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Il Mucchio Selvaggio

Publie le venerdì 2 febbraio 2007 par Open-Publishing

Non esistono maggioranze o minoranze, ma, sulla alleanza con gli Usa, un grande e indistinto mucchio...

L’attore invisibile

Un paio di settimane fa avevamo scritto che sul "nodo di Vicenza", così lo chiamammo, il governo di Prodi si sarebbe giocato la sua stessa legittimità. E’ sempre antipatico dire "l’avevamo detto", ma il fatto che, nonostante tutto, il presidente del consiglio perseveri nel giudicare "circoscritta" la questione del Dal Molin è profondamente irritante. Oltre che suicida da un punto di vista politico.

E il punto non è tanto che in senato si sia creata una situazione grottesca, per cui la minoranza fa approvare un documento a favore del governo e la maggioranza, qualche minuto dopo, fa la stessa cosa [il che, tecnicamente, vuol dire che non esistono maggioranze o minoranze, ma, sulla alleanza con gli Usa, un grande e indistinto mucchio]: il problema è piuttosto nel rapporto tra il governo e il suo elettorato.

Tutti sono abituati a pesare quel che avviene sulla sola base della dinamica politico-parlamentare, o delle prese di posizione degli attori noti, dalla Confindustria ai sindacati confederali. Ed è un tremendo errore. Perché la vittoria dell’Unione, l’anno scorso, fu il prodotto di una mobilitazione dell’elettorato democratico, di sinistra, anti-berlusconiano, quasi miracoloso [come testimoniano i poco più di 20 mila voti a favore del centrosinistra].

Qull’elettorto era a un tempo generoso ed esigente. Se quattro milioni di persone vanno a votare alle primarie per la scelta del candidato, questo rappresenta una cambiale che porta la firma di Romano Prodi [e di tutti gli altri] e di cui si esigerà, prima o poi, la riscossione. Tanto più vale, questo, dal punto di vista dei grandi movimenti degli anni in cui ha regnato Berlusconi: quelli per la pace, per il lavoro, per i beni comuni, per una globalizzazione più giusta, ecc. Il nostro non è più un paese in cui i "rappresentanti" politici possono credere che, una volta ottenuto il voto, tutto è nelle loro mani.

Non è più così, essendosi logorati i tradizionali canali del consenso o della comunicazione con la società, ossia i partiti e gli stessi sindacati confederali, o la tradizionale subordinazione degli enti locali al "centro", ecc. La nostra è una società che si è frammentata in modo estremo, ciò che però non significa che non riesca a organizzare la propria rappresentazione, e anzi lo fa con una rapidità e una capacità di comunicare - tra sé e con l’"alto" - sorprendente, utilizzando i mezzi della "democrazia deliberativa", come la chiama Paul Ginsborg, o comunitaria, e le più diverse forme di associazione.

Il guaio è che questa nuova società non è leggibile in modo tradizionale, viene diffamata e ignorata dai grandi media, non ha una sua personalità adatta alla concertazione "nazionale". Tutte ragioni per cui i politici possono fingere che una volontà sociale, e del loro stesso elettorato, non esista, o sia talmente debole da permettere loro di perseguire politiche - come l’insistenza tutta ideologica sul primato del "mercato" - che hanno ormai perduto legittimità nella percezione di gran parte di quelli che pure hanno votato per l’Unione. La sinistra "radicale", più o meno, sa invece queste cose e cerca di fare una sua parte, nel gioco politico, che si gioca però secondo regole truccate, stabilendo agende astratte e comunicando attraverso i media liberisti, in modo tale da far apparire come un capriccio tattico degli "estremisti" quel che invece è ormai senso comune nel paese.

Ad esempio, che è stupido continuare ad obbedire agli Stati uniti e alle sue esigenze di organizzazione della guerra globale, quando l’opinione nordamericana e la stessa maggioranza del parlamento Usa aspirano a un cambio radicale.
Ma se l’insoddisfazione, la disillusione e il giudizio negativo, da parte dell’elettorato attivo del centrosinistra, erano rimasti fin qui a uno stadio per cui i politici potevano fingere di non vedere, con Vicenza lo scenario è totalmente cambiato.

La questione del Dal Molin è proprio l’opposto di una faccenda "circoscritta", perché riassume in sé in modo urgente i tre pilastri attorno a cui molti speravano che l’Unione avrebbe costruito la sua diversità dal berlusconismo. Questi tre pilastri sono: la pace, ossia l’aspirazione a una relazione profondamente diversa con i sud del mondo e con le altre culture; l’uso del suolo e dei beni comuni, come l’acqua, ossia la critica alla "crescita" come religione; la democrazia, ossia la domanda su chi decide per conto di chi, e in che modo.

Mi hanno riferito la battuta di un funzionario delle ferrovie, che, di fronte all’ennesima richiesta di un treno speciale per la manifestazione del 17 febbraio a Vicenza, avrebbe risposto: "Niente da fare, non ne abbiamo più: ci sono più prenotazioni che per Genova nel 2001". Non so se la battuta è vera, però è verosimile. La dimensione della vicenda "circoscritta" è tale, che già si può prevedere per quel giorno la più grande manifestazione dell’era Prodi, contro il governo, e non organizzata dalle destre e nemmeno dalla sola sinistra "radicale", la quale certo contribuirà fortemente.

Ad accorrere a Vicenza sarà il vasto popolo, fatto di molti segmenti dialoganti tra loro, che negli anni del berlusconismo ha rappresentato la sola reale opposizione alla privatizzazione di qualunque cosa, all’affarismo come sistema e alla guerra [inclusa quella dichiarata dalle polizie ai manifestanti di Genova] come metodo.

E’ l’attore principale della scena italiana, anche se, come il Fato nelle tragedie greche, non viene mai fatto salire sul palco. Se ne vedrà una parte già sabato sera, a Vicenza, quando il "patto di mutuo soccorso" tra comunità aggredite dallo "sviluppo" riunirà vicentini e valsusini, i veneziani del NoMose ai calabresi e siciliani del No Ponte, e così via, insieme ad Alex Zanotelli.

di Pierluigi Sullo

www.carta.org

http://www.altravicenza.it

http://www.edoneo.org/NoBaseVicenza.html