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I "furbetti del quartierino" hanno cantato una sola estate

Publie le mercoledì 14 dicembre 2005 par Open-Publishing
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Antonveneta, Bnl e Rcs, tre scalate stessi protagonisti

Un piano per dare l’assalto a Corriere e banche

I "furbetti del quartierino"
hanno cantato una sola estate

La magistratura si è mossa rapidamente e ha accertato
irregolarità e arricchimenti illeciti di Fiorani e dei suoi amici

di GIUSEPPE TURANI

MILANO - L’estate calda di Gianpiero Fiorani, che stava per diventare uno dei banchieri più potenti d’Italia, è durata veramente poco. Nel giro di meno di sei mesi è passato dai trionfi azionari alle dimissioni e al carcere. Se a luglio era convinto di aver già in mano il controllo della Banca Antoveneta (contesa anche dagli olandesi della Abn-Ambro), all’inizio di agosto si trovava sotto inchiesta da parte della magistratura, con le azioni Antoveneta sequestrate, e, da lì a poco, spinto alle dimissioni da tutte le sue cariche nel gruppo Banca Popolare di Lodi (nel frattempo ribattezzata Popolare Italiana per prepararla ai più alti destini a cui sembrava destinata).

In Italia Fiorani non è il primo raider che conclude la sua carriera in modo drammatico, ma è certamente quello che è durato meno e, in un certo senso, è stato anche il primo raider istituzionale. Nel senso che si è mosso sotto l’ala protettrice della Banca d’Italia, cosa mai successa in questo paese.

La sua carriera è molto semplice e lineare fino al gennaio dello scorso anno. Sbarcato quasi per caso nella Popolare di Lodi, sonnolenta banca di provincia per facoltosi agricoltori e vivaci commercianti locali, ne cambia rapidamente la natura, facendone un istituto molto dinamico che si lancia nell’acquisto di altre banche di periferia.

Cattolico, tutto casa, ufficio e famiglia, entra presto nelle grazie del governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, che non è molto diverso. Se Fiorani ha l’animo del grande conquistatore di banche, Fazio ha quello del monarca assoluto. E quindi gli va bene questa specie di colonnello che si incarica di terremotare la geografia bancaria del Nord.

Al Governatore i grandi banchieri di Milano e di Torino stanno francamente sulle scatole. Sono bravi, girano il mondo e hanno l’aria di essere un po’ troppo indipendenti. E, soprattutto, pensano. Una volta sono arrivati addirittura al progetto di fare un’Opa sulla Comit e sulla Banca di Roma. Lui li ha fermati, grazie ai suoi super- poteri, ma da quel giorno non si è più fidato.

Da lì l’idea di trovare qualcuno che prendesse le misure ai Signori del Nord. Insomma, Fiorani. Un uomo con un pedigree bancario quasi ridicolo (la Lodi e basta, mai stato in una banca più grande), ma spregiudicato e fedele. E allora via con il sostegno pubblico, ostentato, nelle riunioni dei banchieri e, privatamente, l’invito a procedere.

Quando all’inizio del 2005 gli olandesi dell’Abn-Ambro (stufi di sentirsi dire di no dal governatore), decidono di lanciare la loro Opa sulla Banca Antoveneta, Fiorani e Fazio sono già pronti. Il primo si mette a comprare azioni di nascosto (servendosi di una rete di complici ai quali assicura lauti guadagni), il secondo tira tardi nella concessione delle autorizzazioni agli olandesi. Quando finalmente queste arrivano (perché non si può fare altrimenti), Fiorani e i "furbetti del quartierino" sono già pieni di azioni Antoveneta e sono in grado di far fallire l’Opa.

Ma gli olandesi presentano un esposto alla magistratura nel quale parlano dei loro sospetti. Scattano le indagini che porteranno prima al sequestro delle azioni Antoveneta comprate di nascosto (senza lanciare una regolare Opa), e poi alla rovina dello stesso Fiorani.

Nello stesso periodo erano partite altre due scalate: quella (insensata) di Stefano Ricucci alla Rcs e quella di vari immobiliaristi romani alla Bnl (che era sotto Opa da parte degli spagnoli della Bbva). Il Ricucci, un ex odontoiatra romano diventato ricco con palazzi comprati e venduti, si impantana quasi subito. E la stessa cosa capita agli immobiliaristi romani (fra cui c’è anche Ricucci) fino a quando non arriva l’Unipol, la punta di diamante della "finanza rossa" a rilevare la loro impresa.

Intanto le indagini dei magistrati proseguono a ritmo sostenuto e ben presto salta fuori che le tre scalate della calda estate del 2005, se non sono la stessa cosa, sono molto vicine. Un po’ tutti (compresi gli uomini dell’Unipol) hanno partecipato agli stessi affari e si sono fatti diversi favori. Nel caso di Ricucci e Fiorani i legami sono addirittura imbarazzanti. Se Ricucci ha rastrellato azioni Antoveneta (tenute, ovviamente, a disposizione di Fiorani), Fiorani ha finanziato quasi per intero la stupida scalata dello stesso Ricucci alla Rcs (e infatti quelle azioni stanno, come inutili e costosi rottami, nei forzieri della banca lodigiana).

Insomma, sul piano politico i più avvertiti si rendono conto che c’è stato un piano per dare l’assalto alle banche del Nord (attraverso la creazione di un mega-gruppo guidato da Fiorani) e alla Rcs (e quindi al Corriere della Sera), cioè a quello che si è soliti definire come l’establishment del Nord, poco in sintonia con il Governatore (ma anche con la maggioranza di governo).

Non a caso gli scalatori dell’estate ottengono un appoggio entusiasta da parte della Lega, un appoggio più moderato dagli altri settori della maggioranza e, purtroppo, anche da qualche esponente dei Ds (fra i raider dell’estate c’è la finanza rossa dell’Unipol, alla ricerca di un po’ di gloria e di promozione nella scena finanziaria).

Il dibattito politico sull’estate degli scalatori non fa molta strada, per la verità. Si muove invece molto velocemente la magistratura. Prima vengono accertate palesi violazioni delle norme che devono regolare il mercato azionario (acquisti clandestini delle azioni delle società contese), poi accertano arricchimenti illeciti di Fiorani e dei suoi amici. Saltano fuori conti segreti, finanziamenti occulti e conti "a rendimento garantito" (solo per gli amici, compresi alcuni parlamentari strenui difensori di Fazio).

E’ probabile che non tutto sia venuto alla luce e che i "furbetti del quartierino" avessero ancora la possibilità di manovrare, nascondere risorse, imbrogliare le carte, benché allontanati da tempo dalle loro cariche. E così alla guardia di Finanza è stato impartito l’ordine di radunare i più esposti e di accompagnarli in carcere.

Finisce così una stagione complicata e segnata da molte, troppe complicità ai maggiori livelli. Adesso si aspetta che, prima o poi, venga a galla tutta la storia di un assalto che per qualche settimana ha fatto tremare le roccaforti del capitalismo italiano e che da mesi continua a suscitare interrogativi. Possibile che nessuna delle autorità di controllo si sia mai resa conto di niente?

(14 dicembre 2005)

Messaggi

  • Affari e potere
    all’ombra di Bankitalia

    di EZIO MAURO da www.repubblica.it 15.12.05

    CI SONO due, tre cose di sistema da dire, nel momento in cui finisce all’inferno l’assalto al cielo che i "furbetti del quartierino" avevano tentato nella strana estate italiana del 2005.

    Visti i personaggi, l’antropologia che disegnano nelle loro telefonate d’affari e di fratellanza, la curva breve della loro straordinaria avventura, ci si potrebbe fermare alla cronaca. Cronaca criminale italiana, girone di serie B, comunione e protezione. Ma gli affaristi, speculatori e profittatori di questa vicenda avevano un perno istituzionale come il Governatore della Banca d’Italia, hanno incontrato alleanze diffuse e sparpagliate strada facendo, e benevolenze inconcepibili su entrambe le sponde di una politica incapace di stare al suo posto. Il quartierino nascondeva dunque un progetto superbo, un piano di potere, un’ambizione di sovvertimento, un odore di P2, vent’anni dopo, insieme all’incenso costoso dei Legionari di Cristo. E’ di questo che bisogna parlare.

    Come allora, "rubavano per comandare e comandavano per rubare". Scalavano senza i soldi, senza una biografia imprenditoriale o almeno finanziaria, senza la minima cultura del lavoro, senza un’idea del mondo della produzione. Rubavano prima di tutto per sé, se è vero che Fiorani si è intanto messo da parte 70 milioni di euro e ha finanziato senza garanzie prestiti-guadagni ai soci occulti. Rubavano ai morti sottraendo i soldi dai loro conti correnti, rubavano ai risparmiatori spalmando sui loro conti i debiti degli affari andati male. Rubavano per finanziare il "Partito" del Governatore, che abita in Parlamento dentro partiti diversi. E infine rubavano per finanziare "terzi" che nell’ombra compravano azioni fiancheggiatrici delle loro scalate, saltando così l’obbligo dell’Opa e ramificando ben oltre Lodi la ragnatela criminale.

    La scalata come strumento di un sovvertimento di potere, di una sostituzione gerarchica, attraverso le banche e i giornali secondo la lezione piduista: prima l’Antonveneta, poi la fusione con la Bpi, quindi la Banca del Lavoro, infine la Rcs.

    Pensando magari poi a Mediobanca e Generali, visto che tutto era partito dalla conquista di Telecom, dimostrando che se Gnutti era arrivato fin lì, allora gli Hyksos - profanatori e saccheggiatori, abitanti delle sabbie - potevano puntare davvero alla conquista dell’impero, ricco e fragile insieme.

    Oggi il tentativo di innalzare questo vitello d’oro nel cuore del capitalismo italiano, per rovesciarlo, sembra velleitario e anzi folle. Ma il punto sta proprio qui. In Italia tutto questo è stato davvero concepito, progettato, organizzato, finanziato e messo in campo. Se il disegno è stato rivelato e rovesciato è solo grazie all’intervento - ex post, com’è naturale - di un potere della Repubblica totalmente esterno al perimetro del mercato, della politica, dell’establishment finanziario, economico e industriale, com’è il potere giudiziario. Dentro quel perimetro, non si è mosso nulla, o ben poco. Il mercato e i suoi strumenti di garanzia, le istituzioni e i loro organismi di controllo, che potevano e dovevano intervenire mentre gli scalatori dispiegavano i loro metodi e mezzi impropri, hanno lasciato che Fiorani arrivasse alle porte del quinto gruppo bancario nazionale, che Ricucci spendesse 800 milioni di euro in una scalata apparentemente senza senso alla Rcs, senza che nessuno gli chiedesse da dove quei soldi erano piovuti sul suo studio odontotecnico. L’establishment attaccato, poi, non ha fatto nulla se non fingersi forte, rivelarsi spaventato, scoprirsi infine fortunato. O forse, semplicemente, l’establishment non ha fatto nulla perché in Italia non c’è, e al suo posto opera un network di alleanze diffidenti, necessitate e guardinghe.

    Non tutti, in realtà, sono stati fermi. Qualcuno ha agito, ma contro i suoi doveri e gli obblighi del ruolo. Ciò che è avvenuto infatti è stato possibile perché il Governatore è venuto meno ai suoi compiti di vigilanza, ed è diventato parte di un progetto di potere, che puntava al sovvertimento della gerarchia economica costituita, ma non attraverso il mercato, bensì contro il mercato. Per un Governatore, un peccato capitale. Che lo ha messo al centro di un sistema di alleanze e di complicità tutte funzionali a questo disegno, con Bankitalia che si è trovata improvvisamente contro le grandi Banche del Nord, contro l’alleato storico Capitalia di Geronzi, contro l’Europa che l’accusa di mancanza di trasparenza, di insufficienza nella vigilanza, di abuso nella discrezionalità. Come se Fazio si fosse messo in testa di essere insieme Governatore e Cuccia, regolatore dall’esterno e dall’interno di un mercato dove però il nuovo dominus doveva essere il ragioniere di Lodi che al telefono lo baciava in fronte e copriva la famiglia di regali, come si fa con un cliente importante qualunque.

    In questo quadro devastante, si è aggiunta la politica. In un Paese normale, la politica deve star fuori dal mercato, badando a fissare le regole, fare le riforme, far crescere il Paese. Ma il piano di scalata del Governatore attraverso Fiorani, Gnutti e Ricucci sembrava fatto apposta per portare alla luce la visione distorta del mercato che una parte della politica nasconde. Fallita l’idea di far scalare Bnl dagli immobiliaristi, l’"italianità" di Fazio ha puntato sull’Unipol di Consorte, mentre Fiorani attaccava l’Antonveneta e Ricucci la Rcs. Il progetto complessivo poteva dunque blandire insieme tentazioni berlusconiane e velleità diessine, stranamente unite da un sentimento simmetrico ma in fondo molto simile di estraneità e diffidenza per i cosiddetti "poteri forti", per il vecchio "salotto buono", per le famiglie e le tradizioni del capitalismo.

    In Berlusconi, è la sensazione di non essere mai compiutamente accettato, nemmeno quando è l’uomo più ricco d’Italia e guida il Paese. Per i Ds, è paradossalmente la stessa cosa rovesciata, una sindrome minoritaria e una sorta di minorità culturale. Il Cavaliere, per temperamento e per mezzi, reagisce ogni volta innalzando la bandiera corsara, ed è facile capire perché abbia fatto sentire la sua benevolenza a Ricucci, Fazio, Gnutti e Fiorani. I Ds, per vizio e dannazione, reagiscono invece col tentativo di crearsi ogni volta un imprenditore su misura, un finanziere di fiducia, un capitalismo a loro immagine e somiglianza, senza capire che tutto ciò rivela soltanto e sempre un’eterna sudditanza e una vecchia difficoltà a capire e accettare il mercato. Anche qui, è facile comprendere perché la benevola copertura politica data alla scalata dell’Unipol di Consorte (che non a caso Fiorani considerava un alleato "particolarmente fidato") abbia portato il principale partito della sinistra a parlare sottovoce del Governatore e delle sue gesta per tutta l’estate: anche quando tacere appariva con ogni chiarezza un errore, che in politica quand’è ripetuto diventa facilmente una colpa.

    La Margherita ha sfruttato per tutta l’estate l’afasia diessina tentando di proporsi come rappresentante privilegiato dell’establishment sotto attacco, come se da quel salotto (oltre che dalla Curia vaticana) dovesse ancora venire l’imprimatur e un reddito politico. A quel capitalismo assediato, a mio parere, va invece posta l’ultima domanda, che è quella decisiva. Se gli affaristi del quartierino hanno potuto pensare così in grande, non è perché il sistema è debole e il salotto polveroso, organizzato com’è sulla leva finanziaria minima e delicata delle scatole cinesi, dei patti obbligati, allargati e sospettosi? Ma soprattutto perché il potere capitalista (che certo esiste, eccome) non ha saputo crescere in responsabilità generale fino a diventare un establishment consapevole di sé, dei suoi diritti e dei suoi doveri, e soprattutto garante delle regole generali di sistema che pretende e a cui si sottomette per primo? Sapendo (come oggi sembra sapere finalmente Confindustria dopo anni di silenzio, e peggio) che sono quelle regole a definire il mercato e garantire i suoi protagonisti, oltre che i cittadini. Tutto questo è mancato, manca ancora e la fiammata estiva ha almeno l’utilità di averlo reso ben chiaro a tutti, salvo chi non vuol vedere.

    Ecco perché il tentativo di prendere il Palazzo d’estate ha sconfitti sicuri, come Fazio e Fiorani, ma non ha un vincitore. Ed è facile prevedere, anche se è sgradevole dirlo, che se nulla cambia prima o poi gli Hyksos torneranno: magari armati meglio.

    (15 dicembre 2005)

    • Alla faccia della pretesa difesa dell’ "italianita’" di Bnl e Antonveneta !
      by Reuters

      Bnl, Consob accerta patto con Deutsche, rivede prezzo 2,755 euro
      venerdì, 23 dicembre 2005 10.26

      MILANO, 23 dicembre (Reuters) - Unipol dovrà alzare il prezzo unitario dell’offerta su Bnl a 2,755 euro per azione da 2,7.

      Lo ha stabilito Consob che ha accertato l’esistenza di patti parasociali non dichiarati tra Unipol e Deutsche Bank nella fase di acquisto della maggioranza di Bnl.

      L’offerta su Bnl potrà partire solo dopo l’autorizzazione della Banca d’Italia, ma i tempi per il parere di via Nazionale sono sospesi in attesa, oltre che del pronunciamento Consob arrivato stasera, di nuove integrazioni e chiarimenti chiesti all’Isvap "in merito alle valutazioni effettuate dall’istituto sull’operazione".