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Il Prc si “conta” e va a congresso Finita la maggioranza di Venezia
Publie le martedì 22 aprile 2008 par Open-PublishingLiberazione 22 aprile 2008
Rifondazione discute il dopo-voto ed entra in una nuova fase politica: parte del gruppo dirigente si unisce all’area principale di minoranza. Fino alle assise di luglio, un comitato di gestione provvisorio
Il Prc si “conta” e va a congresso Finita la maggioranza di Venezia
di Anubi D’Avossa Lussurgiu
Si è chiuso domenica, al centro congressi di via dei Frentani a Roma, il difficile comitato politico nazionale di Rifondazione comunista, apertosi al pomeriggio di sabato scorso. E’ stato il primo appuntamento di discussione di un organismo “sovrano”, tra le forze politiche della sinistra, dopo la catastrofe elettorale scontata dal cartello unitario de “la Sinistra l’Arcobaleno”: che, appunto, con il risultato del 3 per cento e nessun eletto ha reso la sinistra italiana extraparlamentare, come mai era accaduto dal dopoguerra.
Domenica, dunque, sono state ratificate le dimissioni del segretario Franco Giordano e dell’intera segreteria nazionale, presentate dallo stesso Giordano formalmente con la relazione di sabato: è stato poi fissato per luglio il congresso anticipato del partito e fino ad allora ne è stata affidata la «gestione» ad un comitato di 12, eletto a conclusione dello stesso Cpn. Ma come si era capito nei giorni precedenti la vecchia maggioranza politica del Prc, uscita dal congresso di Venezia del 2005 nella segno della linea di Fausto Bertinotti sulla non violenza e sulla scelta dell’Unione, si è divisa dopo un dibattito teso e a tratti duro. Anzi, quella maggioranza è finita. C’è stata, invece, la comparsa nel comitato politico nazionale d’una nuova geografia interna; che si riflette nella composizione del nuovo “comitato di gestione”, composto per metà dalle e dai dirigenti che esprimono la maggioranza relativa ottenuta nella riunione dal documento di un’inedita alleanza, tra parti della ex maggioranza e la più cospicua delle minoranze. Geografia che però ancora non prefigura quella del confronto congressuale, non essendosi ancora definite le linee da portare al vaglio delle assise del partito.
Nel nuovo comitato di gestione provvisoria (fino al congresso) di Rifondazione comunista, scelto sulla base dei consensi ricevuti dai diversi documenti votati ieri, su 12 che lo compongono i “bertinottiani” - come sono stati definiti nelle descrizioni giornalistiche del lunedì: ossia i dirigenti scelti da quanti (compreso, tra gli altri, Nichi Vendola) hanno firmato lo stesso documento di Giordano - sono adesso 5. Sono Franco Bonato, Titti De Simone, Francesco Forgione, Graziella Mascia e Rosi Rinaldi. Mentre 6 sono stati indicati da una “coalizione” che va dall’ex ministro della Solidarietà sociale (l’unico del Prc) nel governo Prodi, Paolo Ferrero e dall’ex presidente dei senatori Giovanni Russo Spena, alla vecchia minoranza “Essere comunisti” dell’ex senatore Claudio Grassi e dell’ex deputato Alberto Burgio, passando per l’ex deputato Ramon Mantovani come per Imma Barbarossa, del Forum donne (divisosi anch’esso) e che come Roberta Fantozzi e Loredana Fraleone sedeva nella medesima segreteria dimissionaria. I 6 scelti dalla nuova maggioranza relativa del Cpn - e anche loro tra i firmatari del relativo documento - sono Maurizio Acerbo, Maria Campese, Ermina Emprin, Eleonora Fiorenza, lo stesso Claudio Grassi e Alfio Nicotra. Il dodicesimo del «comitato di gestione», per l’area de “L’Ernesto”, è invece Gianluigi Pegolo. E’ la fotografia dell’uscita di scena del gruppo dirigente “apicale” che aveva condotto il Prc sino alle elezioni; e al contempo lo è della scomposizione della vecchia maggioranza e della ricomposizione del panorama interno in nuovi “blocchi” politici, in questa fase pre-congressuale.
Di converso, le linee del congresso imminente restano tutte da definire; e tanto più vale per ogni previsione sul futuro quadro dirigente del partito, che dal congresso, sulla base del confronto su quelle linee ancora in via di precisazione, dovrà uscire. In sintesi (nella sintesi che ci compete, che è quella giornalistica in una nota su questo Cpn e non in un resoconto, dal momento che domani saranno pubblicati da Liberazione i documenti votati e a partire da dopodomani gli interventi), questo è successo: nel comitato politico nazionale di Rifondazione comunista domenica ci si è “contati”, su indirizzi politici differenti, per quanto provvisori, sullo sfondo della sconfitta storica della sinistra sancita dalle urne elettorali. E’ il dato politico del confronto-scontro nell’organismo decisionale del Prc, un dato reso chiaro da un passaggio dell’intervento dello stesso Ferrero: quando ha detto «non cerchiamo un capro espiatorio» e ha quindi specificato «vogliamo una discussione a fondo, perché è la linea politica che non ha funzionato». Così, la differenziazione politica si è espressa nella presentazione di documenti distinti, portati alla “conta” dell’assemble.
Un testo è stato firmato dall’ormai ex segretario Giordano insieme alla maggioranza della segreteria uscente e ad altri esponenti di spicco (appunto i “bertinottiani”, tra i quali il solo “governatore” regionale del Prc e della sinistra, Vendola). Un altro, come si è detto, quello di maggior successo ne voti, è stato firmato dall’ex ministro Ferrero e dell’ex capogruppo a Palazzo Madama Russo Spena insieme all’ex deputato Mantovani e all’ex senatore Grassi con la sua area “Essere comunisti”, un terzo dell’area de “L’Ernesto” dell’ex senatore Giannini, quindi uno dell’area “Falcemartello” e infine il solitario documento dell’ex deputato Franco Russo. Il più votato è stato, dunque, il secondo, con 98 consensi; 70 ne ha invece avuti il testo promosso dalla maggioranza della segreteria uscente, 16 quello de “L’Ernesto”, 5 il quarto e 1 (il suo) il documento di Russo. Quattordici sono state le astensioni: alcune formalmente motivate, contro il clima di «resa dei conti» e «regressione politica e culturale» - come quelle di Elettra Deiana, Linda Santilli e Rita Corneli del “Forum donne” - o in nome di «una ricomposizione unitaria» auspicata - come nel caso di Martina Nardi, massese reduce da un’ottima prova nelle elezioni locali.
Come si vede, nessuno ha ottenuto una maggioranza assoluta nell’organismo decisionale di Rifondazione: anche il “fronte” prevalente Ferrero-Mantovani-Grassi ha registrato una maggioranza relativa, inferiore cioè alla metà del Comitato politico nazionale. Tutte queste prese di posizione, d’altro canto, hanno sottolineato la loro natura contingente: legata cioè a questa fase immediata di dialettica interna. Mentre completamente aperta è la questione di come si comporrà una maggioranza al congresso.
Dal momento che le stesse modalità delle assise del Prc sono ancora da definire: lo farà il Cpn, ancora, riconvocato tra due week-end a questo scopo e per recepire le prime “bozze” dei documenti congressuali. Fino a quel momento, vale la parola formale del «ripartiamo da Rifondazione comunista», della «cura del partito» condivisa trasversalmente nella discussione. E vale lo sforzo di «garanzia» reciproca assunto da tutti, a partire dallo stesso “dispositivo” concordato e approvato poi dal primo voto del Cpn: quello che ha insediato il nuovo «comitato di gestione» e ne ha escluso non solo i membri della ex segreteria ma anche gli invitati permanenti ossia l’ex ministro e gli ex capigruppo parlamentari, stabilendo al contempo che il tesoriere debba rispondervi solo per «gli atti straordinari» e, soprattutto, fissando da subito la data del congresso medesimo.
Su cosa è sopraggiunta, però, la fine della vecchia maggioranza politica del partito? Il punto unificante dei “critici” che raccolgono, come si è visto, componenti di quella ex maggioranza e la più importante delle vecchie minoranze (quella di Grassi, “Essere comunisti”), è l’imputazione alla parte “bertinottiana” del gruppo dirigente di aver tentato di aprire nei fatti una prospettiva di scioglimento del Prc in un nuovo “soggetto unico” della sinistra, interpretando come “passaggio” in questa direzione il cartello elettorale di Sinistra Arcobaleno, con Verdi Pdci e Sinistra democratica, uscito distrutto dalle urne. L’ex ministro Ferrero (l’unico del Prc, nel governo Prodi) ha precisato l’accusa nella formula «è stata detta una cosa e se ne stava facendo un’altra»: intestando apertamente a Bertinotti - candidato premier per la Sinistra Arcobaleno e assente da questa riunione, anzi in «religioso silenzio» da giorni - l’ispirazione del progetto di “liquidazione” e riducendo la «colpa» di Giordano a non averlo «contrastato». Un atto d’accusa che la pur critica Deiana ha bocciato come «gravissimo perché prefigura un congresso non sulla politica ma sull’individuazione di “migliori” e “peggiori”, la parte peggiore della tradizione comunista». E un atto d’accusa complessivamente respinto proprio da Giordano nelle sue conclusioni: in cui ha rimotivato le dimissioni «per la sconfitta» ma, rivolgendosi direttamente a Ferrero, ha scandito «non posso dimettermi per una cultura del sospetto». Mentre Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia e molto applaudito sabato all’assemblea della sinistra “diffusa” a Firenze, intervenendo ieri al Cpn aveva ammonito: «Dobbiamo rimettere in piedi una comunità a cui dare come orizzonte l’innovazione e non un fortino delle antiche certezze in cui rinserrarsi». Proprio con Vendola, peraltro, l’ex segretario Giordano ha avuto l’abbraccio più lungo, durante l’applauso commosso al termine delle conclusioni. Mentre Ferrero ha chiosato con i giornalisti: «Ora basta polemiche».
L’appuntamento, comunque, è oramai al congresso. E verso questo appuntamento le posizioni assunte domenica dovranno misurarsi al loro interno, prima ancora che fra loro: dal momento che resta tutto davanti alla discussione di Rifondazione il problema di quel che nel frattempo accade “fuori” e delle prospettive che apre. Foss’anche solo per l’immediato futuro. Dagli orizzonti inquietanti che aprono le mosse preliminari all’insediamento del governo Berlusconi, anzitutto, alle intonate risposte del Partito democratico - come l’apertura alle “gabbie salariali” e l’inseguimento rinnovato sul terreno securitario. E dal destino degli altri soggetti partitici che avevano concorso a “la Sinistra l’Arcobaleno” dichiarata fallita dagli elettori, alle sorti ben più generali della stessa «questione della sinistra» in Italia, fuori dalla rappresentanza ma tuttora priva di una ambito unitario di riconoscibilità e determinazione.
Problemi, certo, toccati tutti in quasi ogni intervento dei 65 registratisi nel dibattito del comitato politico del Prc; ma senza ancora un piano di proposte e risposte condivise, pur parziali. E per quanto riguarda l’ultimo versante, quello del presente e dell’avvenire della sinistra politica e sociale, con approcci diversi evidenziati dai discorsi e dai posizionamenti politici. Perché, ad esempio, un problema sulla «questione-sinistra» c’è, intanto: anche Giordano, nelle conclusioni, ha ribadito la convinzione nella necessità d’uno spazio «costituente», mentre questo è stato escluso da Ferrero. E nel documento della maggioranza relativa si dice un “né né” riferito ad essa come alla proposta dilibertiana della «confederazione dei comunisti»; e si dice che occorre un percorso che «eviti spaccature» tra quanti condividono l’una e quanti l’altra.
C’è, infine, il nodo della cultura politica. Che è un punto immediatamente dolente tra le donne di Rifondazione, vista la spaccatura del Forum sui documenti e poi sull’ordine del giorno («di donne», appunto) presentato dalle dirigenti raccolte nel testo di “maggioranza relativa” e messo in votazione tra le polemiche. Ed è, anche, quello del rapporto con il ciclo d’«innovazione» vissuto dal Prc e passato per lo scorso congresso di Venezia. Se Giordano ha chiesto un «impegno solenne» al rilancio della «scelta della non violenza», Vendola ha commentato dopo il Cpn che l’opzione dirimente sarà l’impegno del partito per «la sinistra del futuro» o per una «col torcicollo, rivolta al passato». Gli ha già risposto Nicotra, ieri, escludendo la seconda ma anche una sinistra con «il cuore e la testa prigionieri del Palazzo». Mentre Russo Spena ha garantito un congresso «nel quale gli innovatori saranno da una parte e i conservatori dall’altra». Come, lo si vedrà.