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Il ’68 ieri e oggi
di Nicola Cipolla
Sul dibattito che si è aperto nel giornale, pure in questi tempi così calamitosi, sulla foto della tessera dei giovani comunisti del prossimo anno vorrei fare anch’io alcune considerazioni.
Anche per brevità ma soprattutto per profonda convinzione parto dall’articolo di Giuseppe Prestipino di sabato 27 dicembre quasi per continuare un lungo ultrasessantennale, dall’epoca del PCI siciliano delle lotte contadine, discorso tra noi sulle problematiche e sulle prospettive della nostra comune militanza comunista.
Vorrei proporre ai giovani, che certamente continueranno anche nei prossimi anni la loro lotta per un mondo senza sfruttatori e sfruttati e quindi di pace e di libertà (spero di poterli rivedere all’opera a La Maddalena come ho avuto la fortuna di incontrarli a Genova, Parigi, Firenze, Barcellona nelle manifestazioni promosse dal Social Forum), di utilizzare nella prossima tessera un’altra foto che rappresenta un evento decisivo (anche più del muro di Berlino) per le sorti dell’umanità avvenuto nel secolo scorso: la foto che mostra l’ultimo elicottero USA che dal tetto dell’ambasciata americana a Saigon evacua gli ultimi protagonisti sconfitti di quella scellerata guerra in cui con boria e largo spiegamento di mezzi la superpotenza americana pensò di piegare la volontà di riscatto del popolo vietnamita che aveva già sconfitto a Dien Bien Phu i colonialisti francesi.
La guerra del Vietnam rappresenta un momento di svolta a mio avviso per tutta l’umanità per due motivi principali.
Fu la prima sconfitta nella storia degli Stati Uniti e da li iniziò, come acutamente ha spiegato lo storico Immanuel Wallerstein nel suo libro di sette anni fa “La crisi dell’egemonia americana” che oggi sta vivendo un momento speriamo conclusivo nell’attuale risisi sistemica e non ciclica che l’imperialismo americano sta attraversando.
La guerra del Vietnam ebbe conseguenze importanti anche sul campo delle forze che si opponevano all’imperialismo americano.
Da un lato costrinse i gruppi dirigenti dell’Unione Sovietica e della Cina comunista, in feroce contrapposizione tra di loro (criticata da Togliatti nel memoriale di Yalta), a esercitare unitariamente un’azione di sostegno all’esercito di Ho Chi Minh che altrimenti non avrebbe potuto in nessun modo continuare a combattere contro i mezzi tecnici di distruzione di massa (tra cui il napalm e la diossina sversati a piene mani sui villaggi e sulle foreste vietnamite) ma soprattutto costituì la miccia che accese in tutto l’occidente quel grande fatto rivoluzionario (cito ancora una volta Immanuel Wallerstein) che coinvolse prima la gioventù studentesca e successivamente anche, ad opera in Italia soprattutto del PCI e della CGIL, la classe operaia dell’autunno caldo con storici mutamenti dei rapporti di forza all’interno delle fabbriche e nella società che portarono a riforme radicali, nel nostro paese, (lo statuto dei lavoratori, il sistema sanitario nazionale, la fine dei contratti agrari feudali, il divorzio e l’aborto, l’autonomia della magistratura, etc.).
Il ’68, come è noto, partì dai campus delle università americane e dalla ribellione degli studenti contro il servizio militare obbligatorio (che anche in conseguenza di quelle lotte fu abolito negli USA). Da lì la fiamma si espanse in tutta Europa e nelle grandi manifestazioni, a partire dal maggio francese, i manifestanti accanto al “ce n’est que un debut” ritmavano “Ho-Ho-Ho Chi Minh”. Questo movimento rivoluzionario, come dice sempre Wallerstein, rappresentò una vera rivoluzione senza presa del potere ma fu una delle basi della delegittimazione e della sconfitta prima del gruppo dirigente dell’Unione Sovietica (indotto a promuovere la caduta del muro di Berlino e la propria rovina) sia diversi anni più tardi degli USA che da allora, guidati da personaggi grotteschi come Clinton e Bush jr., “andavan combattendo ed eran morti” come dice il poeta.
A sostegno del popolo vietnamita si determinò così un larghissimo fronte di forze che andava dai gruppi dirigenti dell’URSS e della Cina che fornivano i missili terra-aria che abbattevano anche l’elicottero di Mc Cain avversario di Obama, a tutte le varie espressioni della sinistra dei paesi capitalisti spesso in concorrenza e in polemica tra di loro che però in quella battaglia trovavano un elemento di unità ed anche la condizione per una vittoria comune.
Alcune considerazioni sul muro di Berlino.
Bisogna riflettere su alcuni fatti. In primo luogo la vicenda di Bertolt Brecht e del “Berliner Ensemble”. Brecth fu costretto dall’avvento del nazismo ad emigrare negli Stati Uniti del New Deal roosveltiano per continuare la sua battaglia di teatro politico (Santa Giovanna dei macelli) ma fu costretto subito dopo la guerra dall’avvento del maccartismo a lasciare gli Stati Unti ed a rifugiarsi nella DDR per costruire a poche centinaia di metri al di là del muro quel Berliner Ensemble in cui produsse capolavori dell’umanità come “Madre coraggio e i suoi figli”.
In secondo luogo quando cadde il muro, in una base della DDR opportunamente attrezzata, si trovarono decine di militanti nella ANC di Nelson Mandela che si addestravano nelle arti della guerriglia per combattere contro il regime dell’apartheid razzista sostenuto dai paesi capitalisti di tutto il mondo.
E infine, dopo la caduta del muro, la costituzione del PDS promosso da militanti della ex SED partito sorto dalla fusione tra comunisti e socialdemocratici della zona sovietica della Germania in vista della realizzazione degli accordi di Yalta che prevedevano una Germania unita, democratica (in senso occidentale) e disarmata.
Questa Germania non vide la luce non per volere di Stalin, che ha certamente altre gravi colpe ma non questa, ma della coalizione occidentale che, a partire, come ricorda Prestipino, dalle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki al discorso di Fulton di Churchill, portò alla costituzione della RFT nelle zone occupate da americani, inglesi e francesi che fu poi inserita nel patto militare Atlantico.
Infine la costituzione nella Germania orientale del PDS che ha apertamente rivendicato la propria continuità con la storia e l’organizzazione del movimento comunista tedesco fino al punto da avere riconosciuto dai tribunali della RFT la legittimità del possesso della sede del vecchio partito comunista di Thälmann, in Kleine Alexanderstraße, (una specie di Botteghe Oscure tedesca). Questo partito ancora oggi, malgrado tutto, riscuote il 30% dei voti nel territorio della ex DDR e ha realizzato con i socialdemocratici di Lafontaine, che rivendicano le autentiche radici di sinistra nella socialdemocrazia tedesca, specie nell’ultimo periodo di Willy Brandt, una unificazione della formazione politica Die Linke che valorizza apertamente, in tutta la Germania, gli aspetti positivi delle due tradizioni e si presenta oggi in Europa come la principale formazione della sinistra con prospettive di sviluppo della sua influenza sociale, politica ma anche elettorale.