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Il limite del bipolarismo non può giustificare il fallimento del bertinottismo
Publie le giovedì 20 luglio 2006 par Open-PublishingAlcune considerazioni al dibattito che auspichiamo scaturisca dall’eccellente articolo di Franco Astengo intitolato “Struttura politica e superamento del bipolarismo”e pubblicato sul sito www.pane-rose.it.
Il sistema bipolare come blocco (dialettico) al servizio dei processi capitalistici è un problema che è necessario affrontare e risolvere affinchè la ricchezza culturale della politica riemerga in tutto il suo vigore.
Facciamo così tanta fatica ad inquadrare anche le differenze più vistose nei due condensati monomarca di centrosinistra e centrodestra (differenze indubbiamente più percepibili da un occhio non imbrigliato nello sguardo verso l’orizzonte della governabilità), che la questione del superamento del bipolarismo non può non essere risolta positivamente nel più breve tempo possibile.
Fatta questa inevitabile premessa, non possiamo nemmeno nascondere l’incapacità tattica, strategica, ideologica, culturale, organizzativa, delle burocrazie sclerotizzate delle formazioni cosiddette comuniste dietro il paravento di un sistema fallimentare di rappresentanza parlamentare.
Questo a mio avviso produce due fattori di distorsione al dibattito di cui bisognerebbe tenere conto in fase di analisi, ovvero:
1- riduce le responsabilità di un’intera generazione di gerarchi di partito che, acclamando il bertinottismo, ha finito per trasferire le finalità stesse di Rifondazione su un piano altermondista -gandista di stampo etico e che ha prodotto, per effetto collaterale, due importanti scissioni (PdCI, in ambito di continuità filogovernativa, e MPCL di cui qualcosa si dirà più avanti);
2- subordina l’approdo rivoluzionario ad una fattispecie che è esterna all’essere stesso di un movimento marxista-leninista, agganciando addirittura la vitalità di quella che dovrebbe essere la sua avanguardia ( il partito) al tabernacolo delle decisioni prese nell’ambito di un sistema di rappresentanza (che però, ribadiamolo, tutti auspichiamo proporzionale).
Crediamo utile iniziare una digressione proprio da questo secondo punto per rendere evidenti le responsabilità ( al primo punto) dei burocrati che hanno guidato verso il baratro ideologico il Partito della Rifondazione Comunista.
In effetti appare facile constatare come non dovrebbe parlarsi (e trattarsi) di querelle su schemi elettoralisti-rappresentativi (e simili stramberie borghesi) quanto di coerenza (ma non della pratica politica, che è marcia di suo) di una linea di condotta almeno sulla carta rivoluzionaria.
Che la politica viva di sue legittime e deprecabili “aspirazioni” (accordi, inciuci, patti, cene a casa di Letta, cose dette a metà, frasi rimangiate, ecc., ecc.) è arcinoto; che esista anche una prassi dell’esercizio della coerenza morale-politica (ed aggiungo, ideologica) è invece un concetto che fa fatica ad imporsi.
Del primo aspetto era piena la bisaccia anche della cosidetta prima Repubblica (proporzional-lottizzante per definizione), Partito Comunista ( più Convergenze Parallele) compreso.
E per quale conclamato motivo?
Un’indubbia degenerazione a fini governativi proprio della suddetta prassi , che deve invece imporsi al militante a prescindere dalle contingenze di facciata, è stato il siparietto dietro il quale il vecchio PCI ha potuto tramutarsi in PDS-DS ed è il Mare Magnum sul quale sta affondando la prospettiva di Rifondazione Comunista (stritolata dall’abbraccio mortale volontario al centrosinistra di Prodi).
Scegliere il versante dei banchieri alla Padoa-Schioppa come effetto dell’antiberlusconismo si inserisce proprio nel contesto delle legittime aspirazioni della politica, la quale decide per la concertazione piuttosto che per lo scontro frontale: pur sempre però all’interno dell’agone capital-affaristico.
Scegliere il versante dei lavoratori come effetto dell’anticapitalismo-antimperialismo USA, ed in specie nostrana dell’antiberlusconismo, si sarebbe inserito invece proprio nella cornice della salvaguardia della prassi della coerenza di una formazione politica che rivendicava a viva voce il suo cimento rivoluzionario.
Così non è stato.
Evidentemente l’ex segretario, l’attuale segretario e la classe dirigente andata, presente e futura ne risponderanno al cospetto della storia del movimento operaio.
A costoro dunque alcun alibi, men che meno se esogeno come quello del bipolarismo, può essere concesso.
Sul versante “Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori” le domande sono tutte in piedi.
E’ sempre cosa utile evitare tendenze leaderiste ed iniziare il confronto intercettando i tratti d’insieme che emergano dal confronto dialettico con la base dei militanti: senza servire su piatti d’oro nuove formazioni già definite in strategia ed organigramma.
I tempi sono maturi non per un Movimento ma per una Federazione di Soggettività che spingano per la costruzione di un partito rivoluzionario nel nostro paese.
I contrasti anche acuti non possono essere sciolti in un Movimento perchè si ripresenterebbero inevitabilmente in un secondo momento: meglio invece accettare l’apertura di un confronto nel rispetto e nella conservazione delle diversità.
Solo attraverso questa strutturazione e possibile individuare il nerbo unico intorno al quale costruire il resto di un percorso.
Non siamo ostili ma scettici rispetto al MPCL: siamo ancora convinti che se da un lato la sintesi può essere colta anche da una sola parte ( cosa per altro legittima) dall’altro essa non può arrogarsi la pretesa di espandersi in orizzontale per il tramite degli inviti ad aderire a questo o quel Movimento.
L’adesione prevede lo scioglimento: è una fase in cui non è possibile chiedere questo passaggio ad alcuno: anche perchè a conti fatti tutti possiamo osservare che questa formalità non è stata adempiuta nemmeno da coloro i quali tale Movimento hanno avuto la bontà di proporlo!!!
francesco fumarola, www.mercantedivenezia.org