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Il nostro Afghanistan della porta accanto

Publie le domenica 28 gennaio 2007 par Open-Publishing

C’è una missione in Afghanistan che, all’apparenza, dovrebbe trovare tutti d’accordo: dai più radicali tra i pacifisti ai più sfegatati tra i militaristi. Intanto non presenta alcun rischio per i soldati, anzi non presenta nemmeno la necessità di impiegarne. Inoltre ha costi ridottissimi: basti sapere che due settimane fa è stata rifinanziata da privati con un investimento di due-trecento euro in generi di conforto. Infine - e questo forse l’aspetto più vantaggioso - per compierla non è nemmeno necessario andare in Afghanistan. Basta recarsi a Roma. O, per chi già risiede nella Capitale, prendere la metropolitana, linea B, e scendere alla fermata Piramide. Pochi passi ed ecco piazzale Ostiense, il nostro Afghanistan della porta accanto.

Padre Giovanni La Manna, presidente del "Centro Astalli", è perplesso. "Due settimane fa, un martedì sera, quando già il servizio mensa era terminato, si è presentato da noi un gruppo di afghani. Non chiedevano cibo, ma coperte. Ci hanno raccontato che quelle che avevano era stato sequestrate dalla polizia. Abbiamo messo assieme quanto è stato possibile, gliel’abbiamo dato e sono andati via".

Così si è conclusa, in pochi minuti, la missione in Afghanistan del "Centro Astalli". Ed è andata avanti la vita quotidiana dei "profughi afghani’, categoria ben presente nel nostro immaginario collettivo per essere stata celebrata negli anni Ottanta da Franco Battiato ("l’ira funesta dei profughi afghani, che dal confine si spostarono nell’Iran"), quando la ragione della fuga era l’Armata rossa. Non ancora i talebani e neanche gli americani.

Da allora i profughi afghani sono cresciuti a dismisura. Si calcola che siano più di due milioni, ma la cifra non comprende i rifugiati e i migranti che vivono in Pakistan, che secondo stime sarebbero oltre un milione e mezzo. E, dopo più di un quarto di secolo di ininterrotte guerre, è probabile che la rassegnazione abbia preso il posto dell’ira funesta.

L’intervento della polizia a piazzale Ostiense è avvenuto alle 7 del mattino. "L’attività - come informa una nota - è stata portata a termine a seguito dei monitoraggi dei territori, finalizzati al contrasto del fenomeno degli insediamenti dei cittadini extracomunitari clandestini". In settantatré tra uomini, donne e bambini (tutti di nazionalità afghana, meno un iraniano) sono stati condotti all’ufficio immigrazione per essere identificati. Alla fine dei controlli, una raffica di provvedimenti: quattro arresti per violazione della Bossi-Fini, trentatré ordini di lasciare il territorio nazionale e, per i ventinove minorenni del gruppo, l’affidamento a centri di prima accoglienza. Solo sette - due dei quali perché protetti dallo status di rifugiato politico - sono risultati in regola. Il sequestro delle coperte, rudimentale tecnica per evitare l’immediato ritorno al bivacco, ha sortito qualche effetto solo per pochi giorni.

Chi ha un po’ di tempo e si trova a Roma può verificarlo facilmente prendendo la solita metropolitana per la fermata Kabul-Piramide. I profughi afghani sono di nuovo là. Con nuove coperte, in attesa che qualcuno diverso dalla polizia si ricordi di loro. "E’ davvero singolare - osserva padre La Manna - che mentre si dibatte attorno a investimenti di milioni di euro per sostenere l’Afghanistan, non si riesca a fare nulla per gli afghani che sono accanto a noi".

(glialtrinoi@repubblica.it)