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Il comunismo come movimento reale
di Francesco Cirigliano, Federazione di Potenza Prc
Sono apparse, nella edizione di ieri di Liberazione, 15 tesi del compagno Fausto Bertinotti il quale prova a fare un’analisi della fase che stiamo vivendo e, contemporaneamente, prova ad indicare una delle strade per l’uscita da sinistra dalla crisi che attraversa la sinistra e, con essa, il paese e l’Europa (ma più in generale, sarebbe meglio dire il Mondo).
Un contributo importante, che non può certamente essere liquidato solo come manifesto per la costruzione di quel soggetto unico di una sinistra senza aggettivi quale è andata emergendo nel dibattito che ci ha attraversato negli ultimi mesi. Certo, il contributo di Fausto Bertinotti, soprattutto a partire dalla tesi n.8, è innanzitutto una bozza di piattaforma programmatica per il soggetto unico della sinistra, quello a cui continuano a dedicare energie le compagne e i compagni che hanno svolto il congresso sostenendo la mozione Vendola e che, in gran parte, oggi hanno aderito all’Associazione ’Per la Sinitsra’... ma oltre all’impianto e agli evidenti - e non condivisibili - obiettivi, ritengo comunque più che interessanti alcuni stimoli che da esso giungono.
Pensiamo innanzitutto a quella riscoperta centralità del lavoro che viene avanzata nella tesi n. 6 nella quale, appunto, il lavoro – inteso come concreto manifestarsi della lotta di classe – viene definito snodo decisivo per l’esistenza della sinistra. Quel lavoro su cui oggi si concentra l’azione restauratrice del capitale in crisi e che, concretamente, nel nostro paese, si manifesta nel tentativo di disarticolarne la rappresentanza: è quello che sta avvenendo intorno alla questione del contratto nazionale che si vuole cancellare e che avrebbe come immediata conseguenza non solo un evidente peggioramento della condizione salariale delle lavoratrici e dei lavoratori (al di là della favola dei benefici della contrattazione di II livello), ma anche uno svuotamento del ruolo del sindacato così come lo abbiamo conosciuto dalla sua nascita ad oggi. Ci troveremmo di fronte ad un sindacato normalizzato ed istituzionalizzato – come ricorda bene Bertinotti – che avrebbe perso definitivamente qualsiasi funzione di promozione del conflitto. Quanto sia prioritario oggi per gli agenti della restaurazione questa partita è evidente osservando lo sforzo che viene impiegato nella costruzione della divisione sindacale... è questo il senso profondo di quegli accordi separati cui Cisl e Uil continuano a prestarsi in quella che potremmo definire condivisione strategica.
Ampiamente condivisibile è l’analisi della crisi là dove ci si sottrae al tentativo di leggere la crisi stessa come frutto di quella che Cavallaro e Bellofiore hanno chiamato ’euforia irrazionale’: questa crisi è infatti il frutto di decenni di politiche neoliberiste improntate su processi di colonizzazione economico-finanziaria e su accellerati processi di privatizzazione, con la conseguenza di un sempre maggiore peggioramento delle condizioni materiali di vita di milioni di esseri umani. Ed individua il cuore del problema, Bertinotti, quando nella tesi n.4 la necessità, per la sinistra, di dotarsi in tempi rapidi, di una proposta politico-economica per l’uscita dalla crisi: una risposta in cui coinvolgere una comunità scientifica allargata innanzitutto all’esperienza sociale.
Quello che convince molto di meno del ragionamento di Bertinotti si ravvisa a partire dalla tesi n.8, ossai dal punto in cui le sue tesi diventano base programmatica ed ideologica per la costituzione di un soggetto politico unico della sinistra che non potrebbe e non dovrebbe dirsi comunista. Dire che ’dirsi comunista’ <<è troppo perchè se il programma del comunismo è liberazione del e dal lavoro salariale, esso non può trovare posto nella dimensione storica concreta a cui deve rispondere il programma fondamentale della sinistra>> significa negare la possibilità di un orizzonte strategico all’interno del quale collocare la propria azione e la propria analisi; significa, negare tutto il Novecento e, con esso, la dimensione dell’affacciarsi sulla storia e dello svilupparsi del movimento operaio organizzato. Così come dire che ’dirsi comunista’ è troppo poco <
Quello della eventuale dichiarata ipotesi finalistica del comunismo della sinistra senza aggettivi rimane però il punto nodale, che richiama ad una delle affermazioni di Bertinotti durante la campagna elettorale de La Sinistra,L’Arcobaleno: quella del comunismo come tendenza culturale. Qui viene fatto scempio di una delle dimensioni più importanti dell’analisi marxiana a cui pure Bertinotti si richiama nella tesi n.9: viene infatti ancora rimosso il fondamento marxiano del comunismo come movimento reale che abolisce – nella dimensione storica e dialettica – lo stato di cose presenti.
Ed è, a mio avviso, proprio la rimozione della dimensione storico-dialettica del comunismo come movimento reale che relega le tesi bertinottiane in una sorta di ’fondamentalismo del presente’ incapace di rapportarsi criticamente e strategicamente anche a quanto di interessante si muove in questa quotidianità.
Il Prc, al contrario, a partire dalla sua nascita, ha sempre pensato al recupero di quel fondamento storico-dialettico: non è un caso che, quando Occhetto pensò di liquidare il Pci (anche lui con l’intento dichiarato di uscire da sinistra dalla crisi[?]) chi diede vita al Prc inserì il termine Rifondazione. Rifondare a partire dalla lettura critica della esperienza storica e, contemporaneamente, rilanciare l’orizzonte strategico della trasformazione; rilanciare appunto una prospettiva che fosse innanzitutto movimento reale. Ecco perchè a Chianciano abbiamo deciso di continuare a chiamarci comunisti!