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Il feudo e il cavaliere
Gabriele Polo
L’Eurispes ci ammonisce che si prospetta un nuovo feudalesimo, con tanto di vassalli e valvassori. Lo sospettavamo da tempo, almeno da quando la vita comune si è disgregata in una serie di cerchi concentrici legati da relazioni individuali, segnati da un’alternanza d’immobilismo e violenta competizione tra favoritismi governati da piccoli o grandi sovrani. Ora un importante istituto di ricerca offre il sigillo della «scienza» a tale impressione che, per l’Italia è ormai qualcosa di più di un orizzonte. E’ un presente che conosce una sua rappresentazione politica e sociale, in un sistema di caste impegnate a resiste a ogni sorta di trasformazione.
Casualmente proprio ieri, in sincronia temporale con il rapporto Eurispes, Silvio Berlusconi ha voluto offrire una piccola conferma fattuale alla teoria della feudalizzazione. Come un antico monarca ha incoronato Gianfranco Fini suo erede: il lascito è un impero virtuale - la disgreganda Casa delle libertà - che il leader di An dovrebbe difendere, per poi rilanciare verso nuove conquiste. Per l’impero reale - le televisioni - scenderanno invece in campo i «servi della gleba», milioni di teleutenti pronti a combattere per la tutela del regno mediatico e del suo sovrano. Che in questo caso non nomina eredi, dato che la trasmissione della proprietà avviene naturalmente - e come si conviene - per via di sangue.
Secondo l’Eurispes per battere il neofeudalesimo serve una rivoluzione culturale. Che esagerazione. Forse basterebbe iniziare da alcune riforme, anzi da una soltanto, quella della politica. Che non ha nulla a che fare col microriformismo liberale di Bersani o liberista di Rutelli, né con nuove architetture istituzionali o elettorali. Dovrebbe essere una riforma davvero strutturale, a livello mentale. Vorrebbe dire costringere i rappresentanti a farsi carico del mandato ricevuto, convincerli che non saranno loro a cambiare il mondo ma che dovrebbero «limitarsi» ad accompagnare la trasformazione di cui una cosa parzialissima come il voto politico manifesta il bisogno. Invece si presentano come portatori di svolte epocali e poi praticano la conservazione. Questo fanno i nostri governanti del centrosinistra sul rifinanziamento della missione militare in Afghanistan e sulla nuova base militare americana di Vicenza, per non cambiare le relazioni internazionali; questo fanno sui diritti civili delle persone, sulla formazione scolastica e sulla comunicazione, per non intaccare il peso di feudatari religiosi e aziendali; questo fanno sul lavoro e sui diritti sociali, per non scontentare poteri industriali e finanziari. La riforma mentale della politica dovrebbe proprio partire da lì. E’ metodo e merito insieme, capacità d’ascolto e rispetto del mandato, che rovesciano l’indice delle priorità: da ciò che è compatibile a ciò che è necessario.
Segnerebbe una differenza visibile con il passato, darebbe un po’ più di senso alla parola sinistra e servirebbe a contrastare la feudalizzazione incarnatasi nel berlusconismo. A sconfiggerne eredità ed eredi, non solo un re sempre in bilico e sempre presente. Qualcuno, prima o poi, dovrà pur farlo.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/27-Gennaio-2007/art1.html