Home > *Il gran rifiuto di Ingrao: "Cosa Rossa senza me"*

*Il gran rifiuto di Ingrao: "Cosa Rossa senza me"*

Publie le martedì 18 dicembre 2007 par Open-Publishing

«Serviva la fusione. Bertinotti? Da presidente della Camera non avrei
mai parlato come lui di Prodi»

di Riccardo Barenghi

Il grande vecchio della sinistra italiana non ci sarà. Pietro Ingrao ha
deciso di non partecipare agli Stati generali della Sinistra-Arcobaleno,
oggi e domani alla nuova Fiera di Roma. Nonostante sia il nume tutelare
di quest’area politica, nonostante molti degli attuali dirigenti e
militanti della sinistra radicale ancora lo guardino come un faro nella
nebbia, nonostante abbia partecipato con tutti i suoi 92 anni al corteo
del 20 ottobre – fece titolo il suo grido dal palco: «La lotta continua»
– nonostante tutto questo, Ingrao non ci sarà. Il programma prevedeva
che domenica a mezzogiorno lui arrivasse insieme a Fausto Bertinotti. Ma
Bertinotti arriverà da solo.

La ragione ufficiale è che domani, alla stessa ora, Ingrao deve
presentare il suo ultimo libro, /La pratica del dubbio/. Ma quella vera
è che Ingrao «non è convinto» (sua frase storica che usò all’XI
congresso del Pci nel 66: «Cari compagni, se dicessi che mi avete
convinto non sarei sincero»...), non è convinto di come si stia
costruendo questo nuova Cosa a sinistra: «La Federazione non mi
persuade, avrei capito una fusione. Ossia la nascita di un nuovo Partito
e pure consistente. Ma così non ne capisco il senso. Quando per esempio
Mussi ha rotto coi Ds, secondo me avrebbe dovuto entrare in
Rifondazione. Cioè in un Partito riconoscibile e riconosciuto dalla
gente che incontro per strada. Per non parlare di Diliberto, chi
rappresenta Diliberto?». E quindi? «E quindi mi sembrano troppo
frantumati, troppo timidi, ci vorrebbe più linearità, più nettezza, più
semplicità di condotta. Più coraggio insomma».

Detto questo, Ingrao però precisa che certo lui non vuole fare la parte
del «vecchio professorino, per carità, ci mancherebbe che alla mia età
mi mettessi a dare lezioni... Non ci vado ma spero che questa nuova Cosa
cammini. La situazione politica generale è così confusa, così
deteriorata che c’è assoluto bisogno di una consistente forza di sinistra».

Lui che ha sempre vissuto di politica, si sente oggi sempre più estraneo
alla politica. Considera Prodi «un moderato, Veltroni altrettanto», e
questo governo «non mi soddisfa per niente». Non sa perché Mastella stia
lì, e ce lo chiede: «Che fa, che vuole Mastella». Non sappiamo
rispondergli. Confessa anche che non ha nemmeno capito le ragioni
dell’ultima uscita del suo amico Fausto – «un vero amico per il quale
nutro grande affetto e stima» – ossia quell’intervista a /Repubblica/ in
cui attaccava pesantemente il governo e Prodi in persona paragonandolo a
un «poeta morente». Al vecchio leader della sinistra comunista, quella
sortita non è piaciuta per motivi istituzionali, «quando io ero
Presidente della Camera non ho mai fatto nulla del genere né ho mai
pensato di farlo». Ma anche per motivi politici, gli è sembrata
un’iniziativa estemporanea e troppo solitaria: «Con chi ne ha parlato,
con chi l’ha concordata?». E soprattutto: «Perché l’ha fatta, a cosa
voleva portare, cosa voleva ottenere?». Domande alle quali Ingrao non ha
trovato ancora risposta, e che lo lasciano interdetto.

Tuttavia, anche senza di lui la Cosa rossa, anzi ormai multicolore,
comincia a muoversi. Oggi pomeriggio i lavori si articoleranno in
diversi work-shop, ovvero seminari tematici. Domani invece sul palco si
alterneranno dirigenti nazionali e locali, fino naturalmente ai leader
dei quattro partiti che costituiscono la Federazione: Giordano, Mussi,
Pecoraro e Diliberto. Si capirà allora se a questo primo passo ne
seguiranno altri, se cioè si tratterà solo di una semplice Federazione,
che poi significa in sostanza poco più di un cartello elettorale, oppure
se l’idea sia sul serio quella di far nascere un nuovo soggetto
politico. Insomma un nuovo partito, con conseguente scioglimento dei
quattro esistenti. Non è affatto detto che vada così, tutt’altro: le
divisioni non mancano su molti temi, dal rapporto col governo alla legge
elettorale. Così come non manca la paura di contaminarsi, di sciogliere
la propria forza senza sapere dove andrà a finire, di rinunciare al
proprio ruolo, al proprio simbolo, al nome. Insomma all’identità. E
infatti tutti dicono che pure se si uniscono, ognuno resta con la
propria identità, saranno insomma «un soggetto plurale» (un
bell’ossimoro). Comunque almeno alle prossime elezioni amministrative,
saranno insieme sotto lo stesso simbolo. Una prima prova per misurare il
consenso, che nei sondaggi attuali oscilla tra l’8 e il 12 per cento.

Infine, il problema del leader. Che non c’è. Avrebbe dovuto essere
Bertinotti, ma fa un altro lavoro e non ha nessuna intenzione di
dimettersi da dove sta. E tra quelli disponibili, nessuno ha le
caratteristiche adatte, oltre al fatto che ognuno è geloso dell’altro.
Potrebbe allora spuntare fuori un outsider, per esempio Nichi Vendola,
sponsorizzato proprio da Bertinotti. Ma prima i quattro dovranno
decidere se saranno una Cosa sola o quattro cose che si uniscono
all’occorrenza (le elezioni) per poi marciare divisi. Dopo di che
mettersi d’accordo su chi sarà il loro capo. Ci riusciranno?

La Stampa 8 dicembre 2007