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INTERVISTA A NUNZIO D’ERME

Publie le mercoledì 10 novembre 2004 par Open-Publishing
2 commenti

L’INTERVISTA «L’esproprio? Atto simbolico»

D’Erme: ma qualche cliente si è portato via telefonini e computer

Hanno votato tutti contro di lui, in Campidoglio, quelli del centrodestra e quelli del centrosinistra. Il sindaco Veltroni ha espresso una «condanna totale». E il ministro dell’Interno Pisanu, l’altro giorno, gli ha fatto capire chiaramente che al prossimo esproprio proletario, al prossimo supermercato, alla prossima libreria saccheggiata, scatterà l’arresto. Per lui, Nunzio D’Erme. E per il resto del movimento. Ma sotto la pioggia di Santi Apostoli, davanti al Palazzo della Prefettura, aspettando la fine dell’incontro della delegazione di Action con il prefetto Serra, al termine di un’altra lunga giornata di tensione con la polizia, il consigliere capitolino Nunzio D’Erme non si sente affatto isolato politicamente.

«Io - dice l’uomo che scaricò letame sotto casa di Berlusconi - resto ben radicato nel tessuto sociale, al contrario di questa politica del bon ton, politica da salotto televisivo, che non conosce i problemi reali delle persone e si preoccupa solo di presentare libri o concedere interviste. Per questo non mi sento e non potrò mai sentirmi solo e, ovunque sarò, continuerò a lottare per i bisogni e i diritti».

Il ministro Pisanu, però, ha lasciato intendere che continuando così l’arresto è vicino...

«Il ministro Pisanu mi vuole arrestare da parecchi mesi. Il problema è che lui guarda al fenomeno ma non alle cause che gli stanno dietro. Il problema è che non le vuole guardare, le cause. Cioè i disagi della gente comune. Come il sindaco Veltroni. Che scrive il libro Senza Patricio , ma poi Patricio lascia che lo buttino fuori di casa...».

Che vuol dire?

«Mi pare evidente. C’era anche un bambino di 20 giorni, un neonato moldavo, tra le persone sgomberate all’alba dal palazzo occupato di via Vercelli. Non era forse Patricio quel bambino lì? ».

Ce l’ha col centrosinistra, non è vero? Ce l’ha con Rifondazione che malgrado i 23 mila voti alle europee non l’ha mandata a Strasburgo?

«Io ce l’ho con questo centrosinistra che corre dietro alla destra, una destra delinquenziale. Ce l’ho con un consiglio comunale che vota all’unanimità un ordine del giorno per condannare le violenze all’università della scorsa settimana. Veltroni stesso ha espresso solidarietà a Fini...Ma quali violenze? Non c’è stata nessuna violenza all’università. Intanto, però, è in corso una guerra sociale, una guerra vera, contro le fasce più deboli e il centrosinistra non spende una parola. Dove sono Minelli e Galloro? Qual è la politica del Comune per l’emergenza abitativa a Roma? Perché la delibera per la casa non viene approvata? Forse i partiti non la vogliono approvare...Le case confiscate alla mafia che fine hanno fatto? Si sono accorti, Minelli e Galloro, che stanno emergendo nuove figure sociali, gente che ha un reddito di 1200-1400 euro al mese e dunque non ha diritto al bonus per la casa né al canone sociale eppure si trova ugualmente col cappio al collo perché intanto aumentano gli affitti?».

Scusi, ma l’esproprio proletario di sabato scorso al supermercato non è stata, forse, una violenza? Un furto?

«Guardi, l’ha scritto ieri proprio il Corriere: noi siamo andati lì a volto scoperto per fare una dimostrazione, un atto simbolico, per attirare l’attenzione dei media sul problema del carovita e sulla necessità dell’autoriduzione dei prezzi. Poi è successo che qualche cliente stesso del supermercato si è messo a portar via la roba di valore: telefonini, computer...».

Più di qualcuno, però, nutre il timore che il movimento no-global possa rappresentare un brodo di coltura per il nuovo terrorismo. Non è così?

«Sì, le Brigate Rosse... Ma non scherziamo neppure. Ci chiamano no-global ma non sanno niente di noi. I giornali hanno scritto che la casa del Grande Fratello, la settimana scorsa a Cinecittà, era stata assediata dai no-global che reclamavano un tetto. Ebbene, dietro a quegli striscioni di protesta, vi posso dire che c’erano soprattutto madri di famiglia e anziani settantenni con la paura di essere sfrattati».

Lo sgombero di via Vercelli può essere una conseguenza della «tolleranza zero» annunciata dal Viminale?

«Non credo. Ci era già stato annunciato. Sapevamo che sarebbe stato portato a termine in questa settimana. Certo, il clima che si è creato negli ultimi giorni forse ha accelerato i tempi. Ma non è con gli sgomberi che si risolve il problema. Questo, il prefetto Serra, il questore Cavaliere e il sindaco Veltroni, lo devono capire».

Fa.C. - Cronaca di Roma - Corriere della Sera - 10.11.04

http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=CRONACA_DI_ROMA&doc=SERRA

Messaggi

  • Roma, 15:04
    Letame davanti casa Berlusconi, processo per consigliere Prc

    Ci sarà un processo a carico del consigliere comunale di Rifondazione comunista Nunzio D’Erme e di altri aderenti al movimento dei Disobbedienti che, ai primi di ottobre dello scorso anno, scaricarono letame davanti all’abitazione romana del presidente del consiglio Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli. Il pm della procura della capitale, Salvatore Vitello, ha chiuso l’inchiesta con decreti penali di condanna a una multa per "deturpamento e imbrattamento di cose altrui" per gli indagati, ma l’opposizione avanzata dalla difesa fa sì che la vicenda finisca al vaglio del tribunale e che si apra, quindi, un dibattimento. Gli investigatori erano riusciti ad indentificare i responsabili grazie alle foto che li ritraevano durante l’iniziativa. (A)

    REPUBBLICA ON LINE 11.11.04

    • un racconto parziale della mattina del 6 novembre a Panorama

      Ciò che si legge nei giornali e si vede in televisione non è certo lo specchio della realtà, ma una sua rappresentazione, una delle sue molteplici facce, solitamente la più spettacolare – nel bene come nel male – la più luccicante, descritta con parole adatte ad essere urlate, ad andare nei titoli in grassetto.
      I giornali hanno urlato: «DISOBBEDIENTI!» – «VIOLENTI!» – «ESTREMISTI!» – «1977!» – «ESPROPRIO! RAPINA!».
      Per fortuna, la realtà è ben più complessa di come ce la mostrano. Per fortuna, la reiterazione di immagini, nei telegiornali, negli approfondimenti, negli speciali, ha finito per fare corto circuito con le definizioni che roteavano minacciose nell’etere. Le immagini non hanno assuefatto gli spettatori all’odio per questi estremisti, ma alla «normalità» delle loro facce, in queste immagini il manifestante, nel luogo per lui dello sfruttamento e del consumo, e il cliente nel paese dei balocchi, si mescolano insieme a formare quel corpo sociale che quel 6 novembre non voleva essere spettatore passivo del suo rapporto con la merce: comprandola, consumandola, desiderandola, ma essere attivamente lì a mostrare la centralità della propria vita e di una dimensione umana dell’esistenza.
      Queste immagini non mostrano scontri, non ansimano di concitazione, , ma ci fanno vedere persone a volto scoperto, ferme davanti ad un carrello con pannolini e assorbenti, cibo per cani e shampi (o non sta bene lavarsi?).
      Mostrano «normali» clienti di un centro commerciale, tanto stufi di spendere soldi quanto gioiosi di riempire il carrello perché poi, alla cassa, chiederanno il 70% di sconto: vorranno solo pagare il giusto, insomma, e contrattarlo dal basso. «AUTORIDUZIONE», l’hanno chiamata.
      Mostrano, ancora, carrelli ammassati all’uscita del centro commerciale, alla luce del sole di novembre, e tanta gente intorno quasi fosse un mercato, una piazza d’altri tempi. Mostrano uno scambio, una condivisione piuttosto che una rapina, se si vedono grasse signore che chiedono pacchi di pasta e padelle, se un’anziana coppia che aveva messo la spesa sui rulli della cassa si riprende tutto, lo infila di nuovo nel carrello e se ne va per nulla convinta – a occhio e croce – dell’immoralità del proprio gesto.
      Non è mancato chi ha insultato questi lanzichenecchi, chi si è vergognato di essere di sinistra, chi si sentiva offeso nei suoi principi; non è mancata la commessa che piangeva, non è mancato chi ha dichiarato che questi «hanno fatto lo schifo, mangiato, bevuto, rotto vetrine, preso a pugni, bucato gomme di automobili…». Non è mancato chi si è schifato di questi «poracci morti de fame», chi invece si è scandalizzato perché i no-global che fanno tanto gli amici dei poveri si sarebbero presi cellulari, stampanti e portatili, ovvero altrettanti bisogni che l’odierno neoliberismo ha generato.
      Ma nessuno si sorprende o si scandalizza per i commenti e gli atteggiamenti di queste persone, il mondo è bello proprio perché è vario.
      Tanto vario che perfino nella realtà a due dimensioni degli articoli di giornale – più subdoli, perché le immagini non parlano, ma vanno indovinate da quello che si legge e soprattutto da come è scritto – trapela la maggiore complessità dell’accaduto. A sfogliare i quotidiani gonfi di parole sulla mattina del 6 novembre a Panorama, buttando un occhio ai titoli, è facile immaginare mostri oscuri, nere locuste che strisciano febbrili e saccheggiano ovunque, folli che sbavano e vomitano sulle scale mobili, invasati che invocano la rivoluzione. Se poi si ascoltano persone illustri, come il sottosegretario Sacconi, il quale proclama «gli espropri portano al terrorismo», l’immaginazione si nutre di colori più vividi, e i trogloditi affamati in cerca di pane diventano ferventi soldati con P38 in pugno, equipaggiati con passamontagna e telecamere digitali. Dal medioevo al postmoderno, è la dimostrazione che il potere può dire tutto e il contrario di tutto, senza mai contraddirsi, di te come di tutto ciò che lo mette in discussione.
      Ma facendo più attenzione le sfumature emergono, giocoforza. Se si resiste all’abbagliante distesa della pagina del Messaggero, o del Corriere, con titoli, schemini riassuntivi e foto lanciati come incantesimi fin troppo razionali, si può cominciare a leggere tra le righe sussurrate di un editoriale non sospetto che, pur criticando, e pur lanciando anatemi, è costretto a dire certe cose. È costretto a dire sottovoce che violenza non c’è stata (e non si capisce se è contento o meno di questo); costretto ad usare il termine autoriduzione, e non rapina; costretto ad ammettere che chi ha fatto questa azione interpreta il presente e parla alla gente che «un’autoriduzione non la praticherebbe mai. Ma la sogna…»
      Oppure si può incappare in un articolo che fa parlare commessi che rimangono anonimi (fare il proprio nome significa perdere il posto), i quali dichiarano che era la gente normale a prendersi tutto e a chiedere sconti, perché il problema del carovita ha raggiunto l’insopportabilità, perché riguarda tutti, perché in giro c’è un impoverimento generalizzato Queste dichiarazioni mettevano finalmente al centro i contenuti, davano dignità e occasione allo scatenarsi di un dibattito sociale sul tema. Ma venivano dopo 3 giorni di criminalizzazione, di assuefazione a termini, categorie e luoghi ormai comuni. Se non ci raccontiamo da soli, nessuno saprà raccontarci.
      Ed è proprio di questo che hanno paura, è proprio per questo che confondono le acque, che spostano il bersaglio, che alzano un gran polverone che quando si riabbassa non interessa più a nessuno. Perché ciò che li spaventa di più è che si diffonda non tanto il discorso sul carovita, di cui parlano tutti: da Ciampi, alla pubblicità, ai pensionati. Il loro problema è che al carovita si reagisca, individuando una soluzione. Una soluzione partecipata, una soluzione ragionevole, una soluzione che parte dai propri bisogni e dalle proprie vite; una soluzione di cui si sia discusso pubblicamente, una soluzione comune a problemi comuni.
      Il loro, vero, problema, non sono le rapine che nessuno, infatti, ha in mente. Il loro incubo sarà quando si parlerà di autoriduzioni, e se ne parlerà al bar, come nei forum o nelle chat rooms. E ne parleranno tutti, mica i no-global, mica i terroristi, mica i black bloc, mica i Disobbedienti, con quella stessa, compatta diversità che ha costruito, organizzato e partecipato alla giornata del 6 Novembre a Roma.

      Precari@