Home > IL RAZZISMO DI CASA FINI
Puntuale come il virus dell’influenza lo speculatore della politica italiana, il camerata istituzionale Gianfranco Fini s’era recato alla stazioncina di Tor di Quinto nei pressi della quale c’era stata l’aggressione assassina costata la vita all’ennesima donna. Aggressione machista prima che romena ma né lui né altri politici più corretti lo facevano notare. Quante donne vengono aggredite da maschi d’ogni etnia? E gli italiani non sanno essere secondi anche su questo terreno. Ma il camerata in rassicurante trench ribadiva non che i romeni che commettono crimini ma i romeni in quanto criminali vanno rimpatriati.
Anziché ammettere che la sciagurata legge che porta il nome suo e dell’altro camerata in camicia verde era servita solo a incrementare l’ingresso di clandestini, spesso disperati, facile manovalanza di criminalità italiana e straniera, lui faccia di bronzo non accennava neppure un’autocritica ma si lanciava nella specialità che ha reso celebre la sua fazione: speculare.
E poi seminare odio che nel suo partito e nell’area di riferimento trovano ampia eco. Infatti rapidissimo è giunto il raccolto di questa semina: lo squadrismo di sempre che a Destra non passa mai di moda. Magari si scoprirà che il manipolo esecutore del raid razzista è composto da ultras da stadio, da giovinetti rimbesuiti dai proclami di quei caporioni con cui Fini a volte litiga altre va a braccetto. A cominciare dalla Mussolini ondivaga fra An e Fiamma Tricolore, e Storace che a suon di spranga come ai bei tempi di Acca Larenzia vuole lanciare il suo nuovo gruppo denominato Ladestra.
Forze dell’Ordine e Magistratura potranno indagare su chi abbia partecipato al raid razzista di Torrenova ma l’ispiratore possono trovarlo fra via della Scrofa e Montecitorio. Nella sua piccineria ripete in piccolo quello che il suo idolo di gioventù faceva nel Ventennio, incarnare lo Stato e ispirare l’antistato prima delle squadracce poi dell’Ovra.
Enrico Campofreda, 4 novembre 2007