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Il fallimento del sistema capitalista

Publie le venerdì 17 ottobre 2008 par Open-Publishing

Il fallimento del sistema capitalista

di Valdemaro Baldi

Se, come molti sostengono, la crisi attuale non è la fotocopia di quella del 1929, tuttavia la evoca per talune somiglianze di fondo: il carattere strutturale e non congiunturale, la vastità degli effetti depressivi, la tendenza ad estendersi dalla finanza alla produzione, e sul piano politico ad investire i rapporti fra i paesi capitalistici acutizzandone i contrasti.

Anche allora si cercarono i rimedi e si trovarono nella corsa agli armamenti, un’azione classica nelle difficoltà del capitalismo, e nell’intervento pubblico nell’economia che in taluni casi fu di sostegno alle imprese attraverso commesse ed appalti, in altri casi fu di rendere lo Stato imprenditore diretto.

Oggi i governi intervengono nella crisi allo stesso modo per ciò che concerne gli armamenti, ma in modo assai diverso nei confronti delle banche e delle imprese.

Oggi i governi distinguono le banche e le imprese in difficoltà scegliendo, a seconda degli interessi politici, personali o amicali in gioco, quelle da salvare dal fallimento e le rifinanziano attingendo il danaro direttamente dalle casse pubbliche, utilizzando i danari dei cittadini che pagano le tasse e che dovrebbero servire a dare quei servizi che garantiscono una vita dignitosa e civile. Lo Stato cioè non si fa più imprenditore produttivo, ma si trasforma in donatore di finanza.

Ci si aspetterebbe dagli insigni professori economisti teorici del liberalismo che si gridasse allo scandalo, alla truffa, al ladrocinio, no! Li troviamo tutti schierati e solidali col governo americano che negli Stati Uniti versa alle grandi finanziarie quattrini buoni in cambio di titoli di carta straccia, in nome dello stato di necessità, “per salvare il sistema”. E lo stesso fanno in Italia come nel caso Alitalia: qui la parola d’ordine è “salviamo l’italianità “ che con l’economia liberale non c’entra nulla, ma serve comunque ad imbrogliare le coscienze. Del resto questo è il vero mestiere degli economisti liberali.

Di fronte alla crisi si teorizza oggi che il capitalismo è un buon sistema economico, l’unico ed il migliore perchè si basa sul mercato, ma ”servono delle regole”; appena qualche anno fa dicevano che il mercato, lasciato libero, si sarebbe autoregolato al meglio ed avrebbe risolto magicamente tutti i problemi dell’umanità globalizzata. I cittadini dovevano solo “credere” nella sua capacità salvifica.

Sul problema di stabilire quali siano le “regole” correttive qualcuno glissa ed altri invece fanno la lista, ma tutti sfuggono alla domanda: chi stabilisce le regole ? I governi la cui linea politica è determinata dalle oligarchie di imprenditori e finanzieri? I parlamenti ridotti a luoghi di chiacchiericcio strapagato?

No, non convincono ormai più nessuno.

L’ideologia capitalista è arrivata al capolinea.

Con la globalizzazione si doveva aprire nel mondo una stagione di liberazione dell’umanità dal bisogno e si è invece aumentata la povertà e la fame, si dovevano estendere le libertà sociali e politiche dei popoli della terra ed invece se ne è estesa la sottomissione con il ricatto economico o con la guerra. Il risultato è una migrazione di gente disperata e affamata che viene raccolta ed utilizzata nei paesi a capitalismo sviluppato come oggetto di sfruttamento intensivo e a costo marginale.

Il capitalismo mostra dunque oggi il suo fallimento come ideologia e come pratica.

Il genocidio che si consuma sui mari pieni di gente in fuga dalla fame e dalle guerre è il simbolo crudele del sistema capitalistico, la sua carta di identità.

La ragione intima, primaria del capitalismo è il profitto ed il profitto si realizza con lo sfruttamento del lavoro. Il lavoro ha un costo salariale che è inversamente proporzionale al profitto per cui se scendono i salari sale il profitto e viceversa.

Per il capitalista l’ideale sarebbe avere il lavoro a costo salariale zero, ma ciò non è possibile perchè bisognerebbe che il lavoratore non mangiasse, non avesse una casa, non avesse bisogni per sé e per la sua famiglia, ed allora poiché questa situazione ideale non può verificarsi, dopo aver ridotto all’osso i salari cerca altre vie per ridurre il costo del lavoro. Nella storia dell’umanità le vie trovate sono state molte, ma oggi la ricerca ha trovato modi molto più sofisticati che nel passato. Uno di questi, il più recente, è quello di riempire il sistema economico, imprese, banche, assicurazioni, finanziarie ecc. di debiti e farli poi pagare ai lavoratori attraverso la mediazione dei governi che possono manovrare il danaro pubblico.

E’ quella che è stata definita la privatizzazione degli utili e la socializzazione delle perdite. Tutto ciò per il lavoratore si traduce nella necessità di aumentare le ore di lavoro, nel dover sopportare una riduzione dei servizi e delle condizioni di vita, ma per gli imprenditori ed i finanzieri consente di mantenere inalterato il profitto.

Questa pratica ha però un punto debole, una contraddizione, ed è che il mercato entra in depressione a causa della domanda di merci che si riduce in corrispondenza di minore disponibilità di denaro dei consumatori e perciò il sistema entra globalmente in crisi.

Tutto quello che diciamo è ovviamente una semplificazione che fa sorridere gli economisti borghesi abituati a raccontarla lunga per confondere le idee, ma anche se la realtà è ben più complessa, il ragionamento è sostanzialmente esatto.

Sul piano politico i governi della destra e non solo, si affannano a rappresentare una realtà mediatica dove tutto è sereno e le difficoltà ( per i lavoratori) del tutto transitorie. Tutto si risolverà per il meglio, anzi siamo già sulla via del risanamento, i governi si fanno garanti che i risparmi non saranno toccati. Già, i risparmi, ma cosa possono risparmiare i 15 milioni di italiani costretti a vivere con 500-600 euro al mese, gli immigrati che lavorano a 5 euro l’ora nelle mani dei caporali (ah, il caporalato, la più sofisticata istituzione capitalistica che nel sud si esercita sulle piazze e nel nord nelle agenzie),i lavoratori che non arrivano al 20 del mese, coloro che hanno il mutuo da pagare?

No, non ci convincono. I sacrifici oggi per il benessere domani è un trucco che non ha mai funzionato nel passato, figurarsi oggi quando la preoccupazione esclusiva dei governi è il rifinanziamento di quelle banche che, per imperizia, o per sottomissione o per complicità si sono ritrovate in mano pezzi di carta di nessun valore, ma che vengono pagati a peso d’oro con i soldi di chi lavora e produce.

A ben vedere, in questa colossale truffa americana verso il mondo intero e nei provvedimenti che i governi assumono di conseguenza c’è in realtà un colossale spostamento di ricchezza in favore di quel gruppo ristretto di potenti che muovono la finanza, la produzione ed il mercato globale e che non sono tutti americani.

Qualcuno si interroga su cosa deve fare la sinistra politica in Italia. C’è chi spera in Obama Salvatore come quelli del partito democratico, c’è chi si spende in analisi politico- finanziarie molto professionali, abbondanti di citazioni, ma senza indicare una prospettiva, come una parte della sinistra cosiddetta“radicale”. Sono rimasti i comunisti a proporre l’unica soluzione reale: superare il capitalismo cambiando il sistema produttivo, il sistema sociale, il sistema politico, cambiando cioè la società.

Conosco già la domanda stupidamente ghignante: proponete i soviet?

Risposta secca: NO!

Proponiamo di applicare la legge fondamentale della Repubblica Italiana laddove dice che questa è una repubblica fondata sul lavoro e dove dice che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Oppure dove dice che i lavoratori hanno diritto a collaborare alla gestione delle aziende. Oppure dove dice che ai fini di utilità generale si possono riservare originariamente o trasferire ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese nel campo dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia, o di fronte a situazioni di monopolio o per la difesa dell’interesse generale.

Quanto di innovativo, di moderno, e quanto di sviluppo vero può ricavarsi da un approfondimento tematico di tutta la carta costituzionale e quanta iniziativa politica può svilupparsi da parte della sinistra comunista, che non si limiti ad una difesa dei precetti costituzionali o ad una loro proclamazione, ma partendo da quei precetti apra dibattito, faccia proposte concrete, crei mobilitazione !

Altro che veteri. Vecchio è chi non sa uscire dal passato, chi accetta con rassegnazione o per opportunismo che tutto resti come prima, quello è vecchio!

Vecchio è chi ha perso la fiducia in se stesso e china la schiena. Giovane è chi lotta.