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Il maresciallo che combatte per la democrazia. Intervista a Luca Comellini

Publie le lunedì 29 settembre 2008 par Open-Publishing

Il maresciallo che combatte per la democrazia. Intervista a Luca Comellini

di Alessandro Ambrosin

La Carta Costituzionale italiana indica chiaramente i diritti e i doveri inviolabili di ogni singolo cittadino, nessuno escluso. Anche per chi appartiene alle Forze dell’ordine. Ma talvolta questi principi vengono elusi, trasformati, ignorati per vantaggi particolari, annullando di fatto uno stato di diritto fondamentale per un paese civile, quello della libertà. E’ il caso di Luca Comellini, responsabile del Dipartimento per i rapporti con le Forze armate della Democrazia Cristiana, e militare nell’Aeronautica.

Comellini si trova sotto inchiesta per la seconda volta reo di aver esercitato un diritto legittimo, quello di avvalersi dello strumento sindacale. L’atto d’accusa delle Forze Armate che sfocia in un’inchiesta a carico di Comellini va però ben oltre. Anche il suo sito web diventa motivo di discriminazione poichè compare il suo indirizzo mail, scritti e esternazioni che riportano la sua firma come legittimo autore. Eppure l’articolo 21 sancisce il diritto di manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo di diffusione. Ma non è tutto. Come si legge in una interrogazione presentata dall’onorevole Elettra Deiana nella scorsa legislatura a Comellini viene contestato anche il fatto di aver presentato una petizione apparsa nelle pagine web del suo portale, nella quale proponeva direttamente agli organi della Camera e del Senato della Repubblica una modifica della Legge n. 382 dell’11 luglio 1978, "norme di principio sulla disciplina".

Secondo le Forze armate questa iniziativa costituirebbe una violazione delle norme sull’obbligo di seguire la via gerarchica, come a dire che la Costituzione italiana è assoggetta ad un regolamento di disciplina militare. Non ultima contestazione la dichiarata appartenenza di Comellini al partito della Democrazia Cristiana.

Abbiamo incontrato Luca Comellini in veste di libero cittadino impegnato politicamente per capire meglio la sua battaglia per far valere i propri diritti, all’interno di un ambiente, quello militare, di cui spesso non se ne parla affatto o se ne parla a comando.

Quando ha inizio questo contenzioso tra lei e l’amministrazione dove lavora ?

Alla fine degli anni novanta, per pura e semplice cultura personale, ho iniziato ad interessarmi alle questioni di diritto che la giustizia amministrativa, in quel preciso periodo, era chiamata a giudicare nei contenziosi che costantemente si diffondevano negli ambienti militari. Prendere piena coscienza dei diritti e delle facoltà che la Costituzione e le leggi riconoscono anche ai militari e mettere in pratica gli insegnamenti dei differenti Giudici è stata la naturale reazione alle inaccettabili prevaricazioni che vedevo compiersi quotidianamente nei confronti di tantissimi militari che spesso subivano senza neanche capire quanto gli stesse accadendo.

Quale modifica chiedeva nella petizione?

Gli atti di petizione che ho rivolto ai presidenti dei due rami del Parlamento intendono chiedere l’abrogazione dell’articolo 8 della legge e conseguentemente eliminare il divieto per i militari di poter costituire associazioni di categoria o sindacali.

Che idea si è fatto di questa vertenza nei suoi confronti?

Per questioni di opportunità non voglio e non posso addentrarmi nel merito della vicenda che mi riguarda, comunque la ritengo un attacco politico in piena regola. L’ingiustificata aggressione dei diritti di cui liberamente dovrei godere come tutti gli altri cittadini è il chiaro segnale dell’intolleranza che alcuni ambienti nutrono nei confronti di quelli che, come me, sono impegnati e vogliono impegnarsi politicamente per la crescita sociale, di quello che oserei definire essere uno degli ambienti più insensibile alle innovazioni e all’integrazione con il resto della società.

Pensa che la mancanza di diritti e doveri nei confronti dei militari si scontrino soprattutto con la tradizione storica delle Forze Armate, oppure esistono altre motivazioni meno apparenti?

La legge di principio sulla disciplina militare è nata in un periodo storico dove il potere politico risentiva ancora degli effetti del passato regime e dei tentativi di riportarlo in vita che in quegli anni si erano verificati con la complicità di militari. Questi timori, infatti, sono chiaramente intuibili dalla lettura del testo di legge e del suo regolamento attuativo, ancora oggi vigenti. La limitazione di alcuni diritti fondamentali, a fronte dei più pregnanti doveri, oggi appare inaccettabile se consideriamo che la società moderna, in cui operano i militari, è in continua evoluzione.

Tuttavia non esistono motivi più o meno apparenti, esistono solo le evidenti contraddizioni di uno specifico e fondamentale settore della società che negli ultimi 60 anni è cresciuto culturalmente ma che, tuttavia, non riesce ad integrarsi con tutto ciò che lo circonda. Il livello intellettuale del militare oggi è medio-alto e questo innalzamento gli ha consentito di vedere oltre il muro della caserma portandolo a chiedere e, talvolta, ottenere il cambiamento delle regole della vita militare.

Il militare oggi vuole essere considerato un cittadino come tutti gli altri, con pari diritti e pari dignità, e la forzata negazione di queste aspirazioni non fa altro che aumentare lo stato di malessere che ogni giorno è sempre più evidente. Questa affezione, tuttavia, non sembra preoccupare più di tanto il vertice dell’organizzazione che continua a minimizzare o a reagire con azioni spropositate che il più delle volte rischiano di rilevarsi solo ed esclusivamente sulle questioni personali, che spesso si concludono con un danno per la stessa amministrazione.

Come spiega questo accanimento nei suoi confronti. Mettere a tacere una voce dissonante ha sempre i suoi vantaggi, eppure i diritti sono spesso tabù anche dagli stessi militari.

Sono azioni continuate, ma prive di ogni fondamento logico e giuridico. Le attenzioni che mi vengono rivolte non passano inosservate nel mio ambiente di lavoro e, posso assicurarle, non fanno altro che aumentare la mia popolarità facendomi diventare quello che sono: un sicuro punto di riferimento per tutti coloro che vogliono rivendicare il proprio diritto ad essere cittadini italiani con pari diritti e dignità e si sentono lesi da quell’arroganza che fin troppo spesso accompagna il potere gerarchico. Moltissimi sono quelli che mi chiamano per avere quelle risposte che, altrimenti, gli sarebbero ingiustificatamente negate dai propri superiori.

Il riconoscimento palese di uno stato di diritto uguale per tutti i cittadini, compresi i militari, potrebbe influire negativamente sullo stato di servizio?

Assolutamente no. La legge 121 del 1981, che smilitarizza la polizia di stato estendendo i diritti sindacali non ha impedito al personale di operare per il raggiungimento ed il perseguimento dei fini istituzionali del Corpo. Non vedo alcun motivo di continuare a negare i diritti sindacali ai militari. Forse gli unici a non comprendere gli effettivi vantaggi per entrambe le parti sono i vertici politico-militari e alcune fazioni della rappresentanza militare centrale che inconsapevolmente vogliono mantenere in vita uno stato esente da tutele per il personale.

Se non esiste nessun presupposto per negare l’attività politica al di fuori del proprio contesto di lavoro, perchè l’inchiesta a suo carico continua, e quali sono i prossimi passaggi con i quali intende difendere la sua posizione.

Come ho già detto non posso e non voglio entrare nel merito della questione che mi riguarda direttamente, certo è che adotterò ogni possibile difesa per tutelare i miei interessi ed affermare i principi di diritto che il promotore dell’azione a cui lei si riferisce vuole negare.

Dazebao