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IL DOLCE E L’AMARO

Publie le venerdì 7 settembre 2007 par Open-Publishing

Regia: Andrea Porporati
Soggetto e sceneggiatura: Andrea Porporati, Annio Gioacchino Stasi
Direttore della fotografia: Alessandro Pesci
Montaggio: Simona Paggi
Interpreti principali: Luigi Lo Cascio, Donatella Finocchiaro, Fabrizio Gifuni, Tony Gambino
Musica originale: Ezio Bosso
Produzione: Medusa Film
Origine: Ita, 2007
Durata: 98’

C’è amaro, molto più amaro che dolce nell’escalation alla carriera d’un picciotto, lo dice Andrea Porporati che riproduce una storia inizialmente simile ma poi tanto diversa da quella de “I cento passi” di Giordana. Un altro film sulla mafia e contro la mafia. Visto dal di dentro, con gli occhi di chi la mafia la vive perché sceglie di farne parte e non si ribella come Peppino Impastato. Ne fugge via a un tratto d’un percorso diventato ossessivo anche per se stesso. Eppure questa denuncia non ha l’impatto emotivo, la forza dirompente, i contorni dell’impegno civile di quella pellicola del 2000 che era valsa a Giordana un Leone per la sceneggiatura alla Mostra di Venezia.

E’ facile sentire il fascino della cosca seguendo il machismo patriarcale, segnato dai luoghi comuni dell’uomo forte (“che ha i coglioni”) che trova i cardini della propria esistenza nella prevaricazione d’ogni vivere e nella protezione delle ‘cose nostre’. A tali presupposti - sentendosi segnato da un destino che l’ha fatto figlio di mafioso - Saro Scordia sacrifica tutto, anche l’amore che una ragazza proba com’è Ada riesce a offrirgli. Gli volta le spalle per inseguire una vita da uomo d’onore e sposerà una donna qualsiasi indicatagli dal boss Gaetano Butera, divenuto suo mentore e padrone dopo esser stato l’assassino di suo padre.

Saro s’accompagna per un periodo a Mimmo Butera che non ha però il piglio criminale del genitore. E’ vanesio e insulso e terribilmente pauroso, non sa premere il grilletto e questo nell’onorata società che va ad iniziarli alla malavita, è una pecca insostenibile. Soltanto Saro riuscirà nella ‘carriera’, che è comunque spigolosa azzera l’individuo, lo schiavizza ai voleri della ‘famiglia’, prevede ordini dai padrini, ordini di morte e lezioni comportamentali che ti fanno sentire una nullità. Altro che uomo con le palle e d’onore, non conti e non vali niente perché nulla valuti e discuti, sei un robot dedito all’obbedienza e resti in vita finché il clan vuole lasciarti.

Saro inizialmente lo vede e lo accetta, mentre l’innamoratissima Ada rifiuta che il suo uomo possa emanare quel tanfo di morte perciò s’allontana. Lo ritroverà in una seconda esistenza quando il mafioso cercherà redenzione nella fuga, nella rimozione del passato in un altro pezzo d’Italia, cercando di normalizzarsi con la normalità del lavoro. L’aiuto verrà dal conoscente d’un tempo che Saro aveva pestato perché Ada lasciandolo era corsa fra le braccia di quel giovane gentile e studioso. Diventato ora un giudice che s’occupa di mafiosi come Saro. E questo Saro lo sa perché nello scambio di ‘attenzioni’ quel giudice è nel mirino dei clan che avevano affidato proprio a lui, prima che fuggisse, l’esecuzione. Scordia comprende di non avere alternative, accetta il programma di protezione, prende prima una lavanderia poi un’edicola per vivere normalmente accanto ad Ada.

Sì, nella vita dolce e amaro s’inseguono per chiunque, in ogni ruolo. Difficile è il dosaggio che fa il paio con le scelte, per chi ha la forza, il coraggio, la voglia di farne. Come l’ex picciotto che sa quel che ora rischia. Come il giudice ammazzato egualmente da uno Scordia qualunque che non s’è pentito.

Enrico Campofreda, 6 settembre 2007