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Il mediattivista inglese Mark Covell rievoca il pestaggio: mi colpirono fino a svenire

Publie le venerdì 27 gennaio 2006 par Open-Publishing

G8, giorno nero per la polizia
I «Canterini boys» Al processo per i fatti della Diaz un video e due testimonianze inchiodano gli agenti del primo reparto mobile romano protagonista della mattanza.

di SIMONE PIERANNI GENOVA

Tre attacchi in pochi minuti: prima manganellate ovunque, poi colpi sulla
testa, infine calci in faccia. Il risultato è la rottura di otto costole,
la foratura di un polmone, la frattura di una mano, un trauma cranico, e
varie contusioni: dodici giorni in ospedale in stato di arresto e
piantonato da uomini armati, poi ospitato dal consolato britannico, sotto
protezione diplomatica, fino al 4 agosto 2001. E’ successo a Mark Covell -
mediattivista britannico, ascoltato ieri in aula - pochi istanti prima
dell’irruzione alla Diaz da parte delle forze dell’ordine. Giunto a Genova
per seguire le manifestazioni contro il G8, Covell si stabilisce nel media
center della Pascoli.

A tarda sera del 21 luglio entra per la prima volta,
insieme a un amico, nella Diaz; poco dopo qualcuno avverte dell’arrivo
della polizia «per una retata». Covell prova a scappare: il suo amico
riesce a rifugiarsi nella Pascoli, lui no. Poco dopo è circondato da cinque
poliziotti: «Urlavo "sono un giornalista", ma un poliziotto con il
manganello mi ha detto "tu sei un black bloc e noi ammazzeremo i black
bloc". Mi hanno picchiato in ogni parte del corpo». Seguiranno altre due
aggressioni, nell’arco temporale che va dall’arrivo della polizia, con il
ricordo delle camionette, fino all’entrata nella Diaz.

La «perquisizione»
si manifesta fin da subito nella sua violenta foga: «Provai a correre per
scappare, ma non c’era modo di fuggire; mi manganellarono alle ginocchia.
Temevo per la mia vita». Non è ancora finita, perché ci sarà un terzo
drammatico attacco: «Sono arrivati altri poliziotti che mi hanno raggiunto
e mi hanno dato dei calci nei denti e colpi dietro la testa. A quel punto
ho perso conoscenza». Fino a quel momento Covell vede i movimenti concitati
dei poliziotti: nel video mostrato in aula sono riconoscibili gli agenti
del settimo nucleo del primo reparto mobile di Roma, allora capeggiato da
Vincenzo Canterini. Non è un caso che l’avvocato più agitato sia proprio
Silvio Romanelli, difensore di Canterini e dei suoi uomini.

Nonostante il video costituisca una prova documentale incontestabile, la
difesa si appella a questioni tecniche: il controesame dell’avvocato
infatti è una prolungata contestazione alle dichiarazioni rese in
precedenza da Covell, con toni bruschi e provocatori, specie quando chiede
al teste «se sa leggere».

Le responsabilità dei «Canterini boys» - dieci dei quali rinviati a
giudizio per i pestaggi - sono sottolineate anche dal terzo teste della
giornata, Steffen Sibler, manifestante tedesco picchiato al primo piano
della scuola Diaz. Se la deposizione di Covell è un racconto drammatico
circa le reali intenzioni dei poliziotti intervenuti, è processualmente
rilevante anche la sobria narrazione del ragazzo tedesco. Durante l’esame
ha infatti descritto e riconosciuto l’uniforme del settimo nucleo,
differente dalle altre divise per il famoso cinturone nero e per il «tonfa»
in dotazione, sottolineando inoltre la presenza di un «graduato», giunto
sul posto per placare la violenza dei suoi sottoposti, oltre a confermare
la versioni di altre vittime del pestaggio già ascoltate in aula.

Per quanto riguarda la posizione di Covell - che dovrà ancora essere
operato alla spina dorsale e a una mano - esiste anche un procedimento
contro ignoti per tentato omicidio. Il suo avvocato, Massimo Pastore, ha
sottolineato l’omertà delle forze dell’ordine per i riconoscimenti. Dal pm
Enrico Zucca, in una delle pause del processo, una frecciata
all’atteggiamento odierno del collegio difensivo dei poliziotti: «Guardano
il dito, mentre noi mostriamo la luna».

il manifesto