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Il movimento inonda il potere contro l’università dei padroni

Publie le sabato 15 novembre 2008 par Open-Publishing
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Il movimento inonda il potere contro l’università dei padroni

di Fabio de Nardis, responsabile Università e Ricerca Prc-Se

Oggi il movimento sarà nuovamente in piazza e lo farà con la consapevolezza di dover affrontare la rabbia di un sistema di dominio che agisce da bestia ferita. L’onda anomala si attrezza per la grande mareggiata e difficilmente potrà essere ostacolata nel suo grande obiettivo di riforma democratica dell’università nella critica ferma a un modello di società ormai insostenibile.

Il Governo ha tentato inutilmente la scommessa della smobilitazione attraverso un provvedimento fantoccio che non da alcuna risposta a chi protesta da settimane mostrando la forza viva del mondo della scuola e dell’università. Il DL 180 svela le difficoltà del Governo rispetto a un movimento che cresce di giorno in giorno mostrando la vitalità del conflitto sociale che deve oggi estendersi senza tentennamenti. Il governo, con la complicità del partito democratico che veste il ruolo di mediatore sociale, mostra i primi segni di cedimento. Dietro la parvenza di alcune piccole concessioni, mantiene solido l’impianto regressivo presente nella legge 133 che deve essere semplicemente ritirata.

Prevedibile la reazione accondiscendente della finta opposizione parlamentare e di alcuni rettori che fin dall’inizio hanno vissuto con imbarazzo il ruolo di agenti di conflitto. Miope la reazione di Cisl e Uil che cadono nel tranello governativo rompendo l’unità dei lavoratori.
Nel decreto si confermano i tagli. Questo porterà gran parte degli atenei a sforare i vincoli di bilancio nei prossimi tre anni facendo scattare quasi ovunque il blocco di fatto delle assunzioni con ricadute gravi su didattica e ricerca. Permane la possibilità, che per alcuni atenei diventerà una necessità, di trasformarsi in fondazioni private. Pertanto l’approvazione del decreto non fa in alcun modo venir meno le motivazioni della protesta.
Ciò premesso, crediamo che le novità introdotte dal governo vadano analizzate. Moderatamente positivo è il giudizio sulle nuove regole per il reclutamento dei ricercatori (abolizione di scritti e orali, membri esterni nominati per sorteggio, criteri unici nazionali per la valutazione dei titoli), perché vanno nella direzione auspicata dalla parte sana del mondo accademico e dalle associazioni dei precari. Dobbiamo però tenere alta l’attenzione sulla definizione dei criteri di valutazione che il governo non specifica e che a nostro avviso andrebbero discussi democraticamente, non demandandone la definizone solo ai potentati accademici.

Positiva sarebbe anche l’introduzione del vincolo di destinazione del 60% del budget all’assunzione di nuovi ricercatori favorendo l’ingresso dei giovani attualmente destinati a infoltire la già troppo vasta schiera dei lavoratori precari. Ma il governo non si smentisce inserendo nel decreto la clausola con cui si consente alle università di utillizzare quelle risorse per assumere ricercatori a tempo indeterminato o determinato. Questa formulazione, oltre a costituire un grave passo verso la definitiva precarizzazione della figura del ricercatore universitario, vanifica di fatto il vincolo di destinazione. È infatti prevedibile un aumento di assegni precari della durata di sei mesi in modo da recuperare rapidamente risorse da utilizzare quasi esclusivamente per gli avanzamenti di carriera. Chiediamo un investimento straordinario per il reclutamento di nuovi ricercatori a tempo indeterminato. Chiediamo inoltre che la figura del ricercatore a tempo determinato divenga sostitutiva non del ricercatore a tempo indeterminato, ma di tutte le altre figure precarie prive dei diritti fondamentali del lavoratore (maternità, ferie, orari, tutela della salute e della sicurezza, tredicesima mensilità, protezione in caso di vacanza contrattuale, contributi previdenziali) attualmente presenti nelle università e negli enti di ricerca.

Per quanto riguarda i concorsi, la novità introdotta del sorteggio nell’ambito di una rosa di nomi precedentemente eletta non avrà di fatto alcun impatto sostanziale se non quello di allungare i tempi dei concorsi già banditi dal momento che, visti i tagli, difficilmente ve ne saranno altri.
Condividiamo la scelta di mantenere il piano di reclutamento straordinario approvato dal precedente governo e di escludere i 3000 posti ancora da bandire dai vincoli sul turnover. Il governo deve però cancellare il comma del decreto che esclude gli atenei "non virtuosi" dall’assegnazione di questi posti, facendo ricadere sui giovani e i precari le responsabilità finanziarie di organismi amministrativi alla cui elezione essi attualmente non partecipano. Tale novità è addirittura peggiorativa rispetto alla stessa legge 133.

Piccole novità procedurali possono accontentare qualche rettore e i partiti pseudopposizione. Ben poco rispetto alla domanda di civilizzazione espressa dall’Onda che per questo non ha ragioni per smobilitare. Oggi l’università democratica si riverserà nelle strade di Roma e noi saremo al suo fianco rispettandone l’autonomia come è stato fin dall’inizio. Domani comincerà la grande assemblea di movimento per discutere l’università nuova che si costruisce a partire da oggi attraverso l’approfondimento di tre grandi assi tematici: il diritto allo studio, nel quale occorre a nostro avviso rivendicare una formazione pubblica, di massa e gratuita; la grande questione della didattica e del suo nesso con la ricerca, che vanno a nostro avviso ridefinite svincolandole da ogni condizionamento mercatistico e produttivistico; il lavoro, rivendicando il diritto di donne e uomini ad essere liberati dall’obbrobrio della precarietà. A questo noi aggiungiamo la difesa della scuola e dell’università della Costituzione, nella quale è radicata la convinzione del carattere libero, laico, autogestionario della formazione pubblica. Saremo ancora una volta in piazza per gridare il nostro progetto di università di massa e di qualità dentro un modello di società libero dallo scontro irrazionale tra capitali.

Messaggi

  • A un mese dall’inizio delle proteste contro la riforma Gelmini, un primo bilancio è che al di là di qualche incidente e di qualche faziosa lettura che se ne è data, è stato un movimento compatto e trasversale che ha riunito in un’unica voce le aspirazioni di una variegata moltitudine di persone. A dimostrazione che l’esigenza di tutelare il proprio futuro trascende il colore politico e non si sottomette alle ideologie. Ciò che dovrebbe far riflettere la classe politica presente e futura sulla imprescindibilità di ampie convergenze sui temi che incidono sull’avvenire di un’intera nazione.