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I managers delle banche / Super - stipendi senza super - risultati

par Francesco Spini

Publie le lunedì 19 dicembre 2011 par Francesco Spini - Open-Publishing
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LA STAMPA 19 dicembre 2011

Intervista a Lando Maria Sileoni, Segretario Generale FABI –
“Stop alle banche che crescono solo con i tagli. Bisogna cambiare passo”

MILANO - Negli ultimi cinque anni le banche hanno fatto i bilanci prepensionando i cinquantacinquenni e limitando a un terzo il turnover. Con la riforma delle pensioni questo non sarà più possibile: e noi diciamo basta ai piani industriali basati solo sui tagli a carico dei lavoratori». Le trattative sul rinnovo del contratto dei bancari riprenderanno il 16 gennaio e il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, vuole chiudere in fretta. «Serve un accordo basato sull’equità sociale e distributiva, da raggiungere entro gennaio, altrimenti si andrà alla mobilitazione della categoria».

Come vede la situazione?

«Credo che le banche stiano già pensando al dopo-contratto, quando dovranno scrivere i nuovi piani industriali. Per questo non possono permettersi di rompere con le organizzazioni sindacali proprio adesso, quando di fronte hanno appuntamenti per loro cruciali».

La pressione della crisi, le ricapitalizzazioni imposte dall’Eba, il credit crunch: le banche dovranno ridurre i costi, aumentare la produttività, non crede?

«Serve una vera politica industriale che negli ultimi anni non c’è stata: si è preferito prepensionare e basta. La verità è che, nel settore, c’è una classe dirigente
inadeguata, con super stipendi a cui non corrispondono super risultati».

Difficile raggiungerli, in una situazione come questa.

«Ma occorre un salto di qualità nel modo di fare banca che finora non si è visto. Serve un ritorno allo schema tradizionale con una maggiore vicinanza al territorio. Noi, in cambio faremo la nostra parte».

Per esempio?

«Di fronte a un piano credibile siamo disposti ad aprire i bancari a professionalità nuove, che vadano anche oltre il perimetro tradizionale. Ma dai dirigenti serve uno scatto innovativo che fin qui è mancato. Si è visto ben altro».

Ovvero?

«A breve presenteremo uno studio su quanto costano alle banche le consulenze esterne, i maxi stipendi dei manager, le stock option, i costi di struttura e di apparato delle direzioni generali, le sponsorizzazioni. In un clima di sacrifici, non si può non tenere conto di tali aspetti. Se le banche su questi punti non cambiano regime andremo allo scontro, questo è certo».

Quali sono i punti irrinunciabili della piattaforma contrattuale?

«Chiediamo anzitutto il recupero dell’inflazione per le retribuzioni. Quindi l’istituzione di un nuovo fondo per garantire l’occupazione giovanile, alimentato anche con un contributo del 5-6% degli stipendi dei manager. Se ci sono questi due presupposti siamo disponibili anche a un salario di ingresso più basso».

L’Abi sembra intenzionata a proporre contratti di solidarietà. Cosa ne pensa?

«Per noi è un argomento tabù, non se ne parla nemmeno. Nei prossimi piani industriali i top manager dovranno dimostrare di saper uscire da una situazione difficile con la gestione del business bancario. Non chiedendo sacrifici sempre e solo ai lavoratori».

Chiedete sacrifici anche per i manager?

«Ci vorrebbe un ricambio generale di questa classe dirigente. Non si può chiedere uno scatto in avanti a chi ha portato il sistema alla situazione in cui si trova oggi».

C’è la crisi, segretario.

«Non possiamo dare sempre e solo la colpa alla crisi. Che c’è, si fa sentire ma fornisce anche degli alibi a gente inadeguata».

Messaggi

  • Finalmente dopo tanti anni si è giunti ad una presa di coscienza alla partecipazione intercategoriale della vita di questo paese. Penso che se ogni categoria continui a credere di poter risolvere il problema contingente nell’ambito della propria categria farà sepre e comunque il gioco dei privilegiati. Le confederazioni sindacali devono realizzare un progetto generale per il paese con regole che tengano conto degli squilibri sociali, fare in modo che maturi la convizione che ciò è irrinunciabile oggi in un paese come l’Italia dove il 60% del PIL viene destinato al 10% dei cittadini e il 40% allaltro 90%. Su questa base si avvia il confronto politico con i futuri governi. Naturalmente, in caso di inadempienza, tra le regole ci sarà quella che il popolo sovrano stabilirà il momento in cui staccare la spina.