.
C’è un paradosso con il quale ai funzionari iracheni del servizio sanitario piace stupire gli interlocutori stranieri: il problema più grave che in materia di nutrizione ha afflitto il paese è stato fino a una generazione fa l’obesità. Un paradosso che, racconta il Washington Post, stride con la realtà dell’Iraq di oggi, disseminata dalle migliaia di vittime silenziose, quelle che se ne vanno lentamente e che non finiscono in nessuna contabilità di guerra. In 20 mesi di conflitto aperto e di instabilità crescente la percentuale dei bambini che soffrono di malnutrizione acuta è praticamente raddoppiata: era stabilmente intorno al 4 per cento prima dell’inizio della guerra, quest’anno è al 7,7%, secondo studi condotti da organismi delle Nazioni Unite, agenzie umanitarie e dallo stesso governo ad interim iracheno.
Tradotto in numeri assoluti questo significa che circa 400.000 bambini iracheni al di sotto dei 5 anni sono deperiti, una condizione accompagnata da diarrea cronica e un pericoloso deficit proteico, che può avere gravi conseguenze sul loro sviluppo fisico e mentale. Nemmeno durante l’embargo, imposto al regime di Saddam dopo l’invasione del Kuwait nel ‘90, si erano verificate condizioni altrettanto negative. Grazie al programma Onu «Oil for food» e agli aiuti umanitari era stato allora possibile moderare l’impatto delle sanzioni, abbassando l’indice di malnutrizione dall’11% nel ‘96 al 4% del 2002.
Oggi questi fattori di moderazione sono saltati. Le Nazioni Unite, colpite sanguinosamente nei primi mesi del «dopoguerra», si sono ritirate da tempo, e anche le organizzazioni umanitarie più temerarie hanno finito per lasciar stare, una volta divenute bersaglio del terrorismo. L’ultima a levare le tende è stata Care, che ha chiuso i suoi uffici dopo il rapimento della direttrice Margaret Hassan, uccisa dai suoi sequestratori.
http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=39254
Distanziato dall’Uganda e da Haiti, oggi l’Iraq può vantare lo stesso livello di malnutrizione infantile del Burundi, un paese devastato da una guerra decennale. La fame ha seguito la guerra passo dopo passo e lo scorrere dei mesi continua a far virare tutti gli indicatori su dati negativi. La malnutrizione segnala il naufragio di un intero sistema sociale ed economico. Secondo Khalil M.Mehdi, che dirige l’Istituto per la ricerca sulla nutrizione, del ministero della salute iracheno, il deficit alimentare è legato alla mancanza non solo di cibo, ma soprattutto di acqua pulita e di elettricità per far bollire scorte contaminate. Il disagio si moltiplica nelle aree più povere del paese: i prezzi alti, la disoccupazione e un’economia disastrata hanno conseguenze assai negative sulla salute.
Gli ospedali di Baghdad, come durante l’embargo, si riempiono di bambini che muoiono di diarrea e che oggi trovano ancora meno assistenza che qualche anno fa. Malati di acqua sporca e di disoccupazione. Il Washington Post cita l’esempio di Kasim Said, lavoratore a giornata: quando va bene porta a casa tra i 10 e i 14 dollari, gliene servono sette per comprare un barattolo di Isomil per nutrire suo figlio che a un anno sfiora appena i 5 chili.
L’elettricità che va e viene, il sistema fognario in disarmo, si stima oggi che il 60% della popolazione rurale e il 20% di quella urbana non abbiano disponibilità di acqua pulita. L’impatto delle promesse mancate di una rapida ricostruzione è enorme soprattutto sulla salute pubblica, stando a quanto rileva un gruppo di ricerca di Washington, il Centro studi strategici e internazionali.
E sembra andare di pari passo con il crollo delle illusioni di quanti avevano sperato in un dopo-Saddam migliore di quanto non è stato finora. La violenza, come ha di recente denunciato uno studio pubblicato dall’autorevole rivista The Lancet, è oggi la principale causa di morte in Iraq, un rischio che dopo l’invasione anglo-americana è aumentato di 2-5 volte. Qualcuno dovrebbe rispondere di tanti errori commessi, errori che si pagano in vite umane, è questa la conclusione fuori dai denti del solitamente compassato Lancet, nel numero in cui pubblica le cifre della carneficina: centomila, ben oltre i 7350 morti civili ufficiali. Una stima che «deve cambiare le teste così come oggi trafigge i cuori», scrive The Lancet.




