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Il Tibet, la Cina e i Lama-party della sinistra “radical”

Publie le venerdì 21 marzo 2008 par Open-Publishing
5 commenti

di Sergio Ricaldone

Le mutevoli folgorazioni che spesso influenzano le scelte del ceto politico di sinistra riservano sempre delle bizzarre sorprese: dalle calde foreste del Chiapas l’attenzione ora si è spostata ai freddi altopiani del Tibet, a sostegno del Dalai Lama e con chiari intenti anticinesi. Emerge, come d’abitudine, la propensione a pontificare su quello che succede in casa altrui e, come sempre, il separatismo (del Kosovo, della Cecenia o del Tibet) è una bandiera che certa sinistra continua a sventolare con desolante supponenza. Proviamo ad immaginare la reazione se i comunisti cinesi dovessero offrire il loro sostegno ai separatisti della Padania. Allora, chi è e cosa vuole questo stravagante Dalai Lama che all’austerità dei templi buddisti preferisce confortevoli soggiorni negli hotel a 5 stelle dell’emisfero occidentale?

Riteniamo utile riassumere i fatti storicamente assodati che hanno segnato i principali passaggi del Tibet, dall’oscuro medioevo lamaista al suo attuale trend di sviluppo economico e sociale come entità autonoma del grande pianeta Cina.

Dal 1727 – ossia ben prima che la Padania e il regno delle due Sicilie diventassero parte integrante dello Stato italiano – il Tibet è diventato, a sua volta, parte integrante della Cina, sotto forma di dipendenza autonoma. In quanto tale è sempre stato dominato (fino alla rivoluzione) da un regime teocratico autoritario, con tutto il potere concentrato nella mani del Dalai Lama, capo spirituale e temporale.

Tutta la terra era di proprietà del Gran Lama e della gerarchia teocratica buddista-lamaista, espressione di un rapporto di produzione feudale basato sulla servitù della gleba, con larghe fasce di schiavitù. L’investitura del Lama era sottoposta e ratificata alla corte imperiale di Pechino. Questa prassi è stata mantenuta anche nel periodo del Kuomintang.

La Repubblica popolare cinese ha assunto il controllo del territorio tibetano il 23 maggio 1951. Da quel momento inizia un lungo processo di trasformazione sociale che comprende l’abolizione della servitù della gleba e della schiavitù, la distribuzione dei pascoli ai contadini senza terra (non esistono a quell’altitudine altre significative coltivazioni agricole) e la costituzione di cooperative. Inizia nel contempo il programma di alfabetizzazione di massa con partenza da quota zero.

La costituzione cinese riconosce al Tibet (e non solo al Tibet) lo status di repubblica autonoma che comprende il riconoscimento della lingua, della cultura e della religione (all’incirca quello che la Costituzione italiana riconosce alle regioni autonome della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige).

Nel 1959 un tentativo insurrezionale di bande armate addestrate dalla CIA in California (archivi resi pubblici dalla stessa CIA) viene sventato dalla popolazione di Lhasa che insorge in massa e costringe il Dalai Lama alla fuga in India. Sono totalmente false le accuse di genocidio rivolte alla Cina: la popolazione è più che raddoppiata negli ultimi 40 anni e, dei 2,7 milioni di abitanti, il 90% è di origine tibetana, e solo il 10% è composto da residenti di etnie diverse. La speranza di vita è salita dai 35 anni dei primi anni cinquanta ai 69 di oggi. Credo che l’ultima persona al mondo titolata a parlare di diritti umani sia il Dalai Lama.

Spunti interessanti sulla politica di smembramento perseguita da Washington contro la Cina sono presenti nel libro “La grande scacchiera” di Z. Brzezinski, un insospettabile autore celebrato come lucido stratega del pensiero imperialista americano. A chi si sentisse irresistibilmente attratto dal tema dei “diritti umani” di ispirazione lamaista consiglierei di farsi la faticosa gita che dal Tibet, attraverso il colle sud dell’Everest, conduce nel contiguo Nepal, il piccolo stato himalayano sconvolto fino al 2006 da una guerriglia contadina, scoppiata nel 1996. Seguendo l’esempio dei loro fratelli tibetani, con cui sono legati da secoli, i contadini nepalesi sono insorti per liberarsi dalla servitù della gleba e dalla schiavitù, ossia dagli stessi rapporti feudali che il Dalai Lama amministrava nel Tibet prima della rivoluzione. L’inviato in Nepal di Le Monde Diplomatique, Cedric Gouverneur, ha scritto sul n° 11 del 2003: “Una parola ritorna costantemente sulla bocca di ogni guerrigliero intervistato: sviluppo! Gli insorti vogliono medici, strade, ponti, elettricità, dighe e poter esportare i loro raccolti. Vogliono semplicemente uscire dalla miseria”. Evidentemente sono state le trasformazioni nel Tibet moderno che hanno acceso le speranze dei loro fratelli nepalesi. Vediamole queste trasformazioni.

Dalla metà degli anni 90 il PIL del Tibet è aumentato del 13% l’anno, ossia più degli eccezionali ritmi di sviluppo della stessa Cina. Le opere edili sono raddoppiate e il commercio, che fino ad una decina di anni fa si svolgeva quasi esclusivamente col confinante Nepal, è cresciuto di 18 volte rispetto al 95. Con gli stessi ritmi vengono sviluppati il sistema sanitario e quello scolastico (entrambi inesistenti nel passato). Nel 2001 il governo di Pechino ha stanziato 65 miliardi di yuan per finanziare progetti di infrastrutture che permettano ai tibetani di uscire dal medioevo buddista- lamaista e di approdare nell’universo contemporaneo usufruendo dei vantaggi offerti dal progresso economico e sociale che sta trasformando la Cina popolare.

Fino a pochi mesi fa l’unica via di comunicazione tra il Tibet e il resto della Cina era una strada dissestata che partendo da Golmund (provincia del Qinghai) consentiva ai camion di accedere a Lhasa in 50/60 ore di viaggio. Oggi lo stesso percorso si compie in 16 ore sul modernissimo “treno del cielo” che corre lungo i binari della più alta ferrovia del pianeta: oltre 1200 km. costruiti lungo un itinerario da fantascienza, a oltre 5.000 m. di altitudine.

Sarebbe questa la “devastazione freddamente calcolata dalle autorità cinesi” che, come ci racconta il Dalai Lama, starebbe distruggendo le tradizioni e la cultura religiosa del popolo tibetano?

Possibile che il ceto politico di sinistra non venga sfiorato dal dubbio di cadere nel ridicolo prestando fede alle lamentazioni di questo bizzarro personaggio?

www.resistenze.org

Messaggi

  • Articolo totalmente in malafede. Raggiunge il massimo del grottesco. Prendere per buoni gli archivi della CIA. Puah.... Paragonare poi il Tibet alla Padania!? Peggio di così non si poteva fare... esempio di cosa può scrivere una persona molto prevenuta su un argomento di cui dovrebbe parlare con maggior rispetto

    viviana
    viviana

    • Ci manca solo che costui ripeta le parole di Bush, che la Cina non commette nessuna violazione di diritti umani, che fa eco a quella di Berlusconi che Putin non ha mai fatto niente contro i diritti dei ceceni o che la Turchia ha sempre trattato bene i curdi. Fare dei paragoni coi padani o gli autonomisti altoatesini è una totale abnomrità, nonesiste nulla che possa giustificare paragoni tra gli orrori perpetrati in Tibet dalla Cina e i nostri pasciuti, satollati, più che omaggiati gruppi autonomisti e il governo italiano, Ma secondo Bush e le ragioni del dollaro, la Cina non è più nella lista nera Usa dei paesi che compiono maggiori violazioni dei diritti umani, come rivela un rapporto annuale diffuso dal Dipartimento di Stato. Virtù dei patti di potere!
      Comprendiamo che il fatto che la Cina possieda 1400 miliardi di dollari americani addolisca molto i giudizi di valore, ma ci dovrebbe essere un limite all’indecenza. Non è sul gas o i dollari americani o il passaggio degli oledotti che dovrebbe misurarsi la libertà dei popoli o si scade nell’ignominia.
      Il Parlamento Europeo ha dichiarato che queste Olimpiadi «dovrebbero costituire un’importante occasione per focalizzare l’attenzione del mondo sulla situazione dei diritti dell’uomo in Cina».
      Bush a settembre disse: «i Giochi sono una cosa che riguarda gli atleti e non la politica» e ha chiesto «moderazione» alla Cina sul Tibet e auspicano un dialogo tra le autorità cinesi e i tibetani. Il massimo dell’ipocrisia! Come il Vaticano che richiama "entrambe le parti" alla moderazione! Come se esistessero due parti riconosciute!
      Cercare di difendere la Cina come campione di diritti umani è una tale volgarità che non ho parole!
      A parte l’invasione violenta di un paese grande quanto un continente, la distruzione di una cultura, il genocidio di migliaia di eprsone, la cinesissazione forzata della popolazione residua, ci mettiamo che da vent’anni dal Tibet non arrivano altro che notizie di repressioni selvagge, carcerazioni, torture, lavoro forzato, pena di morte, repressione sistematica della libertà di religione, di parola e dei media, compreso Internet, censura totale dell’informazione, depredazione del territorio, distruzione climatica e ambientale. Come è possibile che a questo punto ci sia ancora qualcuno spinto a difendere il governo cinese, reinventando la storia?
      Sono attonita da tanta bassezza!
      La vera ragione di questo silenzio sulla Cina è che il dollaro regge il mondo e sul dollaro si regge l’acquiescenza del mondo.
      Rimando per questo il sunto di un articolo riportato da Internazionale

      viviana

  • E bravo Sergio,sei un verdadero hombre.Non temi nulla,nemmeno il ridicolo.Luigi

  • mi fa ribrezzo leggere il suo articolo pieno di dati sicuramente veritieri ma che giustifica una repressiine cosi atroce da vero medioevo, lei non tiene conto l’aspetto spirituale del mondo tibetano la sua ignoranza in merito è assoluta, per chi come lei predica in modo cosi meschino auguro una simile situazione in casa sua. con rispetto x il giornalista
    Danilo

  • la tesi di sergio è quella di lotta comunista e non va demonizzata: è vero che ci mancano dati per giudicare il Tibet e che l’intervento della cina ha sicuramente portato quelle forme di sviluppo che una popolazione abituata a vivere in una economia di sussistenza non può che apprezzare.
    Il problema però è che questa sinistra autodefinitasi marxista continua a giudicare il mondo come un interminabile processo evolutivo che dal medioevo porta verso il pieno sviluppo del capitalismo e quindi al comunismo.
    Con uno schema così rigido è difficile per loro vedere altri elementi, come l’ecologia ed i giacimenti spirituali che - come il tibet - rappresentnao le ultime possibilità di contrasto alla cultura sviluppista. Non è un problema di autodeterminazione dei popoli, ma semplicemente di protezione di queste popolazioni dall’invasione consumistica. Sappiamo bene che ormai molti di loro è proprio il telefonino e il SUV che vorrebbero e ciò è in parte una triste conseguenza della forza distruttiva del capitalismo e dall’altra una precisa strategia dei cinesi. Per questo difendere il tibet non ha nulla a che vedere col leghismo italiano, ma rappresenta l’ultimo disperato appello affinchè i tibetani per primi siano aiutati ad essere stessi ed in questo modo possano continuare a contagiare la nostra cultura altrimenti votata alla morte.
    romano calvo - romano.calvo@libero.it