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Il maquillage azionario
deciso dal Cavaliere
di GIOVANNI VALENTINI
L’ONDA lunga del terremoto elettorale che domenica e lunedì scorsi ha colpito la Casa delle libertà e in particolare Forza Italia, feudo politico del presidente del Consiglio, arriva ora fino alla roccaforte di Mediaset, l’azienda privata che appartiene a Silvio Berlusconi. Dalla sconfitta totale del polo alle regionali, alla liquidazione parziale del polo televisivo. È la migliore conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, del conflitto di interessi che grava come un’ipoteca sul premier, sulla sua maggioranza parlamentare e sul suo governo.
Con la decisione a sorpresa di cedere il 17% di Mediaset, Berlusconi tende evidentemente a tamponare le insofferenze crescenti dei suoi alleati di fronte alla disfatta delle ultime elezioni, cercando così di difendere la propria leadership, di ridurre la sua esposizione e alleggerire il peso di una proprietà che interferisce sempre più con la sua azione politica, con la sua stessa autorità e credibilità. Ma per quanto la mossa possa soddisfare i partner del Cavaliere sul piano per così dire estetico, in realtà non cambia né la sostanza né l’apparenza della situazione. Il presidente del Consiglio conserverà infatti all’incirca un 33-34%, una quota di assoluta sicurezza, largamente sufficiente a garantirgli il mantenimento del controllo. E oltretutto, proprio mentre le classifiche ufficiali gli assegnano il primato del parlamentare più ricco con un reddito ufficiale di 12 milioni di euro, si avvia a incassare una fortuna di 2,2 miliardi di euro, qualcosa come 4mila miliardi di vecchie lire.
Non sappiamo ancora se Berlusconi venderà questa quota di minoranza sul mercato; oppure a investitori istituzionali, banche o finanziarie sicure; o ancora a soci e amici fidati. In ogni caso, l’operazione si presenta come un puro maquillage, una carta da giocare alla disperata, quando ormai il tavolo traballa e la posta è diventata altissima: la sopravvivenza stessa del governo, la fine della legislatura e quindi la possibilità di tentare in extremis un recupero elettorale. Ma se il leader di Forza Italia, e con lui tutta la sua maggioranza, si illudono in questo modo di buttare fumo negli occhi all’opposizione e soprattutto a un’opinione pubblica sempre più delusa e ostile, probabilmente hanno fatto male i loro conti.
L’incompatibilità fra la figura politica e istituzionale del presidente del Consiglio e il suo "status" di concessionario pubblico non è sanabile con un affare, peraltro cospicuo e vantaggioso, da 4mila miliardi. La verità è che Berlusconi resta comunque il dominus delle sue televisioni, con una concentrazione di potere mediatico e pubblicitario che non ha uguali al mondo. Forse riuscirà a tacitare le pretese dei suoi alleati, non certo le richieste di trasparenza e correttezza che provengono anche dall’esterno, dagli osservatori e dalla stampa straniera.
Il controllo della tv non è paragonabile alla proprietà di beni immobili o di fondi finanziari. Attraverso questo strumento la maggioranza di centrodestra è in grado di influire sulla formazione e sulla raccolta del consenso. Anche con il 33 o il 34%, gli interessi di Berlusconi politico e di Berlusconi imprenditore sono destinati perciò a rimanere in conflitto.




