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IL FORUM MONDIALE SULL’INFORMAZIONE DI AL JAZEERA

Publie le sabato 24 luglio 2004 par Open-Publishing

Doha, luglio - Vanno dai trentacinque ai quaranta milioni gli arabi
che ogni giorno si sintonizzano su Al Jazeera per sapere cosa è
accaduto nel mondo e in modo particolare nella loro regione. Ci sono
poi almeno altri cinque milioni di telespettatori che dall’Europa,
dalle Americhe e dal resto del mondo seguono le trasmissioni
dell’ormai celebre tv satellitare, che il prossimo novembre compie
otto anni.

Che Al Jazeera sia diventata una delle grandi realtà nel mondo
dell’informazione, lo abbiamo riscontrato il 12-13 luglio a Doha al
Forum mondiale sull’informazione, organizzato da Al Jazeera, a cui
hanno partecipato esperti del settore provenienti da tutto il mondo.
Mancava purtroppo l’Italia, perché i rappresentanti dei media
italiani, sebbene invitati, hanno preferito disertare la
manifestazione, mostrando supponenza e provincialismo allo stesso
tempo.

A Doha non c’erano solo i mezzi di informazione locali, ma sono
intervenuti la Bbc, il direttore responsabile dell’agenzia francese
Afp, il direttore dello spagnolo El Pais, il responsabile del Los
Angeles Times, il direttore del più venduto quotidiano del mondo il
giapponese Ashahi Shimbun, l’americana Fox News, distintasi come
maggiore sponsor della guerra di aggressione all’Iraq, la britannica
Sky News, responsabili di testate dal Sudafrica all’India, dalla
Cina alla Germania.

E’ stato un indiscutibile tributo ad Al Jazeera e alla crescita
straordinaria di questa emittente che non intende fermarsi a questo
punto, ma conta di ingrandirsi ulteriormente e, dopo la tv in arabo,
il varo del sito Internet in arabo e poi in inglese, il lancio di un
canale sportivo, la creazione di un Centro per lo studio dei media,
ora progetta un canale per l’infanzia, un canale per i documentari e
infine il grande salto, previsto per l’anno prossimo, con la
presentazione di un canale d’informazione in lingua inglese come
sfida globale ai media anglo-americani. Al Jazeera vuole portare il
mondo arabo, tramite l’inglese, nelle case di tutti coloro che sono
interessati non solo a pontificare, ma anche ad ascoltare.

Nel corso del Forum, il direttore dell’Associazione mondiale degli
editori Bertrand Picquerie ha accusato Al Jazeera di voler essere un
esperimento politico e tentare la strada che avrebbe visto il
fallimento del nazionalismo panarabo e dell’esperienza socialista
del Baath. Al Jazeera sarebbe, a suo modo di vedere, un tentativo di
unificare il mondo arabo. Che Al Jazeera rifletta meglio di chiunque
altro il sentimento dell’opinione pubblica araba, lo hanno
riconosciuto tutti, arabi e ospiti stranieri.

Forse proprio per l’enorme influenza che la rete ha acquistato nel
corso degli ultimi anni, nessuno quanto Al Jazeera ha sofferto nel
mondo dei media le pressioni e le intimidazioni patite di recente
dalla tv satellitare qatariota. E’ opinione diffusa presso gli studi
di Doha che Abu Ghraib e lo scandalo delle torture americane nelle
carceri irachene abbiano salvato la rete prima ancora dei detenuti.
Testimonianza lampante di quanto Al Jazeera rimanga nel mirino è
stato l’intervento in videoconferenza dalla Spagna del noto inviato
della tv Taysir Allouni, che è sotto inchiesta in Spagna, dove ha la
residenza, con l’accusa di legami con al Qaeda, dopo aver seguito il
conflitto in Afghanistan e l’invasione dell’Iraq. Allouni non può
lasciare il Paese iberico.

L’operazione americana Desert Fox nel 1998 contro l’Iraq, come
l’attacco all’Afghanistan e l’invasione dell’Iraq sono stati i tre
momenti che hanno segnato la crescita di Al Jazeera, diventata
adulta grazie alla politica senza scrupoli seguita dagli Stati Uniti
nel mondo arabo-islamico. Le dichiarazioni ostili di Donald Rumsfeld
sino al recente invito fatto dal portavoce delle forze Usa in Iraq
generale Mark Kimmit, "se guardate la televisione, è semplice,
cambiate canale", hanno ulteriormente contribuito a rafforzare il
prestigio di Al Jazeera.

Ahmed Sheikh, direttore responsabile dell’informazione di Al
Jazeera, ha sottolineato che la rete si prefigge due
priorità "informare ed educare", e ha respinto le accuse secondo cui
Al Jazeera sarebbe parte del problema della fanatica violenza
integralista che si starebbe diffondendo nel mondo arabo islamico,
in quanto palcoscenico per Osama bin Laden o per Abu Musab al-
Zarqawi piuttosto che per i vari gruppi che davanti alla telecamera
giustiziano le persone.

Sheikh ha replicato che molti dei video sono comparsi su Internet
prima di approdare alle televisioni ed è quindi necessario decidere
se Al Jazeera può o meno utilizzare Internet come fonte primaria
oppure questa è una prerogativa della Reuters o della Cnn e Al
Jazeera deve riprendere le notizie da loro. Là dove la brutalità
dell’immagine ha raggiunto Al Jazeera in esclusiva, come nel caso
dell’esecuzione a freddo di Fabrizio Quattrocchi, la tv satellitare
qatariota ha preferito non trasmettere il video proprio per non
urtare il pubblico e per rispetto verso la vittima.

A questo riguardo, Eric Wishart, direttore della France presse (Afp)
si è domandato se gli atti di violenza non venissero commessi
proprio per la presenza dei media, perché le immagini vengano poi
rilanciate. Nart Bouran, direttore del canale satellitare Abu Dhabi
Tv, quindi un concorrente di Al Jazeera, ha espresso il sospetto ad
Arabmonitor che Al Jazeera sia privilegiata nell’accesso a
determinati video, perché i filmati hanno un prezzo e c’è chi li
paga e chi no.

Per i critici di Al Jazeera, e sono tanti anche nel mondo arabo per
diverse ragioni, un punto debole della celebre tv satellitare è la
sua indipendenza, che qualcuno nega e altri definiscono parziale. La
rete è finanziata dal Qatar e dipende completamente dalla
disponibilità del sovrano a concedere la libertà necessaria per
esprimersi sui vari temi. Diversi giornalisti e responsabili di Al
Jazeera, nel più assoluto anonimato, hanno detto ad Arabmonitor che
la libertà di espressione è assicurata dalle autorità qatariote al
cento per cento. Non solo, ma sembra che nei mesi scorsi, quando la
pressione statunitense si era fatta asfissiante, il sovrano ha
chiesto ai vertici dell’azienda due sole cose: la massima cura nel
fornire le notizie e l’attenzione a non commettere errori che altri
avrebbero usato come scusa, aggiungendo che al resto avrebbe pensato
lui.

Al termine dei lavori del Forum, Al Jazeera ha diffuso un proprio
codice etico in dieci punti a cui la rete intende ottemperare in
futuro, tra cui l’adesione ai valori giornalistici di onestà,
coraggio, correttezza, equilibrio, indipendenza e credibilità,
l’impegno a trattare l’audience con rispetto prestando un’attenzione
particolare ai sentimenti delle vittime che siano di guerre,
persecuzioni, crimini o disastri naturali, l’obbligo a presentare i
diversi punti di vista e opinioni in modo imparziale, l’adesione a
una competizione corretta tra i mezzi d’informazione, l’impegno ad
ammettere gli eventuali errori e correggerli, osservare la più
assoluta trasparenza sulle notizie e le fonti di informazione. Il
direttore generale di Al Jazeera Waddah Khanfar ha
commentato: "Questo codice ci aiuterà a trattare le sofferenze umane
nei conflitti".

Che la disinformazione e la discriminazione inizino con l’uso di un
determinato linguaggio, non è certamente una scoperta. Tuttavia è
stato interessante ascoltare quando Miguel Bastillier di El Pais ha
raccontato che la stampa spagnola ha usato per mesi il
termine "resistenza irachena", sino a quando non sono stati uccisi 7-
8 agenti dei servizi segreti spagnoli in Iraq all’inizio di marzo.
Dopo quel’episodio, in 24 ore, i combattenti iracheni sono
diventati "assassini", "terroristi" o nella migliore delle
ipotesi "guerriglieri". Un giornalista cinese, ha posto alcune
domande estremamente precise a dei rappresentanti della stampa anglo-
americana presenti al Forum: "Quando parlate delle forze anglo-
americane in Iraq, usate l’espressione invasori o truppe della
coalizione, quando affrontate la situazione corrente, parlate di
occupazione e di resistenza o no ?".

Marjory Miller del Los Angeles Times ha replicato, dicendo che il
suo giornale ha sempre parlato di "invasione" dell’Iraq, di "truppe
americane", perché non si può definire una coalizione dove tutto
viene deciso dagli americani, di "occupazione" dell’Iraq nelle
condizioni attuali. Adrian Van Klaveren della Bbc ha risposto che la
Bbc non ha mai usato il termine "liberazione" dell’Iraq, continua a
ricorrere all’espressione "truppe a guida statunitense"
oppure "truppe anglo-americane" e qualche volta ha definito quella
irachena "resistenza".

Nart Bouran, direttore di Abu Dhabi Tv, ha osservato ad Arabmonitor
di essere rimasto stupefatto come dopo l’11 settembre la dirigenza
israeliana abbia pubblicamente e ripetutamente tracciato un
parallelo tra la resistenza palestinese, al Qaeda e i Talebani
afghani e che una parte della stampa occidentale abbia sposato
questa tesi. Per Abu Dhabi Tv, quando in Iraq o nei Territori
occupati c’è un attacco armato contro le truppe americane o quelle
israeliane o i coloni, si tratta di un’operazione della resistenza,
mentre le azioni contro obiettivi civili sono delle aggressioni.

Un rappresentante sudafricano ha rilevato come il giornalista non
possa essere comunque altro che parte della storia di cui riferisce,
e ha aggiunto "è più facile trovare le armi di distruzione di massa
che un giornalista obiettivo". Un’ultima annotazione: la lingua
ufficiale del Forum è stato l’inglese, ma cinque rappresentanti
francofoni, rivendicando il diritto alla diversità culturale ed
esaltandone i valori, sono intervenuti in francese.