Home > Il lavoro dei giornalisti in Iraq
Issam Rashid è un giovane regista iracheno che si è sforzato di scrivere in inglese - una lingua che non è la sua - per far avere ad Osservatorio Iraq questo articolo sul lavoro dei giornalisti nel suo paese. Le condizioni di sicurezza sono tali che fare i reporter è diventato quasi impossibile, mentre la guerra si consuma nel silenzio della comunità internazionale.
di Issam Rashid
Alcuni mesi prima dell’ultima guerra del Golfo, molti giornalisti si recarono in Iraq per riferire su qualunque cosa accadesse, prima e durante la guerra. Sapevamo tutto, anche sulle truppe statunitensi. A quel tempo, uno dei luoghi in cui stavano i giornalisti era l’hotel Palestine, ma durante la guerra le truppe statunitensi lo bombardarono, uccidendo Tarik Aywb di Al Jazeera e un giornalista ucraino, mentre arrestarono altri giornalisti nelle strade di Baghdad. Alcuni mesi dopo l’inizio della guerra, quando il popolo iracheno iniziò a resistere alle forze di occupazione, i giornalisti iniziarono ad essere trattati molto male nelle strade, specialmente quando seguivano gli attacchi delle forze della coalizione. Mi ricordo di una volta in cui ero con un mio amico, Rory McEvan, giornalista scozzese, e stavamo cercando di riferire su uno degli attacchi delle truppe statunitensi, quando una unità americana ci fermò e i soldati ci portarono in prigione. Ci rilasciarono, ma questa pratica era una costante - con me lo fecero altre tre o quattro volte.
Inoltre hanno ucciso molti giornalisti, mentre lavoravano nelle strade di Baghdad, tra cui il già citato Tarik Aywb (della tv Al Jazeera) nell’attacco all’Hotel Palestine, Ali Al-Khateeb (Al Arabiya) ucciso nel quartiere di Karrada a Baghdad, Rasheed altro giornalista di Al Jazeera, e poi ancora ad Haifa il reporter di Al Ikhbariya Mazin Al Tumayzi, e vicino ad Abu Ghraib il corrispondente della Reuters Ali. Numerosi sono stati anche gli arresti, prevalentemente di collaboratori della tv Al Jazeera (sei operatori, tra cui una donna - Atwar Bahgat, Slah Hasan, Suhaib al Baz, Abdul Adhim Mohammed, Laith Mushtaq, Anas Abbud ), ma anche della British Agency (Yunis Khuthair e Isam Rasheed ) e della tv Al Arabiya, come Majid Hameed.
Quest’ultimo è stato rilasciato il 15 di questo mese insieme ad altri. Quando lo hanno liberato, Majid ha detto che le forze statunitensi lo avevano arrestato senza ragione, senza prove contro di lui, ben sapendo che era innocente e, nonostante ciò, trattenendolo ad Abu Ghraib per quattro mesi. Comunque ha aggiunto che continuerà a fare il suo lavoro di giornalista.
Molti altri giornalisti sono stati arrestati dalle truppe Usa e alcuni di loro per due o tre volte senza ragione alcuna, mentre altre volte i giornalisti sono stati rapiti da bande o da terroristi per ottenere denaro o fare pressioni sui governi in modo che riportassero a casa le [loro] truppe, ed altre volte ancora sono stati uccisi. A partire dal 2003 ad oggi, secondo le statistiche di Reporters Sans Frontières ( http://www.rsf.org), 23 giornalisti sono stati rapiti e alcuni di essi uccisi. Certe volte degli uomini armati hanno ucciso i giornalisti per le strade, come stava per succedere a Jawad Kadhim, un iracheno del network Al Arabiya: alcuni ignoti cercarono di ucciderlo a Baghdad, ma non ci riuscirono.
Un altro esempio possiamo trovarlo in quel che è successo ad un mio collega dal Regno Unito, il cui nome era Richard Wild: fu ucciso nelle strade di Baghdad e nessuno sa perché o per cosa.
Come potete vedere, in Iraq, i giornalisti si sono trovati nel mezzo tra le forze di occupazione e gli uomini armati, ma vogliono solo fare il loro lavoro. L’ Iraq è diventato il luogo più pericoloso al mondo per i giornalisti, ma voglio evidenziare un fatto: l’Iraq era sicuro non solo per loro, ma per chiunque prima dell’occupazione.
Ho intervistato alcuni giornalisti che sono stati arrestati dalle truppe statunitensi e una di queste interviste era con Suhaib Al-Baz, 26 anni, che ha lavorato per il canale satellitare di Al Jazeera tre anni e adesso è diventato un direttore. E’ stato arrestato molte volte dalle truppe statunitensi e l’ultima è stata nel 2004 per 76 giorni, che ha trascorso rinchiuso ad Abu Ghraib. E’ stato torturato molte volte e non sapeva perché lo torturassero, visto che non lo interrogavano neppure. Gli dicevano solo che lo avrebbero trasferito a Guantanamo perché lavorava con Al Jazeera, ma mi ha detto che non gli importava perché non pensava che Guantanamo potesse essere peggio di Abu Ghraib. Lo hanno messo, insieme al suo collega Salah Hasan, in una cella speciale per prigionieri pericolosi. Ha detto che lo trattavano molto male, usavano i cani e lo bagnavano con acqua fredda in inverno. Ha subito un simile trattamento pur non essendoci alcuna accusa contro di lui. Sottolinea che quando facciamo il nostro lavoro, specialmente quando filmiamo nelle strade, siamo trattati molto male sia dalle forze statunitensi sia da quelle irachene: lo facevano smettere di filmare o spegnevano la sua videocamera, altre volte è stato picchiato e spintonato via . Ma nonostante tutto Suhaib crede che debba continuare a mostrare la verità per lenire la sofferenza dell’Iraq, e crede che tutti i rapimenti, le uccisioni e gli arresti servano solo all’occupazione.
Quando gli ho chiesto se si sentisse trattato, dalle truppe Usa ed irachene, allo stesso modo dei suoi colleghi non iracheni, mi ha risposto così : "No, le truppe statunitensi ed irachene trattano loro meglio di noi, perché sono più protetti di noi, ma non accuso gli stranieri. Hanno aiutato l’Iraq ed sono stati coraggiosi a venire a lavorare qui".
Ho intervistato anche Yunis Khuthair , un giornalista di 38 anni, curatore del giornale Al-Tahaddi. Il 23 settembre è stato arrestato dalle truppe statunitensi e trattenuto nove mesi ad Abu Ghraib, dove lo hanno torturato molte volte, imputandogli delle accuse molto divertenti, come dice lui, per esempio che avesse tentato di assassinare Tony Blair o che nascondeva Saddam nella sua casa o che cooperava con i terroristi, e tutte queste accuse erano false (ha detto). "Mi trattavano molto male perché sono un giornalista, e ne ho la certezza perché un giorno una guardia ad Abu Ghraib mi ha detto che i media li colpivano [le forze di occupazione] più della resistenza, e quando gli chiesi se ci fossero altri giornalisti ad Abu Ghraib, lui [la guardia Usa] disse che ce n’erano 17 contemporaneamente ".
Riporto qui alcune delle sue risposte:
Quali sono i pericoli nel lavorare con i media, specificamente i media occidentali?
Era ok prima della guerra, ma adesso è diventato molto pericoloso perché, col tempo, le truppe statunitensi hanno arrestato molte persone e ne hanno uccise molte altre nelle strade senza alcuna ragione, così gli Iracheni odiano ogni americano e pensano lo stesso di ogni straniero che lavora con le truppe USA, dunque alcuni degli Iracheni vogliono vendicarsi sequestrando i giornalisti stranieri e questo non è un bene, ma come possiamo impedirlo? Penso che quando le truppe Usa smetteranno di arrestare ed uccidere persone, tutto sarà ok. Un altro problema riguarda alcuni Iracheni secondo i quali noi (giornalisti iracheni che lavorano per gli stranieri) siamo spie per le truppe Usa, e mi ricordo un giorno in cui ero con un mio amico chiamato David Enders (giornalista indipendente) degli Stati Uniti. Gli coprii la testa, per la sua e la nostra sicurezza.
Hai mai ricevuto minacce prima d’ora?
Sì, una volta. Mi chiesero di smettere di filmare e scrivere. Non so chi fossero, ma continuerò a fare il mio lavoro.
Come eri trattato dai tuoi datori di lavoro?
Male. Il mio datore non mi pagava abbastanza e si dimenticava di me quando venivo arrestato, non ha mai mandato un avvocato per difendermi e quando venivo rilasciato ormai avevo perso il mio lavoro, le mie videocassette. Inoltre ho sentito che il mio capo raccoglieva soldi dal NUJ (National Union of Journalists, Regno Unito) e non me li dava. Non ho più contatti con lui.
Cosa dovrebbero cambiare i media occidentali riguardo il loro lavoro con i giornalisti iracheni?
Penso che i media occidentali siano ok, ma abbiamo bisogno di costruire una maggior fiducia tra di noi per avere dei buoni risultati finali.
Quale ruolo giocano i giornalisti nell’aiutare l’Iraq ad avere libertà e democrazia?
Penso che la cosa migliore sia mostrare sempre il vero e questo sarà di grande aiuto per la libertà.