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I disobbedienti: anche noi al forum di Vendola contro i Cpt

Publie le venerdì 1 luglio 2005 par Open-Publishing

I protagonisti del Laboratorio Carlini si riparlano. E dal Nordest si annuncia un’incursione nelle primarie «finte». De Palma: «Se c’è davvero partecipazione, le primarie sono vere»
I disobbedienti: anche noi al forum di Vendola contro i Cpt. A Padova nessun revival, ma "nostalgia di futuro"

Checchino Antonini
Padova
nostro inviato
«Ci vorrebbe un’incursione nostra nella politica dei palazzi e delle primarie finte, ci vorrebbe proprio..», dice Luca Casarini e quando parla è l’una e un quarto di una torrida notte padana. Ma da almeno tre ore, quasi duecento persone non si sono perse una parola del dibattito tra quelli furono i protagonisti della stagione che si aprì al Laboratorio Carlini, Genova 2001. Sulla storia delle primarie finte risponde subito Michele De Palma, coordinatore nazionale dei Giovani comunisti: «Se quell’incursione oggi è possibile si deve alla vicenda di Nichi in Puglia. Lì le primarie sono state vere perché scaturite dal conflitto sociale (la ribellione a Terlizzi, paese di De Palma, contro la chiusura dell’ ospedale, ndr) che ha sprigionato una grande partecipazione popolare». Il portavoce dei disobbedienti del Nordest precisa che l’incursione, per ora, è solo una «suggestione, però, intanto diamoci dei "cross-point", dei luoghi di attraversamento collettivo». Così viene definito, dopo tre ore di discussione, il nuovo spazio politico delle soggettività disobbedienti dopo una fase in cui ognuno ha marciato per sé. Per rivederli in azione tutti insieme non ci sarà da attendere molto: il 10 e l’11 luglio, infatti, Bari sarà teatro del Forum dei presidenti di Regione per la chiusura dei Cpt. Se quel tema è entrato nell’agenda politica istituzionale si deve anche alla lunga marcia di "smontaggi", proteste ed evasioni che i disobbedienti hanno spesso agito in prima persona a partire da una clamorosa azione di sette anni fa a Trieste ricavandone sia risultati politici sia una cospicua collezione di denunce penali. Allora tutti a Bari per evitare soprese - l’esternalizzazione dei Cpt sull’altra sponda del Mediterraneo - e per rivendicare un’amnistia per i reati commessi nella battaglia contro strutture di detenzione incostituzionali. Poi, a fine ottobre, si replica a Roma con una giornata, lanciata da Action, sul diritto alla casa.
Naturalmente il dibattito tra "portavoce" disobbedienti venuti alla Festa di Radio Sherwood (emittente storica del Nordest) da ogni parte d’Italia - unica assenza di rilievo quella del Leoncavallo - è stato più ricco e articolato tenendo fede alla provocazione autoironica del titolo: "Do you remember disobbedienti? ". Riassunto delle puntate precedenti: il dibattito di due giorni prima, sempre qui, con amministratori, intellettuali e politici di "area" (Bettin, Caccia, Piperno, D’Erme, Bifo, Russo Spena, Cento, Folena). S’è parlato a lungo delle leggi da abrogare e della necessità di un non ritorno allo status quo stabilito dal vecchio centrosinistra, tutti d’accordo, ed è stata riposta la questione controversa della "coalizione arcobaleno".

Martedì notte, i disobbedienti non hanno dato vita ad alcun revival, nessun processo alla cronaca degli anni passati, né scorciatoie organizzative. Casomai «nostalgia di futuro» come ha detto il triestino Andrea Olivieri. La disobbedienza, è stato rimarcato, spesso «è tracimata» come modalità innovativa ed efficace - per esempio nel Sud Ribelle - ma il movimento dei disobbedienti si è frammentato e circola una certa "nostalgia" per «la potenza di Via Tolemaide». I numerosi interventi si sono concentrati sulla nuova dislocazione della ricchezza di quel percorso, nato sulle suggestioni della rivolta zapatista e su quelle delle contraddizioni esplose a Seattle nel cuore della produzione capitalista, in rottura con le forme della politica novecentesche. L’irruzione della guerra globale sulla scena, secondo Casarini, ha posto il problema del diritto di resistenza «per bloccare la dinamica ordinativa della guerra, interna ed esterna». La differenza che i disobbedienti rimarcano è quella di non volersi accontentare di testimonianza ma di voler costruire azioni, comunicazione e contrattazione sociale dal basso. C’è un lessico comune e un tessuto di sperimentazioni in corso. «La rarefazione delle relazioni tra noi non ci ha impedito di continuare a ribellarci», dice Guido Lutrario, portavoce romano di Action. La nuova fase sarà determinata dalle risposte pesanti che verranno anche da un eventuale governo di centrosinistra. Per ora esiste una «speranza di partecipazione, anche da mondi distanti da noi». Le primarie, appunto, ma Lutrario le vede già blindate. Il nodo starebbe nella continuità dopo la ribellione. Lui la definisce "sindacalismo metropolitano" alludendo a forme di rappresentanza e di organizzazione inedite tutte da costruire allargando le relazioni dai soggetti resi più deboli dal neoliberismo a esperienze di consumo critico e commercio equo fino ai piccoli produttori in crisi per colpa della grande distribuzione. La dicotomia che i disobbedienti cercano di superare è quella tra separatezza dalla politica e subalternità ad essa. Paolo Cognini, dei centri sociali marchigiani, sembra puntare sul «diritto di autonormazione per impattare, resistendo, il processo costituente dell’avversario». Le forme di rappresentanza serviranno a difendere e consolidare le sperimentazioni. Di uno «spazio pubblico diverso da quello delle primarie e delle politiche 2006», dirà molto Giandomenico di Bologna dove le reti di movimento soffrono, come anche a Padova, l’ossessione legalitaria dei rispettivi sindaci. Dello snodo sotto le Due Torri, del teorema che ha portato in carcere tre disobbedienti con l’accusa di eversione, testimonieranno in diretta telefonica, i due ragazzi - Fabiano e Vittorio - ancora ai domiciliari. Tra i più scettici, rispetto all’"incursione" lanciata da Casarini, c’è Francesco Caruso preoccupato che, della stagione di Genova, alcuni attori «finiscano al governo e altri in galera». Le sperimentazioni dovrebbero svilupparsi lontano da «precipitazioni elettorali». Il suo antidoto alla repressione è un mix tra continuazione delle lotte e battaglia per un’amnistia generalizzata. Tuttavia anche dalla Campania, dove forme di partecipazione amministrativa dei movimenti, sarebbero bloccate dallo stesso centrosinistra, giunge l’esigenza di «interconnessione tra forme di resistenza», in una parola di un livello organizzativo.

E’ sulla resistenza che si registrerà un punto di differenza nel dibattito: «Chi difende corpi e case, come noi a Genova o i palestinesi a Ramallah, non va paragonato con chi prende persone in ostaggio e poi va a trattare con i capi dell’occupazione militare, come sta avvenendo in Iraq», spiega Michele De Palma immettendo altri input nella discussione: l’appuntamento mancato per una campagna sulle Pma e l’urgenza di superare certe dinamiche generazionali che rendono ancora invisibile - nonostante la May Day - la precarietà. De Palma butta sul tavolo l’idea di una "marcia degli invisibili" con l’intento di rompere la separatezza tra i meccanismi di sperimentazione dei conflitti (gli sportelli metropolitani dei Gc o di Action) e le rivolte comunitarie, stavolta su un piano europeo.

L’incontro è stato felicemente complicato dalla presenza di Vitaliano della Sala, un prete «più a mio agio tra le tende di Radio Sherwood che a Piazza S. Pietro». La sua sarà la testimonianza della capacità di attrazione della disobbedienza. Una convergenza clamorosa fu quella con i Beati i costruttori di pace all’epoca del Trainstopping. «Se ci sono pezzi di Chiesa che gestiscono i Cpt, ci sono altri pezzi che li assediano. Ma quei pezzi, visto l’ossequio vile di tanta sinistra Ratzinger, hanno un problema in più».

http://www.liberazione.it/giornale/050630/default.asp


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