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Il Prc discute su come spostare a sinistra Prodi
Publie le lunedì 19 giugno 2006 par Open-PublishingRiunito il Cpn, eletta la nuova segreteria con 98 voti contro 73
di Stefano Bocconetti
Il primo comitato politico da quando Giordano è segretario. Ma anche il primo comitato politico da quando è stato varato il governo, coi ministri e sottosegretari di Rifondazione. E ancora: la prima assemblea dopo le amministrative che, a parte una o due città, non si possono proprio definire un successo. E come se non bastasse, è anche la riunione che deve eleggere la nuova segreteria. Che ora è composta (oltre che da Giordano, Ferrara, Daniela Santroni, Imma Barbarossa, Loredana Fraleone, che già ne facevano parte) dai nuovi ingressi: Michele De Palma, Roberta Fantozzi, Maurizio Zipponi e Walter De Cesaris. Nuovi ingressi sanciti da un voto che a conti fatti è risultato più difficile del preventivato: 98 a favore, 73 contrari, 7 astenuti. Più semplice, decisamente più semplice, la nomina del nuovo tesoriere, Sergio Boccadutri, con 136 sì e 37 no.
Tutto insomma per dire di una difficile riunione del «parlamentino» di Rifondazione (che sta al Prc un po’ come il comitato centrale stava al vecchio Pci). Difficile perché dominato da una diffusa sensazione di preoccupazione. Di preoccupazione per ciò che ha fatto e detto in questo primo mese (e anche per ciò che sta per fare) l’esecutivo guidato da Prodi. Preoccupazione è il termine giusto. In qualcuno, negli esponenti delle minoranze, anche qualcosa di più: dissenso netto su alcune delle prime scelte del governo dell’Unione. Dissenso che si è manifestato con la presentazione di un ordine del giorno che avrebbe impegnato i parlamentari di Rifondazione a votare no a qualsiasi atto non prevedesse l’immediato rientro delle truppe dall’Afghanistan. Documento bocciato: 100 contro 57.
Dissenso delle minoranze, dunque; negli altri, in tutti gli altri una forte preoccupazione. Che non ha comunque nulla a che vedere con quell’atmosfera di disagio che un po’ tutti i cronisti ieri mattina andavano cercando fra i dirigenti e i membri dell’assemblea. Anche perché l’analisi di quel che sta avvenendo, in quasi tutti gli interventi s’è sempre accompagnata dalla descrizione di cosa può e deve fare - anche adesso in questa situazione - la sinistra d’alternativa. Di più: preoccupazione accompagnata dalla consapevolezza che comunque, anche sui temi più scottanti, piccoli passi in avanti sono stati fatti. E altri andranno fatti. Provando a spostare più a sinistra ogni giorno le scelte del governo. Lo dirà Franco Giordano concludendo la lunghissima giornata di dibattito. Dibattito, detto per inciso, che a lui non è piaciuto molto per una cosa: «Poca voglia di ascoltarsi reciprocamente», denuncerà. Riferendosi ad un’assemblea che dal palco viveva momenti di confronto serratissimo, davanti però ad una platea distratta. Che, insomma, era più nei corridoi che in sala.
E nell’introduzione (che resocontiamo qui a fianco) ma soprattutto nelle conclusioni, sarà proprio il segretario a parlare di «preoccupazione». Per le tante difficoltà che s’incontrano. Ma una cosa ci tiene a dirla: «E’ ridicola la rappresentazione di chi vorrebbe dividerci fra i “preoccupati” e i “responsabili”». Con altre parole, l’avevano spiegato anche Rosi Rinaldi, neo sottosegretaria, la viceministra Patrizia Sentinelli, e Salvatore Bonadonna: non ha molto senso che una parte del partito si mette alla finestra a dare i voti a quella parte di Rifondazione che magari si vorrebbe impegnata in un quotidiano braccio di ferro con la maggioranza. «Preoccupati tutti, responsabili tutti», dirà ancora Franco Giordano.
Che significa? Come si traduce? Il segretario sarà il primo a denunciare i pericoli insiti in quello che ha definito i tentativi espliciti di costruire una sorta di «tolda di comando della coalizione» - il famoso timone riformista -, con l’intendenza che segue. «Le decisioni nell’Unione devono essere collegiali». E’ stato il primo a denunciare i rischi delle pressioni e delle manovre dei poteri forti per spostare al centro la barra del governo (pressioni e manovre che sono drammaticamente d’attualità al Senato, come ricorderà Russo Spena, dove la maggioranza è ancora più fragile).
Ed è stato sempre il segretario a ricordare come ci sia, forte, la tentazione di ricorrere ancora ad una riduzione del costo del lavoro. In un paese che è all’ultimo posto per questa voce, in un paese che - come sostengono molti economisti liberali - avrebbe bisogno invece di una forte redistribuzione del reddito a favore dei più deboli, anche per rimettere in moto il circuito dell’economia. Tutto questo lo dice. Esattamente come denuncia la pretesa americana - che ha trovato orecchie sensibili fin dentro l’Unione - di aumentare l’impegno militare italiano in Afghanistan (quello della presenza italiana a Kabul è stato in assoluto l’argomento più trattato negli interventi).
Ma anche qui, anche sui temi più spinosi - economia e questione internazionale - rifiuta l’idea, avanzata in qualche intervento (Grassi, per esempio) che ci sia una sorta di «atonìa» di Rifondazione. Le cose non stanno così, dice. Sulla politica internazionale: ricorda a tutti - anche a chi sosteneva la debolezza di quel documento - che proprio il programma ha consentito un primo risultato quasi simbolico: il ritiro dall’Iraq. Ritiro definitivo e non - come qualcuno nella vecchia e nella nuova maggioranza avrebbe voluto - lasciando magari mille militari a proteggere quindici civili. Di più: quel programma ha creato un clima che ha poi portato D’Alema a chiedere la chiusura del lager di Guantanamo.
Certo, sul tappeto c’è la questione Afghanistan. Salvatore Cannavò, della “Sinistra critica”, aveva detto che questo è uno dei temi sul quale non può valere il ricatto della maggioranza. E’ uno di quei temi sui quali l’etica deve avere il sopravvento sulla politica. «Sta a Prodi trovare la soluzione». Sempre Grassi, di Essere Comunisti, aveva detto che dopo otto volte che Rifondazione ha votato no alla missione, «il nostro elettorato non ci capirebbe. E forse avremmo fatto meglio a esplicitare prima il nostro dissenso».
Franco Giordano spiega che più che mettere le bandierine («e fare come fa il Pdci, per usare le parole di Gennaro Migliore, che fa finta di urlare il no alla missione, sperando che Prodi ricorra al voto di fiducia, per potersi poi sottomettere»), più che mettere le bandierine, si diceva, occorre dispiegare una forte iniziativa. Per cambiare tutta intera la politica estera dell’Italia. Per ridiscutere di cosa sono e cosa dovranno diventare le missioni all’estero. Del perché, ad esempio, non possano occuparsi delle guerre dimenticate. Dimenticate solo perché non fanno parte degli interessi Usa. «E noi vogliamo aprire questa discussione, la vogliamo fare ora, in queste ore».
Non c’è nulla di deciso, insomma. Così come non c’è nulla di deciso per le grandi scelte economiche. Giordano ricorderà che ancora ieri sui giornali, Prodi spiegava che né le entità, né il metodo per delineare la manovra-bis sono stati varati. C’è spazio per l’iniziativa, dunque. Quale? In che direzione? Qui la discussione è stata davvero fittissima. Col sottosegretario Gianni che ha contestato la filosofia che ispira Padoa Schioppa, per cui la priorità è la “riduzione del debito”. Nessuno nega la difficoltà dei numeri lasciati in eredità dalle destre (molti negano però l’eccesso di enfasi messa su quei numeri), ma per Gianni la scelta potrebbe essere quella di “congelare” il debito. Il che cambierebbe drasticamente l’ordine delle cifre: da una manovra da 35 miliardi di euro in un anno, a 15 miliardi. Liberando risorse alla redistribuzione del reddito.
Diversa, un po’ diversa, l’idea del ministro Ferrero. Anche lui - come Gianni - teme che possa essere riproposta la vecchia teoria dei due tempi: prima il risanamento, poi la redistribuzione. Ma appunto, lo teme. «Può essere un esito ma non è detto che lo sia». La sua idea è che anziché ridurre immediatamente, a stretto giro di finanziaria, il deficit, sia possibile spalmarlo su un arco di tempo più lungo. E indica una data: entro il 31 dicembre 2008. Che consentirebbe di rilanciare «il profilo sociale della coalizione».
Idee, progetti, ipotesi a volte diverse. Ma come farle vivere? Qualcuno, pochi in realtà, ha parlato di “contrattualizzare” il ruolo di Rifondazione nella maggioranza. Trattare, come fanno i sindacati, insomma. Ma è una definizione che non è piaciuta ai più. L’idea è un’altra: a Rifondazione si chiede di suscitare, di essere parte, di far crescere i movimenti sociali. A Rifondazione si chiede non di spendere quella forza poi al tavolo delle trattative - su questo ha insistito molto l’intervento di Migliore - ma di garantire sempre e comunque spazi, spazi sociali all’iniziativa autonoma dei movimenti.
Che devono essere in grado di riscrivere l’agenda, una nuova agenda alla politica. E Rifondazione è attrezzata per questi compiti? Qui, la discussione, se possibile, è stata ancora più serrata. Giordano ha ricordato la necessità di andare avanti nell’elaborazione di una vera rifondazione comunista e contemporaneamente andare avanti - adesso - nella costruzione della sezione italiana della sinistra europea. «Prima che la curva dell’interesse cominci a scendere». E si comincerà con un seminario a luglio, per poi a settembre, a conclusione della Festa, avviare la fase costituente vera e propria. Compiti difficilissimi e che sempre Russo Spena chiede di non prendere sotto gamba.
Compiti che insomma presuppongono una forte direzione politica. Da qui, come aveva ricordato nella seconda relazione Francesco Ferrara, nasce la necessità di costruire la nuova segreteria. «Perché il partito ha bisogno di essere diretto da viale del Policlinico, non dalle istituzioni». A qualcuno, a Luigi Vinci, per esempio - che chiederà un voto per sospendere la nomina ma sarà battuto - ma anche a Stefano Zuccherini, entrambi della maggioranza, il nuovo organigramma, le cooptazioni nel Cpn non convincono del tutto.
Avrebbero preferito un altro percorso. Ma l’assemblea ha scelto di votare. E ora Rifondazione ha un nuovo gruppo dirigente. Eletto a maggioranza. Dirà ancora Giordano: «Oggi non ho trovato la disponibilità ad un’apertura da parte delle minoranze. Non si può aprire sulla gestione del partito e poi avere una conflittualità sulla linea politica». L’obiettivo della gestione unitaria resta però: «Dobbiamo provare a costruirla, ma questa deve manifestarsi anche sul terreno della linea politica».