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I ragazzi di Locri, Bova e il Giornale di Sicilia
Publie le venerdì 15 dicembre 2006 par Open-Publishing4 commenti

Tanti anni fa il Giornale di Sicilia - politicamente vicino ai cugini Salvo - ebbe la buona idea di pubblicare i nomi e i cognomi di tutti gli esponenti del Coordinamento Antimafia di Palermo, corredati dai rispettivi indirizzi di casa e da ogni altra utile indicazione. Aggiungendo che in realtà questi quattro fanatici - di cui vedi elenco nominativo - non rappresentavano nessuno e che il movimento antimafia in realtà non esisteva.
Adesso, il presidente del consiglio regionale calabrese, che si chiama Giuseppe Bova e che purtroppo è diessino (torneremo su questo particolare) sostiene che il movimento dei ragazzi di Locri,"Ammazzateci tutti", in realtà non esiste ed è composto solo da quattro estremisti fanatici che non contano niente. E ne dà, ovviamente, i nomi: il primo è Aldo Pecora, che è un ragazzo di vent’anni e ha avuto il grave torto di fare alcune domande pubbliche sulla personale correttezza di alcuni politici calabresi.
Locri, come sapete, è un posto mite dove se qualcuno ti accusa di essere l’unico e decisivo esponente di un movimento antimafia puoi girare tranquillo per le strade, sicuro che nessuno ti farà niente. È come se Bova avesse detto, poniamo, a Stoccolma "Guardate che questo Pecora è il capo dei vegetariani e se togliete di mezzo lui nessuno contesterà più le bistecche". Perciò egli ha fatto benissimo a intimidire pubblicamente Aldo, a metterlo a bersaglio della ’ndrangheta e a dire "se vi stanno antipatici i ragazzi di Locri, prendetevela solo con lui".
Bova, nella sua veste di politico, è inquisito per cosarelle, ma in questo non c’è niente di male perché più di metà dei consiglieri regionali lo sono come e più di lui. I pochi consiglieri incensurati, alla bouvette della Regione, si sentono - come dire - un pò isolati. Perciò puffano appalti, coseggiano coi mafiosi, spampuncano il pubblico denaro, solo perché bisognosi d’affetto da parte dei colleghi già inquisiti. Bova non fa eccezione ma - lo ripetiamo - a differenza dei ragazzi di Locri noi siamo uomini di mondo e quindi non solo non lo condanniamo ma addirittura lo incoraggiamo: "Bravo Bova, continua così e un giorno sarai più famoso di Cuffaro e ti faranno anche i film".
Ma perché è così importante che Bova - uno che denuncia alla ’ndrangheta i capi del movimento antimafia - è diessino? Forse perché "ormai sono tutti uguali"? No. È un fenomeno tipico del Ds meridionale, ed è esattamente lo stesso fenomeno che si verificava nella vecchia Dc. La Dc, partito interclassista, organizzativamente era una struttura dei notabili. Un territorio, un notabile: ognuno, statisticamente, con le caratteristiche sociologiche del ceto medio (poichè la Dc era un partito di ceti medi) del suo territorio. In Veneto, così, avevi un Rumor pacioso che rappresentava più o meno il professionista cattolico del trevigiano o di Rovigo. C’era una borghesia cattolica, in Lombardia, da sempre iperattiva e colta, ed eccoti i vari Bassetti. A Torino (operai, Acli, sindacato) Donat-Cattin. In Sicilia o in Campania, dove il notabilato locale era quel che era, spuntavano i Lima e i Gava.
Molti anni dopo, quando il partito socialista cambiò - come si disse allora - da una razza all’altra, il meccanismo fu più concentrato nel tempo, ma sostanzialmente eguale: nel vecchio partito di notabili i ceti notabilari "moderni" subentrarono a quelli tradizionali, il nuovo commercialista al vecchio medico condotto.
Quanti operai evoluti ci sono adesso nel ceto dirigente del Ds meridionale? Quanti professionisti "tecnici" - insegnanti, impiegati, ingegneri - e quanti legati invece alla gestione del denaro? Come si è trasformato sociologicamente il notabile meridionale, e quello "di sinistra" in particolare? Visto che ormai di interclassismo si tratta, e dunque di notabilato locale (già ora che ci sono ancora i partiti: figuriamoci quando ce ne sarà solo uno, il famoso "partito democratico") la questione non è di poco peso.
Io penso che il notabilato di sinistra, al sud, sia già in gran parte un notabilato d’affari; non lo castra il moderatismo, ma proprio il posizionamento sociale. La sinistra giovanile di molti paesini del Sud, che non è fatta di notabili ma (finché non vengono eventualmente cooptati) di ragazzi, pur con la stessa linea politica formale, si batte contro la mafia con coraggio e determinazione. Il difetto, evidentemente, non sta nella politica ma in chi la incarna.
E quando un pezzo di società si ribella - sostanzialmente e non solo"politicamente", come da noi - e comincia a contestare il potere, è visto automaticamente come un nemico, da questo notabilato. E viene denunciato come tale. Bova, perciò, non ce l’ha coi ragazzi di Locri perché siano "estremisti" (Dio sa che non lo sono affatto) o perché siano di altri partiti (la maggior parte di loro, probabilmente, vota proprio Ds). Li teme proprio perché sono antimafiosi, e dell’antimafia riprendono istintivamente il contenuto più profondo, la lotta alla gestione incontrollata e padronale del potere. Abbastanza per combatterli, come vedete, senza starci a pensar troppo su.
Bova, che è (non da gran tempo, in verità, e alla fine di un percorso abbastanza tortuoso) "di sinistra", per fortuna si limita a combatterli con le parole, anche se la sua professionalità di politico evidentemente non è abbastanza profonda da insegnargli la pericolosità dell’uso incontrollato delle parole.
Non volendo maramaldeggiare, ci asteniamo dall’elenco dei casi (spesso anche penalmente rilevanti) in cui sono stati coinvolti, negli ultimi dodici mesi, notabili di quel partito in quella zona. Ne attribuiamo l’origine, ripetiamo, non al partito ma all’imprinting sociale. Osserviamo però che Bova avrebbe dovuto essere pubblicamente censurato dal suo partito già a agosto, quando nella regione Calabria - col suo contributo determinante - si ebbe il silenziamento d’autorità di tutte le informazioni via internet su tutte le attività della Regione. Appalti, consulenze, pubblici esborsi, in Calabria divennero di punto in bianco - come nella Calabria vicereale, o come in Cina - "arcana imperii". Questo non si sarebbe dovuto tollerare; ed è stato tollerato. Il Ds nazionale, in questo, è stato inadempiente.
Adesso un’ulteriore tolleranza è impossibile, visto che il sostanziale fascismo di Bova - del notabile Bova - si estrinseca non solo in un imbavagliamento delle notizie, ma anche in un pericolo fisico per i dirigenti del movimento antimafia, i vari ragazzi di Locri e i loro amici. Perciò tutte le critiche per Bova (nel senso e coi limiti che abbiamo detto) non possono più fermarsi in Calabria ma risalgono l’autostrada e - faticosamente e lentamente - approdano a Roma. Qui possono essere prese in esame dalla direzione Ds e dalla sua segreteria. Onorevole Fassino, se le parole di Bova (il "giudice ragazzino" di Cossiga: Livatino fu ucciso poco dopo) dovessero produrre danno, la responsabilità morale, Lei comprende benissimo, sarebbe - per inadempienza - anche Sua.
di Riccardo Orioles
da La catena di Sanlibero
Messaggi
1. I ragazzi di Locri, Bova e il Giornale di Sicilia , 15 dicembre 2006, 21:53
Accade in Calabria
di Giorgio Durante · il 15/12/2006
Solo in Calabria poteva accadere, che le massime istituzioni Regionali si rivoltassero contro la società civile organizzata, quella società che con coraggio dopo decenni di genoflessioni al potere mafioso e non solo, ha avuto il coraggio di tirarsi su ed alzare la testa, opponendosi e reagendo a soprusi millenari. Cosa teme il potere politico regionale, per accanirsi contro un movimento che rappresenta la novità nella lotta alla Mafia in questa regione?
Era il caso di manifestare in modo così eclatante un comportamento anti antimafia? Iniziamo, davvero a convincerci che ci sia un qualche nesso tra il mondo della politica regionale e tutta quella zona grigia, che di fatto imbriglia ogni moto di affrancamento socio-economico, rapporti bisbigliati nei corridoi, o sbattuti in prima pagina su importanti rotocalchi nazionali, oltre che da una moltitudine di procedimenti a carico di più della metà del consiglio regionale, consiglio presieduto da chi è già stato condannato dalla Corte dei conti per gestione allegra delle pubbliche risorse. Riteniamo credibile l’affermazione del presidente Bova, in relazione ai suoi comportamenti contro la “Ndrangheta”, ma una domanda ci sorge spontanea, lo stesso ha mai denunciato un Mafioso, o atti e fatti attribuibili alla stessa? Al momento sicuramente ha dichiarato di voler denunciare il movimento antimafia “E adesso ammazzateci tutti”.
Questo è il dato che ci porta a riflettere, ma un’altra questione incombe, invece di prendersela con i giovani in prima linea sul fronte della lotta antimafia, il consiglio regionale avrebbe fatto cosa giusta, nello svolgere i suoi compiti istituzionali, cioè legiferare, favorire la trasparenza degli atti amministrativi, sorvegliare sull´attività amministrativa. Ma di tutto questo abbiamo visto ben poco, se non la vergognosa norma che di fatto oscura gli atti che erano soggetti a pubblicazione sul Bollettino ufficiale regionale, definita da Rodotà non affatto finalizzata alla tutela della privacy, bensì solo alla tutela dei soliti interessi privati. Questa è l’ultima autorevole dichiarazione che dovrebbe indurre a miti consigli l’intera classe politica che così sperava di far passare atti e fatti senza che l’opinione pubblica già distratta di per se, potesse cogliere anomalie ed in-etiche perversioni. Un ultimo dubbio ci assale qual´è il vero ruolo, che svolge, l´attuale vertice istituzionale, se non quello di conferire incarichi, anche a infedeli e già pensionati alti dirigenti, dell’amministrazione regionale, e distribuire risorse ai soliti clienti, con la speranza di migliorare il proprio portafoglio voti, alle prossime consultazioni elettorali.
http://www.perlacalabria.it/2006/12/15/accade-in-calabria/#more-52
2. I ragazzi di Locri, Bova e il Giornale di Sicilia , 17 dicembre 2006, 19:51
Dietro la politica si nasconde sempre tutto ed il contrario di tutto, chi occupa una poltrona se la tiene stretta e chi ancora non l’ha occupata cerca in tutti i modi di individuarne una su cui stare ben comodo.
E allora nella guerra mediatica fatta a colpi di clamorose dichiarazioni e proselici discorsi in mondovisione tutto è concesso, la guerra è guerra.
Che importa se si usa come slogan un gruppo di acerbi diciottenni o se si raccolgono consensi presenziando funerali, stampando libri su tristi vicende o nascondendo la totale mancanza di risultati dietro l’entusiasmo dei giovani ragazzi di Locri.
La morte di Franco Fortugno aveva lasciato dietro di se un filo, quello della speranza, quello della possibilità di riscatto di una terra orfana di Stato, coscienza e civiltà.
Invece i più, perlomeno gli addetti ai lavori, hanno pensato a quel filo di attacarcisi, di appendersi cercando una sordida risalita, ma si sa in troppi appesi a un filo si rischia di spezzarlo, specialmente se si scambia per una corda e ci si attacca un’intera parte politica.
Cosi succede che a poche settimane dall’11 settembre della locride, ovvero la data dell’omicidio Fortugno, gruppi di maggioranza, minoranza, centro, destra e sinistra si sono incipriati, lucidati gli occhi e sono scesi in piazza insieme a questa meravigliosa invenzione dei ragazzi di Locri.
Sbigottiti dal cruento fatto criminoso e in seria difficoltà di fronte all’opinione pubblica, ai media e all’intero stivale, a mezza la classe politica e affini non è parso vero di poter gettare tutto il polverone sotto il grande tappeto dei Ragazzi, una boa in mezzo all’oceano mentre il Titanic della politica locale affondava.
E allora ecco che in poco tempo si è messo su un circo, un baraccone che ha distolto tutti dall’agonia tremenda in cui versa tutta la regione.
E’ stato tutto uno scorrere di turné, da Celentano al Parlamento, dalle Alpi al Pollino, di piazza in piazza, di tv in tv. I tesserati di partito dettavano i tempi e facevano da produttori, i giovani liceali facevano gli attori e la stampa e le televisioni li spiattellavano in tutte le salse all’opinione pubblica.
Tutto bellissimo, commovente, tranne che la notra salvezza sarebbe dovuta passare da chi ancora doveva discutere la maturità, in tutti i sensi.
E gli “impoltronati”? Come oggi erano impegnati a “reimpastare”.
Intanto il filo della speranza del povero Franco Fortugno, cominciava a tendersi sotto il peso di tutti gli “aggrappati”, e sono tanti.
Il problema però oggi è che c’è chi vuol fare passare come unico afferrato il giovane Aldo Pecora, quello dello striscione “Ammazzateci Tutti”, quello, tanto per capirci, che fu lungamente accarezzato e coccolato da tutti, e dico proprio da tutti.
Fotografato da tutta la nazione e puntualmente invitato a tutte le manifestazioni, con il suo striscione.
Pecora fu quello che spedì più di mille lettere a casa degli elettori per convincerli a votare per Maria Grazia Laganà, vedova Fortugno,
Che dopo cinque mesi dall’assassinio del marito decise di candidarsi, o fu convinta a candidarsi, fatto sta che Aldo Pecora cercò di convincere tutti a sostenere la sua candidatura.
Pare strano allora che adesso i figli dell’ On. Laganà, condannino a Pecora il fatto che Fortugno lo avesse incontrato poche volte, o ancora di essere “un burattino nelle mani di politici che sono andati avanti grazie alla morte del padre”.
Ora, io di politici che hanno tratto fortuna dalla morte del povero Fortugno non ne conosco, o comunque è meglio non dire ciò che penso. Per non parlare del fatto che, sempre i figli dell’on. Laganà scrivano, che il Presidente Bova “non ha bisogno di fare parate strumentali”.
Sarà anche vero, io il signor Bova non lo conosco personalmente, e sono sicuro si tratti di una brava persona, però qualche paratuccia me la ricordo, ad esempio tanto astio con Pecora non lo aveva ai tempi delle manifestazioni pre-elettorali, quando una parte del consiglio regionale ha sostenuto la diffusione molte magliette con la scritta “Ammazzateci Tutti” , o quando in collaborazione con una particina della Rai calabrese ha prodotto e stampato un libro in cui Pecora e il suo striscione la facevano da padrone, ritratti in ogni dove.
Insomma Bova onesto sarà pure, ma mica fesso, l’occasione non l’ha persa, e secondo me qualche voticino ci è scappato pure.
Delegittimare oggi Aldo Pecora e il suo movimento, provare per lui “pena” mi pare “penoso” .
Una delle banalità più ricorrenti in questi mesi è sempre stata quella di dire che “tutti erano i ragazzi di Locri”, ma oggi improvvisamente Pecora non lo è più, e un gruppo organizzato di più di 60 persone si è ridotto a 7 pochi eletti.
Attaccati al filo della speranza di Franco Fortugno a questo punto credo ci siano poche persone, tutti gli altri si credono attaccati ad una corda lunga e resistente, e come da copione le vittime di questo giochino mediatico sono rimasti i ragazzi, quelli che forse ci credevano veramente, quelli a cui dei 600.000,00 euro destinati al Fo.Re.Ver, e dei 2.500.000,00 euro destinati a suo sostegno per i prossimi 25 anni dalla Regione che saranno poi gestiti dal Comune di Locri, interessa poco, la cosa importante era un posto in cui riunirsi, una frequenza radiofonica da cui farsi sentire e una vita più normale da vivere. Qui da noi c’è un detto che spesso funziona:
"cu si curca chi figghioli si arza vagnatu”.
A parer mio una sensazione di forte umidità la sentono in molti, ma è anche il giusto premio per chi ha portato avanti come vessillo nelle proprie campagne di conquista i cortei e gli slogan di questi ragazzi, li ha resi eroi e ora ce li vuol far passare come impostori, almeno quelli che non si allineano alle fila dell’esercito in marcia.
Paki Violi
http://www.larivieraonline.com/news.asp?id=1006
1. I ragazzi di Locri, Bova e il Giornale di Sicilia , 17 dicembre 2006, 20:02
ANCHE IL SINDACATO CON ALDO PECORA E TUTTO IL MOVIMENTO AMMAZZATECITUTTI.
INTERVENTO DI GIORGIO CREMASCHI, SEGRETARIO GENERALE NAZIONALE DELLA CGIL-FIOM
fonte CALABRIA ORA, SABATO 16 DICEMBRE 2006
CREMASCHI: SBAGLIATO QUERELARE AMMAZZATECI TUTTI"
VIBO VALENTIA - "Percepisco un disagio sociale insostenibile e una sempre più crescente sfiducia per cui le cose possano cambiare".
Giorgio Cremaschi (nella foto giù), leader nazionale della Fiom-CGIL, scorge una Calabria rassegnata. Ha carisma il sindacalista che anima la battaglia degli operai di Mirafiori. Ma è anche realista. Parla di Vibo Valentia, giunto per discutere degli effetti della manovra Finanziaria, ma conosce quanto basta per comprendere ciò che in Calabria non va. "Dopo l’omicidio Fortugno - afferma - si è percepita l’onda emotiva del desiderio di riscatto, quella ceh aveva animato la Sicilia dopo le stragi del ’92. Poi, però, tutto si è assopito. Ho l’impressione che quella fase si stia ormai chiudendo e certo non per colpa di chi si è messo in movimento".
E allora, di chi la colpa? "Leggo della querela a uno dei ragazzi che ha guidato quel magnifico movimento giovanile sviluppatosi a Locri all’indomani dell’assassinio del vicepresidente del consiglio regionale - sottolinea Cremaschi - Non si querelano i ragazzi di Locri. Al giovane esprimo la mia solidarietà. Credo che la politica debba riflettere sulle scelte che compie".
Una Calabria dilaniata in ogni suo aspetto. Crisi politche a ritmo arrembante. Avvisi di garanzia a pioggia che raggiungono consiglieri, assessori regionali e lo stesso governatore.
L’Antistato che si sostituisce allo Stato. Il lavoro che non c’è. I soldi pubblici sperperati. Che fare?
Cremaschi richiama ognuno al suo ruolo, e in particolare, il sindacato: "Bisogna ritornare ad essere totalmente indipendenti dalla politica - insiste il leader Fiom -
Torniamo in mezzo alle masse e riscopriamo le nostre radici. Riscopriamo la forza per riaccendere il conflitto sociale, solo attraverso questo e una mobilitazione delle masse per la difesa del diritto a vivere in una terra sana potremo parlare di una Calabria migliore."
Pietro Comito
3. I ragazzi di Locri, Bova e il Giornale di Sicilia , 19 dicembre 2006, 14:13
Dalla pagina 23 del quotidiano nazionale "Corriere della Sera"
In Calabria 5 toghe pagate per un corso d’aggiornamento
La Regione finanzia giudici che la controllano
A Catanzaro polemiche e veleni per un incarico a magistrati di Tar e Corte dei Conti retribuito con 56 mila euro
Può un giudice con una mano prender soldi dalla Regione e con l’altra firmare serene sentenze su quella stessa Regione?
E’ ciò che si chiedono a Catanzaro, dove su un pezzo della magistratura locale soffia ancora aria di tempesta.
Nodo della questione: il decreto con cui la giunta guidata da Agazio Loiero decise di finanziare un corso di aggiornamento per funzionari pubblici affidando le lezioni (quante?) a un gruppetto di docenti e di «tutor» di fiducia. Tra i quali c’erano un membro della Corte dei Conti più il presidente e tre toghe del Tar della Calabria.
Sentiamo già l’obiezione: uffa, per un pugno di euro!
Vero: la cifra, in sé, non è poi così grossa: 56.898 euro.
Poco più di centodieci milioni di lire.
E anche le somme incassate da questo o quello dei «professori» contestati, chiamati a spiegare come funziona la legge numero 15 dell’11 febbraio 2005, sono contenute: da 2.686 a 5.649 euro.
Né appare facile contestare la legittimità formale della faccenda. Anzi, diamo per scontato che l’operazione sia corretta.
Ma resta il nodo: è opportuno che un’amministrazione pubblica passi dei soldi a chi quotidianamente deve valutare se i suoi atti siano rispettosi della legge? Nella lista dei docenti spicca ad esempio Quirino Lorelli, che lavora alla Corte dei conti calabrese e tempo fa chiese al Consiglio di Presidenza, il Csm dei giudici amministrativi, il via libera (negato) per fare il segretario generale della Regione alle dipendenze di quella giunta su cui tuttora deve vigilare.
Accanto a lui, Cesare Mastrocola, presidente del Tar.
E nella loro scia Pierina Biancofiore, Giuseppe Chiné e Giovanni Iannini, tutti e tre componenti della Seconda Sezione dello stesso Tar.
Per carità, tutto regolare. Forse.
In una regione tormentata e diffidente qual è la Calabria, dove troppo spesso ogni singolo atto della magistratura viene letto in chiave politica (vedi l’invio degli ispettori ministeriali sollecitato mesi fa da un gruppo di parlamentari di destra contro il pm Luigi De Magistris, sospettato di simpatie sinistrorse prima che mettesse sotto inchiesta anche un pezzo dell’attuale giunta di sinistra) la scelta ha avuto però l’effetto d’un fiammifero in un pagliaio.
Al punto che il Quotidiano è arrivato a scrivere di «mandati di pagamento effettuati in tempi non proprio non sospetti».
Certo è che di tutto aveva bisogno, la Calabria, tranne che di questo nuovo sgocciolio di veleni. Che è andato ad aggiungersi ad altri due casi sconcertanti. Prima lo scontro tra il presidente del Consiglio regionale, il diessino Giuseppe Bova, e «i ragazzi di Locri» del movimento «Adesso ammazzateci tutti», additati per mesi come simbolo del riscatto morale della Calabria e ora querelati perché avevano denunciato una «squallida opera di strumentalizzazione politica» condotta dai Ds, «partito che nella regione del dopo-Fortugno vanta il record nazionale per numero di consiglieri regionali inquisiti».
Poi il ritrovamento delle denunce che il vice-presidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno aveva fatto sulla gestione scellerata della Asl 9 di Locri prima di essere assassinato, denunce per oltre un anno misteriosamente sparite al punto che si negava fossero mai state presentate.
Le polemiche e i sospetti intorno alla decisione della Regione di «assumere» per alcune lezioni quei magistrati amministrativi arrivano infatti nella scia di una lunghissima stagione di vicende non limpidissime dei palazzi della giustizia di Catanzaro.
Dove è sembrato «normale», in un recente passato, che Caterina Chiaravalloti fosse presidente del Tribunale del Riesame (ufficio dove passavano le procedure di arresti e sequestri dalla criminalità economica all’amministrazione pubblica) mentre il padre Giuseppe, già procuratore generale alla corte d’appello di Reggio, era governatore.
Come più o meno «normale» era apparso, tempo fa, è che Gerardo Dominijanni continuasse a fare il sostituto procuratore anche mentre lo zio Giovanni Filocamo era assessore regionale alla sanità.
O che Maria Teresa Caré presiedesse la fase iniziale del processo (concussione e altro) contro l’ex sindaco forzista di Catanzaro Sergio Abramo, che sua madre avrebbe poi appoggiato presentandosi come capolista alle successive comunali.
O che l’udienza preliminare nei confronti del marito del gip Abigail Mellace, Maurizio Mottola D’Amato, coinvolto in una brutta storia di appalti nella sanità, si tenesse di fronte alla porta della donna e che l’uomo fosse assolto con rito abbreviato da altro collega della moglie, della porta accanto.
Ahi ahi, i parenti... Il ruolo di segretaria particolare dell’allora presidente regionale, per dire, fu ricoperto a un certo punto dalla signora Maria Rosaria La Monaca, moglie dell’allora presidente della prima sezione del Tribunale Penale Antonio Baudi, chiamato a giudicare anche la condotta degli amministratori calabresi. Un ruolo di spicco, uno stipendio ottimo e una carriera straordinaria per una telefonista precaria all’ufficio acquedotti.
Agevolata anche da una leggina bacchettata dall’allora Procuratore della Corte dei Conti Nicola Leone e successivamente bollata da una sentenza della magistratura come «tanto singolare e discutibile da giustificare il ragionevole sospetto che si trattasse quanto meno di una norma dettata ad personam».
Per non dire di Nicola Durante, già membro di quella seconda sezione del Tar oggi fornitrice di tre dei cinque «docenti» del corso regionale e al centro di polemiche recenti su sentenze favorevoli a dipendenti scolastici che avevano avuto il posto presentando documenti falsi e polemiche più antiche (anche col Corriere, che rivelò tutta la faccenda) seguite a una sentenza. Sentenza che bloccò l’abbattimento di una parte (lo scivolo a mare costruito sugli scogli) di una villa di Caminia, una delle zone più belle e devastate della Calabria, di proprietà di suo suocero, Domenico Porcelli, già avvocato generale dello Stato presso la Corte di Appello di Catanzaro.
Uscito indenne da un’inchiesta dell’organo di auto-governo che sulle prima pareva essere severissima e promosso da Loiero, appena salito alla guida della Calabria, segretario generale della Regione sulla quale fino al giorno prima vigilava, Durante è stato coinvolto mesi fa in una nuova polemica dalla deputata di An Angela Napoli, che voleva sapere come potesse cumulare insieme il mestiere (e lo stipendio) di capo di gabinetto e segretario generale col mestiere (e lo stipendio) di membro del Tar di Salerno dove aveva chiesto (restare a Catanzaro era troppo) di essere trasferito. Un braccio di ferro concluso, con l’autosospensione, solo poche settimane fa. Quanto ad Antonio Baudi, il governatore calabrese ha pensato che in pensione fosse sprecato. E lo ha nominato sottosegretario. A cosa?
Che domande: alla legalità.
Gian Antonio Stella
18 dicembre 2006