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Il marxismo alla verifica della commutazione di codice
Publie le sabato 20 ottobre 2007 par Open-Publishingdi Gianluca Bifolchi
Lo sforzo di promuovere una nuova stagione del marxismo in Italia, e non nel senso accademico dell’operazione di Labriola, ma come concreto strumento di lotta politica, si imbatte subito in un problema in cui si ravvisa l’entusiasmo dei neofiti: la tendenza a considerare il marxismo come un sapere esoterico che apre alla comprensione del mondo in misura direttamente proporzionale allo zelo iniziatico di chi si appropria dei suoi formulari e li utilizza come formule magiche. Tutto ciò con poca o nessuna considerazione per il resto della cultura del tempo a cui si appartiene. In passato questa deriva sarebbe stata etichettata come "marxismo volgare", ma questa condanna mi pare troppo severa oggi che il marxismo maturo, a differenza che in passato, non è un senso comune a cui è possibile attingere con facilità. Questo senso comune va ricostituito con pazienza, e nel frattempo è bene assumere atteggiamenti tolleranti e, se è lecito dirlo, pedagogici.
Uno strumento per testare la maturità dell’acquisizione dei concetti marxisti da parte di gruppi e individui è di natura puramente linguistica: la commutazione di codice. Si intende con ciò la parafrasi di un discorso in perfetto gergo marxista in un linguaggio di diversa matrice culturale e ideologica, condotto in maniera che non vi sia significativa perdita di informazione. Se l’operazione è condotta con successo si può presumere che gli strumenti interpretativi di natura marxista sono stati usati in modo valido.
Supponiamo di eseguire la commutazione di codice su un articolo di un autore marxista riguardante le riaggregazioni di capitale finanziario nel sub-continente latinoamericano. Eseguendo uno spoglio lessicale del testo riusciremo ad individuare una serie di vocaboli che per la funzione testuale che svolgono e la frequenza con cui appaiono connotano il linguaggio dell’articolo come appartenente ad una determinata area culturale. L’idioletto collettivo di quel gruppo sociale che sono i marxisti. Supponiamo ora di eseguire la stessa operazione su un ampia analisi dei mercati finanziari pubblicata da Repubblica, per estrarre attraverso lo spoglio lessicale quell’idioletto collettivo che è il Repubblichese. Dopodiché opereremo su un saggio del sociologo Giuseppe De Rita sulla famiglia per estrarre il Deritese.
La commutazione di codice avrà successo se l’iniziale articolo dell’autore marxista potrà essere riformulato, senza sostanziale perdita di informazione, in Repubblichese e Deritese.
La scelta del Repubblichese e del Deritese risponde a requisiti minimi di sofisticazione intellettuale. E’ evidente che difficilmente la commutazione di codice effettuata sul linguaggio dei tifosi della Curva Sud dell’Olimpico potrebbe essere fatta senza sostanziale perdita di informazione, dato che gli stampi semantici e sintattici di destinazione, con tutta probabilità, non hanno sufficiente finezza di distinzione concettuale.
Come ho detto la commutazione di codice è uno strumento puramente linguistico. Esso non è cioè adeguato a dirci se le tesi esposte nell’articolo dell’autore marxista siano davvero convincenti. Esso è solo un’ottima spia del fatto che la terminologia marxista non viene usata in senso esoterico ed iniziatico, come strumento di rivelazione settaria della "verità". Ogni difficoltà insuperabile a commutare i codici dovrebbe far sospettare una caduta intellettuale del genere.
Chi credesse che la possibilità di questa commutazione è in realtà prova della debolezza epistemologica dei presupposti marxisti in un certo autore, evidentemente non ha capito nulla del materialismo dialettico, segnalando la necessità di moltiplicare questi interventi di natura pedagogica. La verbalizzazione dei concetti non è altro che una proiezione a livello dei processi della coscienza di ciò che accade nel mondo esterno, e con cui il soggetto entra in rapporto tramite i suoi sensi, si tratti di fenomeni naturali o di complesse interazioni sociali. Credere nell’esclusività conoscitiva e comunicativa del linguaggio marxista equivale a ristabilire un rapporto ontologico tra mente e mondo esterno mediato dal linguaggio che da strumento si fa Logos. Ovvero una ricaduta nell’idealismo più puro che annulla il senso stesso della polemica anti-hegeliana di Marx. E del resto, Marx, nel Capitale, come avrebbe potuto condurre una critica all’economia politica (scienza borghese), se il suo linguaggio e quello di Smith, Bentham, Mill o Ricardo fossero stati mutuamente esclusivi?
Naturalmente ci si può chiedere perché un marxista usi un linguaggio marxista, visto che le stesse cose possono essere dette in altre forme. La risposta è semplice: il fatto che un linguaggio sia semanticamente commutabile non significa che la nuova veste linguistica (risultato della commutazione) abbia le stesse proprietà di esattezza, concisione e profondità euristica. Il marxista parla da marxista perché per la trattazione dei problemi che gli stanno a cuore questo è lo strumento intellettuale migliore che conosca.
Tuttavia la macchinosa procedura degli spogli lessicali su testi non marxisti per ottenere le forme linguistiche di destinazione della commutazione, richiede tempo e, forse, capacità di analisi linguistica non disponibili a tutti. Una più agevole verifica empirica consiste nell’iscriversi con un nick anonimo al Forum di Repubblica, dopo aver cercato di assimilare il Repubblichese nel modo più fedele possibile attraverso la lettura degli articoli del quotidiano. A quel punto si cercherà di sostenere una tesi che in precedenza è stata formulata in modo scritto o parlato nel più perfetto gergo marxista attraverso la mimesi del Repubblichese. Se non si incontreranno difficoltà nella discussione con le altre persone, o se le uniche difficoltà saranno legate non alla comunicazione ma a debolezze teoriche della tesi da sostenere, la commutazione di codice ha avuto esito positivo. Buon Lavoro.