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Il bisogno di un’agire femminile

Publie le sabato 19 luglio 2008 par Open-Publishing

Il bisogno di un’agire femminile

di Lilia Chini

Domenica si è concluso il congresso della Federazione romana che si è protratto per tre giorni.
Il congresso ha rispecchiato, anche nel suo andamento, la situazione che si è determinata a Roma: nessuna delle due mozioni maggioritarie ha raggiunto la maggioranza assoluta.

Questo è l’unico dato politico.

Qualcuno ha cercato di riportare la discussione su questi temi, proponendo una soluzione collegiale, partecipata e collettiva, che non dovesse passare attraverso la regola maggioritaria per cui “chi vince piglia tutto”, estranea alla nostra cultura politica, facendo carta straccia delle tante richieste di unità che sono venute dai congressi di circolo che sino svolti a Roma.

Ci sono stati pochi ma begli interventi che hanno dato respiro a questo congresso parlando del mondo esterno a noi, di ciò che sta accadendo in queste ore in Iran, della possibilità, non così remota, che entro breve ci troveremo di fronte ad una nuova e sanguinosa guerra: altri hanno affrontato il tema del razzismo, di come questa nostra città, da poco passata al governo del fascista Alemanno, si sia scoperta molto più egoista, meno accogliente di come non l’abbiamo descritta: ancora si sono affrontati, in alcuni interventi giunti in particolar modo dalle giovani compagne intervenute, il tema del precariato, della difficoltà di conciliare il vissuto quotidiano con la loro idea di indipendenza, non solo economica, ma soprattutto culturale rispetto alla loro condizione di vita spiegando, anche attraverso questi motivi, la loro scelta di iscriversi al Prc.

Insomma un dibattito che avrebbe potuto essere molto più ricco e che invece ha avuto, per la sua più parte, un andamento cristallizzato su contrapposizioni forse troppo ideologiche e molto poco propositive.
Ma quel che più mi ha colpito di questo congresso è stata la sua conclusione: scene di giubilo (uso un eufemismo) per la “vittoria” raggiunta da una parte e, soprattutto, non siamo riusciti a formare un comitato politico federale che rispetti la quota minima (40%) di presenza di genere prevista dal nostro Statuto.

E allora ho compreso meglio quel che non mi è piace di questo congresso. Non mi piace che non si sia parlato di noi, del nostro progetto di società, di quel che vogliamo mettere in atto per cercare di ritornare a parlare con gli uomini e le donne che la compongono, di come possiamo e vogliamo costruire quell’”altro mondo possibile” in cui tutti insieme abbiamo creduto, e per il quale tanto ci siamo battuti; non mi piace il clima di sospetto di cui siamo intrisi, figlio degli stessi meccanismi che sosteniamo di combattere, e che ci porta a perpetrare scontri di “guerra guerreggiata” ai quali tutti ci dichiariamo contrari, ma dai quali nessuno vuole sottrarsi per primo, per non cedere, per non indietreggiare di fronte all’”altro”; infine, non mi piace questa modalità “maschile” di far valere le proprie opinioni.

Ho sempre pensato, e non solo perché sono donna, che il pensiero e l’agire femminile sia ingiustamente tacciato di non essere politico-in-senso-stretto, di essere permeato di un’alea di “isteria” che sempre giustifica l’atteggiamento un po’ superiore che spesso i nostri compagni hanno nei nostri confronti.

Al contrario penso ci sia un gran bisogno, forse più oggi che nei tempi in cui il femminismo permeava i cortei e le assemblee che si svolgevano nelle nostre città, del pensiero femminile, del suo agire, che io definisco “circolare”, cioè inclusivo, di confronto, spesso assertivo ma quasi mai impositivo, fatto di parole semplici che però non banalizzano le problematiche che si affrontano.

Non credo certo che la leadership sia estranea al mondo femminile, credo però che le donne ci tendano e ci arrivino, per la maggior parte, in modo diverso, attraverso un processo che parte da loro, dal loro vissuto, dalla loro innata capacità di ascolto e di mediazione - appresa nei secoli di conciliazione familiare -, dal proprio senso di inadeguatezza sempre presente, che ne condiziona e, nello stesso tempo, ne arricchisce il portato finale.

Mi piacerebbe che questo partito apprenda di più dalla pratica delle donne, che si dia un tempo per pensare, e che questo tempo non sia “ora e subito”, ma frutto di un ragionamento condiviso e condivisibile, che provi a considerare se la proposta di avere due portavoce sessuati sia praticabile ed innovativa rispetto all’attuale situazione che prevede l’elezione del* segretari*, che deponga le armi rivolte al proprio interno per affacciare lo sguardo sul mondo che ci circonda, che si sta imbarbarendo ogni giorno di più, che ha paura del diverso, del nuovo, che antepone le proprie certezze assolute alle richieste che vengono dai lavoratori, dai giovani, dai migranti, dai diseredati in genere, perché non sa trovare risposte adeguate ad una richiesta di sicurezza personale e sociale che si esplicita troppo spesso attraverso la lotta del penultimo nei confronti dell’ultimo.

Ma io non demordo, sono una donna, abituata a tessere una tela fatta di relazioni e di emozioni che vorrei trasmettere anche ai miei compagni di viaggio, ed è per questo che, ne sono certa, il nostro partito saprà riprendersi da questa sbandata di lotta intestina e saprà ritrovare la strada sulla quale - chiuse le polemiche congressuali - ritornare a parlare della politica che vogliamo attuare