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Il Portogallo Sceglie di Non Criminalizzare l’Aborto
Publie le domenica 18 febbraio 2007 par Open-PublishingLo scorso 11 febbraio i portoghesi sono stati chiamati a votare, tramite lo strumento del referendum, per la depenalizzazione dell’aborto. Il quorum non è stato raggiunto, ma comunque la percentuale di votanti si è schierata sul si, che quindi è da considerarsi il dato vincente.
Il premier portoghese José Socrates ha annunciato che lo considererà comunque un’indicazione valida dell’elettorato, dimostrando, fra l’altro, che ci sono paesi in cui il referendum è realmente uno strumento che viene tenuto in considerazione.
È la seconda volta che i portoghesi sono chiamati ad esprimersi sulla depenalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza effettuata nelle prime dieci settimane di gravidanza. Ed è la seconda volta che il referendum non ottiene il quorum di conferma. La prima volta, nel 1998, aveva vinto il "no" (50,09 per cento) con un’affluenza ancor più ridotta.
Mentre stavolta, secondo i risultati ufficiali, il 59 per cento dei votanti si è espresso in favore della depenalizzazione dell’aborto nelle prime dieci settimane di gravidanza, ed il tasso di partecipazione è stato del 43,62 per cento, in barba ai soliti gruppi clericali antiabortisti che più che sulla vittoria del no puntavano sulla diserzione delle urne (un deja vue!). Insomma, anche in Portogallo non sono mancati i tentativi di sabotaggio di uno strumento tanto importante, che non si esaurisce nella semplice dicotomia si- no, ma chiama le persone ad esprimersi e ad informare esse stesse la dimensione legislativa del paese.
Ora il primo ministro ha annunciato una legge con cui "cesserà di essere un crimine" l’aborto entro le 10 settimane anche non in caso di necessità terapeutiche o di pericolo per la madre o di malformazioni del nascituro o di violenza sessuale: gli unici casi in cui l’ivg è legale attualmente in Portogallo.
Il criterio attraverso cui leggere il dato portoghese non è certo quello del fatto che una decisione del genere rappresenti di per sé una sorta di "avanzamento di era": un paese che non criminalizza l’aborto presenta degli indicatori di sviluppo nella misura in cui sceglie di pensare al fenomeno (per esempio a partire dagli aborti clandestini, che in Portogallo sono stimati in oltre 18.000 l’anno) non più in maniera repressiva, ma per gestirlo in modo tale da giungere a tutelare la salute della donna, gestendo, allo stesso tempo, attraverso un’estensione di tale diritto, il fenomeno stesso: ad esempio, se io non lo reprimo, posso anche pensare di agire in un’ottica preventiva (sperando non come la cara Ministra Moratti che, durante il suo mandato nel Ministero dell’Istruzione, divulgò un libercolo in cui comunicò l’equivalenza fra salute sessuale e assenza di sessualità, insomma non farlo!).
Senza contare che una strategia repressiva colpisce sempre in misura maggiore le fasce più svantaggiate della popolazione che non accederanno alla possibilità di cure mediche legali, con tutto ciò che questo comporta in termini di rischio per la stessa vita della gestante.
Non crediamo pertanto che sia una vittoria sulla "vita", ma che abbia vinto la possibilità di poter pensare di occuparsi finalmente della questione.
Quando sarà passata la legge anche a Lisbona, gli unici paesi europei con una legislazione repressiva verso l’aborto saranno Irlanda, Malta e Polonia…e Italia se si continueranno a tollerare le ingerenze Vaticane.
Pamela Strafella